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I migranti respinti denunciano il governo italiano

Libia/Italia. Cinque cittadini eritrei intentano una causa civile contro il governo Conte I e a nave privata Asso Ventinove: il 2 luglio 2018 li riportò in Libia coordinandosi con la Marina militare italiana. Alla base dell’azione legale testimonianze dei sopravvissuti, i tracciati e i documenti della stessa compagnia

Dopo due anni di ricerca della verità, anni in cui i governi italiani Conte I e Conte II hanno respinto gli accessi civici alle comunicazioni in mare nella notte tra il primo e il 2 luglio 2018 e mai risposto a un’interrogazione parlamentare sulla vicenda, cinque cittadini eritrei avviano un’azione legale presso il Tribunale civile di Roma. E la verità viene fuori.

Un respingimento collettivo gigantesco in Libia (276 persone secondo i libici, 262 secondo gli italiani) sarebbe stato disposto e coordinato dalla autorità italiane nell’ambito di un evento SAR tenuto segreto.

I FATTI CHE SEGUONO sono stati ricostruiti a partire dalle testimonianze dei sopravvissuti, i tracciati di navigazione della nave privata italiana che ha materialmente operato il respingimento, la Asso Ventinove della Augusta Offshore, ma soprattutto sulla base dei documenti presentati dalla stessa compagnia nelle fasi preliminari dell’azione legale: il diario di bordo della nave e la relazione del comandante Corrado Pagani, inviata al Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto (Mrcc). Ciò che manca, invece, sono le comunicazioni tra i militari italiani nelle ore precedenti al coinvolgimento della Asso Ventinove.

IL 1 LUGLIO 2018, dopo 20 ore di navigazione, tre gommoni in fuga dalla Libia sono in difficoltà in un punto non ancora precisato del mar Mediterraneo. «Abbiamo telefonato ai soccorsi italiani – ci raccontano i passeggeri di una delle imbarcazioni, partita il giorno prima da Khoms – e in seguito siamo stati sorvolati da alcuni aerei».

Dopo molte ore, alle 19, arriva sul posto la motovedetta libica Zwara. Uno dei tre gommoni è già affondato, la metà dei passeggeri affogata. I libici recuperano i sopravvissuti di questo e delle altre due imbarcazioni: «276 migranti in tutto», scrivono sul loro account Facebook. Con troppe persone a bordo e il mare grosso, la Zwara procede a rilento verso sud.

Il tracciato della Asso Ventinove tra il primo e il 2 luglio 2018

Alle 22.10 la base della Marina militare italiana a Tripoli chiama la nave privata Asso Ventinove, in servizio alla piattaforma della Melitah Oil and Gas (una partecipata di Eni), e le dà istruzioni per una operazione SAR: il soccorso alla motovedetta Zwara. All’una di notte la Asso Ventinove arriva sul posto e trova già lì, fermo, non si sa da quanto tempo, il cacciatorpediniere lanciamissili della Marina militare italiana Caio Duilio, un enorme pattugliatore (150 metri di lunghezza) già impiegato nell’operazione «Mare Sicuro». Da quel momento saranno i militari italiani sulla Duilio a dare istruzioni alla Asso Ventinove.

I naufraghi vengono trasferiti dalla Zwara sulla Asso Ventinove. Alcune donne, tra cui Dahia, incinta all’ottavo mese, parlano con l’equipaggio italiano, dichiarano di essere eritree e di voler chiedere asilo all’Italia. L’equipaggio risponde: «Vi portiamo in Italia. Adesso dormite». La nave riparte. Al mattino, invece dell’Italia, compare il porto di Tripoli. I sopravvissuti al naufragio vengono rinchiusi nei lager di Tarek al Mattar e Triq al Sikka. Tra di loro ci sono 29 donne, almeno una incinta, e 54 minorenni.

PERSONE RESPINTE in segreto in Libia, gettate sul pavimento dei lager e lì dimenticate. Almeno due morte, di fame e malattia. Invisibili. La storia del respingimento collettivo del 2 luglio 2018? Occultata. Nelle primavera del 2019 cercammo le vittime del caso Asso Ventotto (altro respingimento operato da nave italiana, per cui oggi c’è un processo penale a Napoli, prima udienza il 26 febbraio). Ma in un lager libico trovammo Ato, Cris, Kissa e tanti altri che ci raccontarono una nuova storia, la loro.

