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MSF accusa: Sono le politiche europee, non le ONG, a favorire i trafficanti

«In due anni abbiamo salvato 60 mila persone e per noi questo è il punto di partenza ineludibile. Lo abbiamo dovuto fare noi e tanti altri sono stati salvati dalle altre Ong per una ragione molto semplice. Chi dovrebbe farlo non lo fa e l’Europa non ha realizzato un progetto europeo di soccorso in mare».

La conferenza stampa di Loris De Filippi e Marco Bertotto, rispettivamente Presidente e Responsabile Adovacy di Medici Senza Frontiere, realizzata dopo l’audizione nella Commissione Difesa del Senato, nel quadro di un’indagine conoscitiva, ha costretto i tanti giornalisti presenti alla massima attenzione. Entrambi i relatori trapelavano passione e indignazione, ma soprattutto fatica. Fatica per un incontro durato due ore, in cui gli stessi si sono sentiti ripetere domande stantie, superficiali, parte integrante di quel “pattume” che si sta gettando, come ha ripetuto De Filippi, sulla parte migliore di questo paese. L’ascolto dell’audizione è utile e deve divenire memoria da conservare per non dimenticare chi ha detto cosa. È utile ma in alcuni passaggi fa veramente indignare, in altri lascia basiti, di fronte all’idea di essere rappresentati, in un organismo così delicato e importante, da persone palesemente inadeguate e prive delle nozioni principali o altrettanto palesemente offuscate nelle domande poste, da una visione politica e umana ristretta e limitata. Ci servirà in questi giorni che sono insieme tragici e grotteschi in cui le risposte alla catastrofe umanitaria che continua a perpetrarsi nel Mediterraneo Centrale – oltre 1000 morti in questi 4 mesi del 2017, 5000 lo scorso anno, quasi 12 al giorno – si risolvono nell’infangare chi tenta di impedire che ancora più persone periscano. Ci servirà in questi giorni e ci servirà nei prossimi mesi e anni, ci servirà anche ascoltare puntate di trasmissioni come “In mezz’Ora”, in onda domenica 30 aprile, in cui mentre De Filippi tentava di argomentare il proprio operato, il solito Salvini parlava, senza rivelare la fonte, di dossier dei servizi segreti che comprovavano complicità fra trafficanti e Ong e di navi utilizzate per far passare armi e droga. Un esponente politico, forse più di un qualsiasi cittadino che ha prova di tale reato ha il dovere di denunciarlo nella prima procura competente e non di parlarne in tv per pura propaganda personale.

