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Il mondo non comprende la sofferenza di Gaza

Parla l’analista Mukreir Abu Saada: siamo stati abbandonati anche dal mondo arabo, in questo contesto sfavorevole i palestinesi hanno diritto a leader migliori di quelli attuali che non si impegnano per la riconciliazione

Lo sdegno e il dolore tra gli abitanti di Gaza per questa nuova strage ‎di civili sono aggravati dalle reazioni morbide giunte dai Paesi arabi ‎ed occidentali. Tanti non mettono in discussione la versione fornita ‎dall’esercito israeliano, secondo il quale i soldati non avrebbero fatto ‎altro che aprire il fuoco, con precise regole d’ingaggio, su “violenti” e ‎‎”terroristi” manovrati, se non addirittura pagati, dal movimento ‎islamico Hamas per compiere attentati. Ciò mentre si moltiplicano le ‎condanne di Israele da parte dei centri per i diritti umani ‎internazionali . Su questo e altri temi abbiamo intervistato l’analista, ‎Mukreir Abu Saada, docente di scienze politiche all’Università al ‎Azhar di Gaza city.‎

La decisione di Donald Trump di trasferire l’ambasciata ‎statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme è stato il motivo scatenante ‎delle ultime manifestazioni di protesta palestinesi a Gaza. I morti ‎solo nelle ultime ore sono stati oltre 50, eppure fate fatica a far ‎sentire la vostra voce.

Il mondo non riesce a capire che queste manifestazioni palestinesi ‎a ridosso delle linee con Israele non sono frutto di macchinazioni ‎politiche ma l’esito di 11 anni di assedio totale di Gaza che colpisce ‎due milioni di persone innocenti. La condizione di Gaza non è più ‎sostenibile, la popolazione non ce la fa più. Certe forze politiche ‎sono coinvolte, senza dubbio, ma i palestinesi vanno al confine con ‎Israele per chiedere una una vita normale, per avere la libertà. Le ‎manifestazioni andranno avanti spontaneamente e non perché sia ‎tutto telecomandato a distanza come sostiene Israele. Qualcuno deve ‎intervenire, la comunità internazionale o i Paesi della regione, non lo ‎so ma qualcuno deve agire per mettere fine a tutto questo.‎

Questo intervento internazionale non sembra all’orizzonte e il ‎governo israeliano agisce in un contesto molto favorevole. Gli Stati ‎uniti hanno trasferito la loro ambasciata a Gerusalemme e alcuni ‎Paesi arabi, in particolare l’Arabia saudita ed altre monarchie del ‎Golfo, rafforzano le relazioni con Israele. Per i palestinesi non sarà ‎facile far emergere le loro ragioni.

Un nuovo massacro di palestinesi è avvenuto qui a Gaza nel ‎giorno del passaggio da Tel Aviv a Gerusalemme dell’ambasciata ‎statunitense e a poche ore dal 70esimo anniversario della Nakba. Di ‎fronte a tutto ciò il mondo arabo tace, al massimo balbetta, non fa ‎nulla per proteggere i palestinesi. Non si può negare, ci hanno ‎dimenticato. Certo, capisco che alcuni dei Paesi arabi fanno i conti ‎con crisi interne, conflitti e problemi economici e sociali molto ‎gravi. Altri, come le monarchie del Golfo, sono occupati dal loro ‎scontro a distanza con l’Iran e per loro la questione palestinese non ha ‎più rilevanza. Israele e Usa prendono vantaggio da questa situazione ‎e dalle divisioni esplose in questi anni tra i Paesi arabi.‎

Neppure la strage di decine di civili di Gaza pare aprire la ‎strada alla riconciliazione tra il movimento islamico Hamas e ‎l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen.

E’ sconcertante. Neppure di fronte al sangue che è stato sparso a ‎Gaza Hamas e Abu Mazen riescono a trovare l’intesa auspicata da ‎tutti per realizzare la riconciliazione nazionale. Il popolo palestinese ‎merita una leadership migliore, e mi riferisco ad entrambe le parti. ‎Sino ad oggi il nostro popolo non è stato in grado di darsi una nuova ‎direzione politica e di rinnovare i leader che controllano la loro vita ‎quotidiana. L’unica speranza è che la continuazione delle proteste e ‎della manifestazioni (lungo le linee con Israele, ndr) metta sotto ‎pressione l’Anp e Hamas fino a spingere queste due forze a fare i ‎conti con la realtà e ad agire soltanto nell’interesse del popolo ‎palestinese. Però non sono ottimista perché negli ultimi 11 anni, ‎Israele ha lanciato tre grandi operazione militari contro Gaza e altre ‎più piccole facendo migliaia di morti e feriti. Neppure questo ha ‎indotto le fazioni palestinesi rivali a ricucire lo strappo e a dare vita a ‎una politica nuova, ecco perché guardo con un certo distacco alla ‎possibilità della riconciliazione. Temo che ci vorrà molto di più per ‎convincere l’Anp e Hamas a voltare pagina. ‎

Michele Giorgio da il manifesto

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Amnesty: «A Gaza commessi crimini di guerra»

Il sindacato tunisino Ugtt pensa al boicottaggio delle navi statunitensi. Marines dispiegati nelle sedi diplomatiche Usa in Turchia e Giordania per timore di proteste

Se i governi del Medio Orriente tacciono, la gente si muove. Ieri erano centinaia i turchi scesi in piazza a Istanbul per protestare contro il massacro nella Striscia di Gaza. Gli Stati uniti hanno deciso ieri di dispiegare i marines a protezione delle proprie ambasciate in Turchia e Giordania, in previsione delle proteste.

In Nord Africa il primo a reagire è il sindacato tunisino Ugtt, nel 2015 vincitore del premio Nobel per la Pace insieme ad altre tre associazioni di categoria tunisine: ha annunciato ieri di voler lanciare un boicottaggio contro le navi statunitensi che attraccheranno nei porti della Tunisia. «Il sindacato – ha detto Mohammed Abbas, vice segretario di Ugtt – sta considerando la proposta di impedire lo scarico e il carico sulle navi americane che arriveranno nei porti tunisini».

Durissimo anche il comunicato di Amnesty International, ieri pomeriggio, quando la conta delle vittime era arrivata a 41 morti: «Una violazione vergognosa del diritto internazionale, in alcuni casi sono commessi quelli che appaiono come crimini di guerra. Le autorità israeliane devono fermare subito l’uso eccessivo della forza per impedire nuove morti», ha scritto su Twitter l’associazione per i diritti umani.

Più tardi ha parlato Philip Luther, direttore di Amnesty per Medio Oriente e Nord Africa: «Si tratta di un altro terrificante esempio dell’uso eccessivo della forza da parte dell’esercito israeliano, con proiettili usati in modo intollerabile. Solo il mese scorso Amnesty ha fatto appello alla comunità internazionale perché fermasse la consegna di armi ed equipaggiamento militare a Israele. Quanto accaduto oggi mostra l’immediato bisogno di un embargo».

Profonda preoccupazione è espressa anche dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, alla cui voce si aggiunge il Comitato delle Nazioni Unite che ha chiesto a Israele l’immediato stop all’uso «sproporzionato di forza» contro i manifestanti palestinesi.

 

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