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Napoli: «Quanto conta la vita di un ragazzo?» , gli amici ricordano Ugo Russo ucciso da un Carabiniere

In corteo per ricordare il quindicenne Ugo Russo. Il militare, indagato per omicidio volontario, ha reagito a un tentativo di rapina

Martedì si sono riuniti in assemblea nel cuore di Montesanto, ieri pomeriggio hanno attraversato in corteo via Toledo. Al rione e alla città fanno la stessa domanda: «Quanto conta la vita di un ragazzo?».

ugo russoUgo Russo aveva 15 anni e viveva in vico Paradiso, proprio tra Montesanto e via Toledo. La notte del 29 febbraio con un amico tentò con una pistola giocattolo di rapinare del rolex un altro ragazzo di 23 anni, che era in auto con la fidanzata. Un ragazzo che di mestiere fa il carabiniere: ha estratto la pistola e ha sparato.

Tre colpi hanno raggiunto Ugo, altri due sono andati a vuoto. Ugo è morto poco dopo in ospedale, il carabiniere è indagato per omicidio volontario.

La famiglia fin dall’inizio ha avuto una convinzione: «Gli ha sparato al corpo – ricostruisce il padre, Vincenzo – facendogli fare un balzo indietro. Ugo si è rialzato per scappare ma il militare gli ha sparato ancora, colpendolo alla nuca».

In attesa dell’esito dell’autopsia, l’avvocato della famiglia Russo, Antonio Mormile, spiega: «Ci siamo fatti un’idea di come sono andate le cose confortati dai nostri dati. Siamo forti di una verità e speriamo possa venire a galla per senso di giustizia. Presumiamo che i fatti siano avvenuti in una certa maniera, se non fossero avvenuti in quel modo oggi staremo con Ugo in carcere, magari in comunità».

I genitori e i tre fratelli hanno passato la pandemia rinchiusi in casa, circondati dal dolore e dai ricordi. Gli amici per elaborare il lutto hanno fondato una squadra di calcio popolare, Real Qs cioè Quartieri spagnoli, sulla maglia il volto di Ugo. Dopo la sua morte, sono finiti tutti sul banco degli imputati, le vite passate al setaccio.

Che ragazzo era Ugo lo racconta il padre: «Ho fatto le stesse scuole di mio figlio, mi avevano messo in una classe di ragazzi con famiglie “difficili”, nessuno ha continuato gli studi. Ai miei figli ho sempre detto di non fermarsi perché se non studi non sei nessuno. Ugo era intelligentissimo ma faticava ad applicarsi, i professori non l’hanno aiutato, così l’hanno allontanato. Non è colpa loro, è che non ce la fanno».

Con la terza media, ha provato a fare il barista consegnando caffè dalle 8 alle 20 per 50 euro a settimana cioè 7 euro al giorno. L’apprendista muratore, quello che porta i sacchi di cemento e prende meno della solita paga a nero. Il fattorino: consegna pomodori dal fruttivendolo alle trattorie. Il suo sogno era fare il pizzaiolo per andare via.

«La cosa che mi ha fatto più male – racconta il padre – è non ricevere neppure una piccola solidarietà, ma non a me. A me dicono che ho i precedenti penali, ma almeno alla madre. Mi ha fatto riflettere: non siamo nessuno, se sbagli non hai più gli stessi diritti degli altri. Ho sempre cercato di non fare sbagliare i miei figli. Mio nipote parla francese, inglese e spagnolo, va a scuola e lavora come rider, l’hanno fermato e gli hanno detto “pure tu fai le rapine?”. Vivendo così, sempre sotto accusa, non si arriva da nessuna parte neppure se hai le capacità».

Adriana Pollice

da il manifesto

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