Due anni di indagini. All’inizio soli, poi con il collettivo appositamente fondato, Josi&Loni Project (dal nome di due dei respinti: Josi, morto sul pavimento del lager di Zintan, e Loni, nato nel lager di Triq al Sikka), poi con il supporto degli avvocati di Asgi e l’aiuto di tantissime altre realtà e associazioni. Martedì 16 febbraio alle ore 18, sulla pagina Facebook del JLProject, il collettivo ripercorrerà tutti i passi di questa lunga ricerca della verità.

OGGI CINQUE CITTADINI eritrei, miracolosamente sfuggiti all’inferno libico in cui sono stati illegalmente ricacciati, intentano causa civile contro il consiglio dei ministri e tre ministeri (retti da Conte, Salvini, Toninelli e Trenta), contro il comandante della nave Asso Ventinove Corrado Pagani e contro la compagnia Augusta Offshore. Tra i ricorrenti ci sono Ato, respinto ancora minorenne, e Loni, il più piccolo, che sulla Asso Ventinove era ancora nella pancia della madre.

Per ora i ricorrenti sono solo cinque perché non si possono rappresentare le vittime che sono ancora in Libia. «Prendere la procura legale di un rifugiato in Libia – ci spiega l’avvocata di Asgi Lucia Gennari – è impossibile». Tra le numerose violazioni dei diritti umani e civili subite dai migranti, c’è anche il mancato diritto a un avvocato.

Testimoni ci raccontano che persino nel tribunale ordinario di Tripoli i processi per il reato di immigrazione clandestina (pena: detenzione a tempo indeterminato con lavori forzati, secondo la legge libica 19/2010) sono celebrati senza la presenza di un difensore. Già due, tra i rifugiati illegalmente respinti il 2 luglio 2018, sono morti e altri potrebbero subire la stessa sorte.

«L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e Unhcr hanno tracciato e conosciuto la storia di queste persone – denuncia l’avvocata Giulia Crescini durante la conferenza stampa di ieri sul respingimento del 2 luglio – ma poi hanno coperto e affiancato l’attività delle autorità italiane». Racconta che sul molo, al momento dello sbarco a Tripoli, il personale di Oim era presente e identificò tutti i respinti. Tuttora, continua Crescini, Oim non risponde alle richieste di accesso agli atti presentate a nome dei ricorrenti.

Anche Unhcr intervistò tutte le vittime finora rintracciate e ascoltò la loro storia. Ma nelle schede che ha fornito ai ricorrenti non c’è traccia degli eventi del luglio 2018. «Perché Unhcr e Oim non hanno mai denunciato il fatto?», si chiede l’avvocato di Asgi Salvatore Fachile. Abbiamo chiesto l’opinione di Oim e Unhcr in Libia. Dai primi non abbiamo ricevuto risposta, mentre Unhcr, attraverso la portavoce Gluck, specifica: «La nostra posizione è chiara: la Libia non è un porto sicuro e nessuno dovrebbe essere riportato in Libia dopo essere stato soccorso o intercettato a meno che non ci siano alternative. Unhcr e Oim sono spesso presenti nei porti libici per fornire aiuto, la nostra priorità è assicurare assistenza salva-vita. Se veniamo a conoscenza di casi di respingimento, li solleviamo alle autorità competenti»

I DUBBI SUL RUOLO dell’Italia nei respingimenti che avvengono quotidianamente nel Mediterraneo sono tanti. Le operazioni SAR sono coperte da segreto militare e ai cittadini è negato il diritto di appurare se la direzione italiana dei respingimenti operati dai libici sia un caso isolato o la prassi. Dietro questo segreto militare potrebbero celarsi altri respingimenti collettivi, illegali per le leggi europee e italiane, e che potrebbero esporre il nostro paese a decenni di cause e sanzioni.

«Stavi cercando me?», esclamò Kissa, piena di stupore, quando la ritrovammo nella cella delle donne di Triq al Sikka. «Sì, stavo cercando te». Questo caso è importante anche perché dimostra che nessuno è invisibile e che tutti i reati contro i diritti umani possono essere scoperti e denunciati.

Sarita Fratini

da il manifesto

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