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Migranti, quella libertà limitata tra decreto sicurezza e legittima difesa

Mi pare che nessuno abbia ragionato sui parallelismi e le similitudini che vi sono fra le norme ( i primi 12 articoli) del decreto sicurezza e la legge che modifica la legittima difesa, già approvata al Senato. La radice è comune.

I primi due articoli del decreto sicurezza disciplinano il “trattamento” da infliggere ai migranti, magari richiedenti asilo. Ed è smaccatamente improntato all’ideologia del respingimento, il più possibile celere e sicuro. Il primo vaglio è un iter tutto amministrativo dinnanzi ad apposite Commissioni sotto le direttive del ministero degli Interni, secondo parametri dunque da questo stesso ministero dettati. Solo di fronte a un diniego si va in Tribunale che applica o dovrebbe applicare norme e canoni dettati da convenzioni internazionali o dalla nostra stessa Costituzione, ma la procedura per accedere al Tribunale è una specie di corsa ad ostacoli. Ancora più difficile, ai limiti dell’impossibile è il ricorso in Cassazione. Al rigetto della domanda consegue velocemente il re- spingimento. Così come il respingimento consegue ad una condanna penale, anche non definitiva, per reati anche di modestissima gravità.

Per fortuna i nostri Centri di Permanenza ( i vecchi Cie) sono – fino ad un certo punto – dei colabrodo e nessuno riesce ad impedire che i migranti scappino. Un vero e proprio “diritto alla fuga” nell’esercizio del quale essi, se non sono già periti durante la traversata nel deserto, nei centri di concentramento libici o sulle carrette del mare o i gommoni, sono certamente più abili di qualunque burocrate ostile nei loro confronti. Respingere, escludere, rimandare indietro è l’ideologia che sta dietro la nuova normativa. Non lasciarsi non si dica invadere, ma nemmeno un poco contaminare: il Paese deve essere tutto conforme, e si deve allontanare anche solo il pericolo che esso risenta di influssi stranieri. L’Italia come rifugio ( per gli italiani) su cui nessuno ( migrante) possa nemmeno affacciarsi, cinta da un muro ( simbolico, ma altrettanto cogente) da non valicare. Una heimat da custodire nella bambagia. Certo, noi sappiamo che questa è un’illusione impraticabile, ma non per questo essa non viene inculcata a forza di tweet, di frasi ad effetto ed anche di leggi. Non sfugge a nessuno come i nuovi modi di vagliare la posizione del migrante o del richiedente asilo mettano al primo posto il valore della sicurezza rispetto ai diritti fondamentali ( un tetto sulla testa, una istruzione decente, un pasto caldo, una sanità minima e via enumerando), fino a quello della vita. Che torna in gioco ad ogni respingimento.

Lo stesso avviene con la nuova legittima difesa. Non a caso enfaticamente, ma significativamente denominata “diritto a difendersi” in alcuni dei progetti confluiti nella norma varata dal Senato: ed è per ogni giurista evidente il ribaltamento di prospettiva che sta fra l’affermazione di un diritto e la scriminante, causa di giustificazione. Già la legge varata nel 2006 sul punto ( e allora Salvini non c’era!) ribaltava ogni canone da sempre abbracciato ( anche dal Codice Zanardelli, almeno in parte) che anteponeva il diritto alla vita dell’aggressore rispetto ai beni dell’aggredito. Ora si pretenderebbe di assolutizzare questa prevalenza dei beni con una nuova ideologia: in gioco non ci sarebbero solo i beni dell’aggredito, appunto, ma il suo poter stare quieto e sicuro nella propria abitazione o nel proprio negozio. La tranquillità nella propria cuccia. Nessuno è così stolto oggidì da proporre di lasciare la chiave di casa sulla toppa, come facevano ancora i nostri nonni. Ma da lì a pensare che il proprio domicilio sia un luogo intoccabile, da non contaminare, da difendere con le armi anche rispetto ad un’ombra che si staglia dietro una finestra, ce ne corre e bisogna rifletterci.

Il tema è complesso, ma proprio per questo esige che si mantenga quel margine di possibile riflessione e valutazione espresso dal principio di proporzionalità che sempre i giudici debbono applicare: proporzionalità fra i beni in gioco, fra le armi usate: proporzionalità a tutto campo. Qui invece si è stabilito che l’azione penale non debba nemmeno essere iniziata: altro che valutazione di proporzionalità! Si valorizza invece il turbamento che può insorgere nell’aggredito come nuova attenuante, mai riconosciuta, in nessun caso, dal nostro codice. E su questa nuova trovata si raccoglie il consenso e il voto anche dei più stolti del Pd, che così invece di fare muro nell’opposizione, una volta ancora si sfalda.

Ironia finale: il gioielliere che ha sparato al ladro potrà usufruire del beneficio delle spese legali sostenute dallo Stato. Il migrante che ha bisogno di essere assistito da un legale in tutto il penoso iter dell’ingresso in Italia non beneficerà più del patrocinio a spese dello Stato. Così si prevede.

Certo, se non verrà modificata alla Camera ( ma perché dovrebbe esserlo? M5S e Lega hanno un ampio margine di maggioranza alla Camera quanto al Senato), la legge potrà incappare nel giudizio di incostituzionalità. E i magistrati già li vedo ad inalberarsi perché si è voluto diminuire il loro potere, che si esprimeva appunto nel giudizio di proporzionalità e dunque le rimessioni alla Consulta saranno copiose. Ma la Consulta ormai tentenna su ogni cosa. Non resta che nutrire la tragica sicurezza che, se 1, 2, 3 forse molti figli sedicenni che tornano dalla discoteca alle 5 del mattino verranno freddati dal loro padre che, al di là della tenda, e al di là del vetro li ha scambiati per ladri e, contando sull’immunità, ha comprato un revolver nuovo, allora si tornerà a pensare con lucidità alla legittima difesa. Cinismo? Forse sì, ma a questo ci hanno ridotto le recenti scelte governative.

Ezio Menzione

da il dubbio

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