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E manifestar m’è impossibile in questa Italia

Cosa significa organizzare una manifestazione, oggi, in Italia alla luce del decreto Minniti? E cosa si rischia?

Buongiorno. Sono qui per presentare la richiesta di autorizzazione per una manifestazione.
Prego. Un corteo o un presidio?
Un presidio. Anzi, un’assemblea
Si accomodi. Dobbiamo compilare un bel po’ di moduli e approntare le misure di sicurezza.
Misure di sicurezza??? Ma se si tratta solo di un presidio nella piazza del Comune…
Eh, ma sa … dopo quello che è successo a Torino durante la finale di Champions League siamo costretti ad aumentare i controlli.
Del tipo?
Beh, intanto dovremo perquisire tutti i manifestanti che arriveranno con uno zaino. Che poi c’è anche l’ordinanza anti-alcol. E se qualcuno dovesse avere una bottiglia di vetro potrebbe succedere un dramma come a Torino.
Che c’entra Torino? Che c’entra la finale di Champions League? Ma poi, scusi, sulla piazza del Comune ci sono ogni giorno migliaia di turisti con lo zaino sulle spalle. Come fate a capire chi è un turista e chi un manifestante?
Per che cos’è la manifestazione?
Contro il decreto Minniti. Contro la repressione. Contro le politiche sull’immigrazione dell’Italia e dell’Europa.
Il titolo della manifestazione?
Il motivo della manifestazione intende. Lo slogan… “Nessuno è illegale”.
Beh, allora è semplice capire chi è un manifestante e chi un turista. Avrete tutti la felpa nera. E poi sarà pieno di immigrati.
Ma è metà luglio. Ci saranno 35 gradi. Chi vuole che venga con una felpa?
Voi mettete sempre le felpe nere.
Vabbè … E poi, scusi, come fate a capire chi è un immigrato e chi un turista? E se ci fossero turisti egiziani? Marocchini? Degli Emirati Arabi.
Lo capiamo, stia tranquillo.
Da cosa?
Saranno vicini a gente con la felpa nera.
(Ancora con questa felpa nera …) Ma, poi, che tipo di controlli farete?
Normali perquisizioni. Come allo stadio con gli ultras.
Scusi, come ‘normali’ perquisizioni? Da quando in qua si perquisisce chi si reca a una manifestazione?
Sa, i fatti di Torino ….
Ancora … Ma a Torino, di grazia, cosa sarebbe successo? Cosa c’entra Torino, la partita tra Juve e Real Madrid, con una manifestazione sotto il Comune? A questo punto dobbiamo aspettarci la “tessera del manifestante”?

Divieti. Prescrizioni. Vere e proprie militarizzazioni. Scendere in piazza per manifestare, in Italia, non è mai stato così difficile. L’apice della follia del controllo è stato raggiunto lo scorso 13 luglio quando per salire su piazza del Campidoglio per partecipare al presidio “Nessuno è illegale” i manifestanti hanno dovuto attraversare veri e propri check-point. E pensare che, in teoria, l’ordinamento italiano non prevederebbe meccanismi autorizzativi per scendere in piazza. Ma una volta l’emergenza traffico, una volta l’allerta terrorismo, un’altra il rischio zaini-bottiglie-felpe hanno, di fatto, creato una prassi talmente consolidata che anche un corteo spontaneo nato, ad esempio, dopo un tavolo “saltato” tra manifestanti e amministratori sia automaticamente bollato come manifestazione non autorizzata. Con tanto di multe fino a 5.000 euro recapitate a casa dei “leader” (come amano chiamarli le Questure). Un modo, quello della sanzione amministrativa, sempre più usato per cercare di arginare il dissenso e punire là dove può far più male, nel portafogli sempre più vuoto, chi non si arrende a una vita precaria. Non solo: l’ultima trovata di chi sta portando avanti questa guerra al dissenso è fatta di una vera e propria “caccia all’uomo”. Al singolo manifestante. Le cronache degli ultimi mesi sono piene di tre strumenti repressivi utilizzati in maniera indiscriminata dalle Questure: avvisi orali, fogli di via, sorveglianze speciali. Nel mirino soprattutto attivisti dei movimenti e sindacalisti. Chi, per farla breve, è giudicato “potenzialmente pericoloso” viene così punito senza alcun processo: oggi sono sufficienti delle denunce di polizia, o anche solo delle segnalazioni, per costringerti a restare lontano dalla piazze, fuori dai confini di una città (o addirittura di un quartiere), confinato a casa nelle ore notturne.

In un relativo breve lasso di tempo, dal 2008, anno dell’Onda studentesca e dell’emergenza traffico per i cortei selvaggi, al 2017, anno del decreto Minniti e dell’emergenza sicurezza e decoro, è saltato quel labile patto che prevedeva, al momento della notifica di una manifestazione in questura, che ci si limitasse a contrattare la caratteristica (se un corteo o un presidio), il luogo del concentramento, il percorso.

Oggi, invece, una notifica viene accettata, e una manifestazione autorizzata, solo se gli organizzatori acconsentono a sottostare a pesanti prescrizioni e a mettersi in gioco in prima persona, facendosi garanti di migliaia di persone. La chiamano prevenzione. Il risultato, però, rasenta l’anti-democratico. L’anti-costituzionale.

Basta analizzare quanto accaduto durante le ultime due mobilitazioni più significative, quella del 25 marzo a Roma per il 60esimo anniversario dei Trattati fondativi della Comunità Economica Europea e quella di fine maggio durante il G7 di Taormina. La “macchina della sicurezza”, come ama chiamarla il ministro dell’Interno Marco Minniti, ormai si muove ben prima della partenza di un corteo. Il motore si accende già nei giorni precedenti, si scalda, sale di giri per entrare a regime a poche ore dal concentramento, quando gli attivisti iniziano a muoversi verso il cuore della protesta.

Così oggi in Italia è tristemente normale che dei pullman siano bloccati lungo le autostrade, gli attivisti perquisiti da capo a piedi e fermati anche solo per una felpa nera.

Così, oggi, in Italia è tristemente normale – come accaduto a Roma – che dei manifestanti ricevano avvisi orali o fogli di via dopo aver trascorso diverse ore chiusi in una caserma perché nel proprio zaino sono trovati dei fumogeni, dei giubbotti con cappuccio o un coltellino da formaggio.

Così, oggi, in Italia è tristemente normale – come accaduto a Taormina – che le forze dell’ordine facciano irruzione all’interno di una manifestazione sparando lacrimogeni e caricando gli attivisti alle spalle a fini “preventivi” anziché, in caso di disordini, fronteggiare la testa del corteo.

Il risultato è che oggi, in Italia, per andare a una manifestazione conviene svestirsi, scendere dal pullman e presentarsi in mutande al cospetto degli agenti per la foto di rito che chiude la perquisizione. Alla fine, hanno ragione i ragazzi di Napoli che, dopo essere stati fermati per la terza volta lungo l’infinita strada che portava a Taormina, hanno pensato: “Scendiamo nudi. Facciamo prima”.

Daniele Nalbone

da il salto

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