«Noi Non volevamo fare soccorso in mare – ha ripetuto più volte De Filippi – noi operiamo in oltre 60 paesi per fornire cure a chi è in difficoltà, siamo nati per questo e vogliamo tornare a fare soprattutto questo. Ma ci troviamo a supplire l’assenza delle istituzioni italiane ed europee. E oggi, quando siamo andati volentieri al Senato per fornire tutte le spiegazioni che ci venivano richieste non abbiamo accettato di sedere sul banco degli imputati. Lo abbiamo detto, su quel banco ci debbono stare i governi che non consentono canali di ingresso regolari, l’UE che non ha istituito, dopo la chiusura di Mare Nostrum, una attività europea di soccorso in mare. Di Msf e delle altre Ong non ci sarebbe bisogno se l’Europa si facesse carico delle proprie responsabilità». E la ricostruzione che ha portato Msf, da tanti anni attiva nelle missioni umanitarie, ha permesso ad ogni operatore dell’informazione intellettualmente onesto di fare i conti con la realtà. Il quadro sembra quasi schematico, fino a quando era attiva Mare Nostrum, che con tutti i suoi limiti era stata voluta dal governo italiano e che in un anno ha garantito la messa in salvo di oltre 120 mila persone, non c’era bisogno delle navi delle Ong in mare. Poi, su spinte populiste come quelle di questi giorni, provenienti da destra e anche da esponenti di centro sinistra, Mare Nostrum è stata interrotta, costava troppo ed era considerata pull factor, fattore di attrazione dei fuggitivi. E i primi 4 mesi del 2015 sono stati l’inferno per chi si metteva in mare. In una settimana di aprile, culminata con la morte di 900 persone in un solo naufragio, quello del 18 aprile, peraltro dovuto anche al fatto che chi aveva prestato soccorso non aveva attrezzature e competenza per operazioni di salvataggio, beh in una settimana hanno perso la vita almeno 1200 persone. «Noi allora ci siamo detti che non potevamo continuare a fare comunicati stampa – riprende De Filippi – abbiamo preso una nave e ci siamo messi in mare. Da allora non abbiamo più smesso e vorremmo poter smettere il giorno in cui ci saranno governi e istituzioni che prenderanno il nostro posto». In questi due anni – e quella di Msf è l’ennesima conferma di quanto da troppo tempo andiamo dicendo – le condizioni non solo sono peggiorate in Libia, da cui è inevitabile tentare la fuga ed è quello il vero push factor, ma le Ong che sono entrate in campo, 9 per complessive 13 navi, hanno salvato, nel 2016, il 28% delle persone partite. Le altre sono state prese da mercantili, dalla Guardia costiera italiana, dalla Marina Italiana, da EURONAVFOR – MED e da Frontex, anche se in minima parte. De Filippi ha ripetuto, questa volta di fronte ad una platea vasta, grazie anche alla fama di cui gode l’organizzazione rispetto a Ong più piccole o di recente nascita, che il loro intervento non è la soluzione ma solo un cerotto applicato ad una ferita purulenta causata da altri. Msf era stata già indicata dalla pubblicistica che oggi si sta gettando a capofitto sulla vicenda delle Ong come esempio di correttezza rispetto ad altre meno affidabili ma loro non sono caduti nel tranello del voler separare buoni e cattivi. «Chi interviene per salvare vite umane compie un’opera meritevole e oggi necessaria – ha ripetuto – e le modalità con cui vengono effettuati i soccorsi, il nesso stretto con l’MRCC di Roma che coordina le operazioni, l’impegno che viene messo in campo è un dato di fatto. E si preferisce quest’opera di delegittimazione della loro attività piuttosto che affrontare le cause di tale problema». Una conferenza stampa altamente “politica” che sicuramente ha irritato chi voleva unicamente fare i conti in tasca agli operatori, cadendo spesso nel ridicolo, politica nel senso alto che dovrebbe avere questo termine, di servizio alla società e soprattutto ai più deboli. Dire che l’UE deve rivedere la propria politica estera di 180°, che questa situazione è destinata a durare altrimenti decenni e che l’Europa deve scegliere se far lievitare continuamente il numero delle vittime o cercare rimedi, affermare che non si possono curare i propri pazienti nei teatri di guerra, a Mosul come in Eritrea o nella stessa Libia e poi abbandonarli perché si avvicinano troppo all’Italia è dire cose scomode. Dire che le istituzioni preposte debbono fare le proprie indagini ma non possono avventurarsi in esternazioni ad oggi prive di fondamento, che esponenti politici di primo piano non debbono affrontare con superficiale e strumentale approccio un tema che non conoscono significa denunciare l’inadeguatezza, oltre che la colpevolezza, di una parte forte del sistema politico. Msf e presumibilmente anche e altre Ong che accetteranno il