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Mimmo Lucano e la solidarietà a processo. Se la lotta politica si fa in tribunale

Sarà un processo politico quello a Mimmo Lucano. Un processo che avrà luogo nonostante Cassazione e giudice per le indagini preliminari abbiano già smontato l’accusa contro il sindaco e i suoi collaboratori.

E nonostante un’informazione troppo presa dalla fretta di acchiappare click abbia annunciato pochi giorni fa che era finita, che Mimmo poteva tornare a Riace ed era tutto apposto. Chi ha gridato alla vittoria – quando la Cassazione ha pubblicato le motivazioni del suo rinvio al tribunale di Reggio per la decisione sulla misura cautelare del divieto di dimora – avrà acchiappato tanti click ma, in cambio, ha contribuito a rendere ancora più difficile raccontare questa storia. Una storia che continua a complicarsi, dal momento in cui mentre scrivo apprendo che ieri sera – 11 aprile – i carabinieri hanno recapitato al sindaco sospeso di Riace e altre nove persone un altro avviso di conclusione indagini per truffa aggravata. Un nuovo filone dell’inchiesta Xenia, che indaga sugli affitti di alloggi non conformi alla normativa per ospitare i migranti.

Sarà un processo politico, dicevamo. E destabilizza l’idea che un (magari solo uno) processo politico sia divenuto un’opzione tra le altre, e cioè che la lotta politica possa trovare spazio e luogo dentro le aule di un tribunale.   

Il processo a Riace e Mimmo Lucano si accoda al più ampio “processo alla solidarietà” cominciato tempo fa e che ha già trascinato in aula attivisti e messo sotto inchiesta Ong. Criminalizzare uno per avvisarci tutti.

Ma il processo a Lucano e Riace incrocia un’altra e ancor più inquietante via, quella – appunto – della lotta politica dentro le aule di un tribunale. La partita normativa (parlamento e leggi), quella esecutiva (per non dire burocratica, di prefetture e governo) e quella giudiziaria (violazione delle norme) dovrebbero giocarsi su tre tavoli diversi. Eppure, in Italia, succede che le carte si mischino fino a somigliare a un banco delle tre carte.

È, insomma, una questione di «pesi e contrappesi». E – a rischio di guadagnare l’odiata medaglietta di “secchiona radical chic” – vale la pena ricordare che il sistema politico italiano si fonda sul principio della separazione dei poteri. L’ordinamento italiano prevede una divisione fra tre poteri: quello legislativo che spetta al Parlamento (ex artt. 70 e ss. Costituzione), quello esecutivo al governo (ex artt. 92 e ss. Costituzione) e quello giudiziario alla magistratura (ex artt. 101 e ss. Costituzione). E ognuno di essi – prevede la Carta – deve essere indipendente dagli altri. Ma è davvero così?

Da almeno vent’anni assistiamo a governi che – in nome di un’eterna emergenza – legiferano a colpi di decreti esautorando di fatto il Parlamento. Un Parlamento di nominati sempre più ostaggio di partiti (sarebbe meglio definirli gruppi d’interessi) e governi, che li hanno col tempo legati mani e piedi con le ultime leggi elettorali. Insomma i «casi straordinari di necessità e urgenza» pare che in Italia siano la norma. E questo non è certo un “merito” di Lega-5stella, ma un’eredità che il buon Silvio e la sua politica ci hanno lasciato e che i governi successivi hanno accolto a piene mani.

L’infografica di Open polis, mostra come e quanto gli ultimi governi abbiano forzato la mano in fase legislativa. Una tendenza che il governo Conte non ha certo modificato, sempre su Open polis potete osservare le attività di un parlamento in stato di coma e di un governo che legifera a più non posso.

L’eterna emergenza non è l’unico gioiello che Berlusconi ci ha lasciato in eredità. I governi italiani si sono saputi distinguere anche per le ingerenze e gli interventi nei procedimenti giudiziari, attraverso suggerimenti, giudizi e annunci. Ora attaccando la magistratura, ora nascondendosi sotto le toghe dei magistrati. Un esempio? Restiamo a Riace: il Viminale ha già annunciato che si costituirà parte civile contro Lucano. A poche settimane dalle prossime elezioni Europee (e sappiamo che Salvini ha da fare bella figura con l’internazionale dei nazionalisti) e da quelle amministrative di Riace, dove la Lega tenterà di porre la sua bandierina con una lista e un candidato sindaco.

La prima udienza del processo contro Lucano e gli altri indagati si terrà l’11 giugno, dopo le elezioni. E qualunque sia la piega che questo processo prenderà, non pochi dei suoi effetti collaterali hanno già causato una delegittimazione a priori: la condanna prima del processo, la sovraesposizione e la distruzione delle esperienze scomode al potere. Oggi – ricordiamo – nella Riace fiore all’occhiello delle centinaia di “nuovi cittadini” riacesi non ne rimangono che quaranta. E del sistema economico che ha riportato alla vita una comunità in agonia, non rimangono che debiti. Debiti e tentativi di ripartire. Nonostante il governo, nonostante lo Stato.

Tiziana Barillà

da il salto

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