confronto con le nostre istituzioni, dovranno farsi audire anche dalla Commissione Schengen e da quella sull’Accoglienza e anche questo è parso ai dirigenti dell’Organizzazione Nobel per la Pace 1999 “semplicemente ridicolo”. Sanno che si risentiranno porgere le stesse domande: chi vi finanzia? Come vi mettete in contatto con i gommoni? Come fate a conoscere le rotte? In che rapporti siete con la Guardia costiera libica? Perché non portate le persone raccolte, in Tunisia a Malta, se non direttamente in Libia? Cosa ne pensate delle altre Ong? Non vi sentite in colpa visto che con la vostra presenza le persone sono convinte a partire e aumentano i morti? Difficile accettare per chi macera tanto odio che numerosi cittadini italiani destinino  il loro 5X1000 della dichiarazione dei redditi a chi fa questo. Altro che macchina del fango. MSF non ha voluto avventurarsi nella ricerca di colpevoli di tale strategia di intimidazione e di diffamazione verso il lavoro delle Ong, né nel cercare motivazioni di ordine geopolitico. «Non siamo statisti e non siamo politici – hanno ripetuto – siamo operatori umanitari che intervengono dove ce ne è bisogno e vi assicuriamo che vorremmo non dover più intervenire». Ma la risposta, come hanno spiegato non può essere Frontex o le sue missioni che hanno uno scopo, una ragion d’essere diversa da quella del soccorso in mare e non può essere neanche quella di fornire alla Guardia costiera libica le motovedette. «Non sono in grado per la crisi che c’è in quel paese di impedire le partenze e molti neanche lo vogliono e inoltre, come ci testimoniano i nostri operatori presenti in Libia, nei centri di detenzione per migranti di quel paese non è garantito alcun diritto e la situazione è perennemente critica, come lo è nei paesi del Sahel come il Niger. La risposta da dare spetta alla politica, noi salviamo esseri umani e li conduciamo dove ci dice di portarli la Guardia costiera italiana, l’MRCC che in questi anni ha fatto un lavoro ammirevole». Secondo De Filippi, l’attacco alle Ong di fatto diviene anche un attacco al lavoro della Guardia costiera, quasi che fosse complice di portare troppe persone che le leggi in vigore e un sistema di accoglienza che non funziona clandestinizzano rapidamente. Si torna all’inizio: «Si dia la possibilità di entrare per canali regolari e così si combattono i trafficanti e si rende inutile il lavoro delle Ong». Msf ha fornito ai giornalisti risposte circostanziate in merito ai bilanci, da sempre pubblici e reperibili in rete, alle modalità di svolgimento degli interventi, alla assoluta trasparenza di un lavoro faticoso e impegnativo. Un racconto lucido e semplice che inevitabilmente si infervorava quando tornavano in mente alcune affermazioni fatte da politici e anche giornalisti. «Con che coraggio li si chiama “taxi”? Si sale su un taxi disidratati? O assiderati? O con ustioni chimiche dovute al sale e alla fuoriuscita di carburante? Si sale sul taxi dopo aver visto morire parenti e amici? Chiamare questo un taxi non è commentabile». La conferenza si è protratta a lungo, molte erano le domande e molte risultavano ad avviso di chi scrive, più sensate di quelle poste in Commissione Difesa e i due dirigenti di Msf non si sono sottratti a nessuna di queste anche con risposte ruvide. Al giornalista che informava della richiesta, fatta da parlamentari del M5S di far salire ufficiali di polizia giudiziaria a bordo delle navi delle Ong per controllare in mare chi veniva soccorso la risposta era netta. «Non lo accetteremo e chiuderemo le nostre missioni mare. Da noi si sale senza armi, per soccorrere e non per interrogare, quei compiti spettano poi una volta a terra alle persone preposte, noi siamo una missione umanitaria e basta». Intanto venivano battute le dichiarazioni del procuratore di Siracusa che a suo dire non trovava alcuna relazione fra l’operato delle Ong e i trafficanti. Un altro tassello del teorema, nato da chi ha lanciato il sasso e nascosto la mano, che si è staccato. Ora non basterà eliminarlo per via giudiziaria (e non crediamo che anche da quel fronte gli attacchi siano terminani) ma sarà necessario e impegnativo far smaltire il veleno e le tossine che tale immonda campagna ha portato in poco tempo in una società italiana già profondamente malata di xenofobia e alla perenne ricerca di un capro espiatorio.

P.S. Abbiamo scelto come titolo dell’articolo quello del Comunicato stampa diramato da Msf e ritenuto da alcuni esponenti politici, arrogante, sprezzante, ideologico. Ne facciamo diversa e migliore lettura, quindi lo adottiamo.

Stefano Galieni

da Associazione Diritti e Frontiere – ADIF

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