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Lo schiaffo di Strasburgo, il rischio della beffa

La Corte europea dei diritti dell’uomo mette a nudo le carenze strutturali delle istituzioni italiane. Ma ora andrebbe cambiato il testo di legge sulla tortura, introducendo reato proprio e divieto di prescrizione. I codici identificativi e l’urgenza di una riforma democratica delle forze dell’ordine

 

La sentenza della Corte di Strasburgo è uno schiaffo alle istituzioni italiane. Uno schiaffo che colpisce la polizia di Stato e i governi che si sono succeduti in questi anni, colpevoli per le torture del G8 di Genova e – cosa ancora più grave – per la mancata risposta democratica degli anni a  venire.

È uno schiaffo che dovrebbe risvegliare un paese intorpidito e fermare un’involuzione morale e istituzionale che pare inarrestabile. Molti ora invocano la rapida approvazione di “una legge sulla tortura”. Benissimo, ma attenzione: non può essere una legge qualsiasi; dev’essere una buona legge, in linea con gli standard internazionali e adatta al contesto italiano. Non può quindi essere la brutta legge attualmente in discussione in Parlamento.

L’Italia ha bisogno di una legge che indichi la tortura come reato specifico del pubblico ufficiale, che escluda la prescrizione, che preveda un fondo per il sostegno alle vittime del reato. In passato il Comitato europeo di prevenzione della tortura e il presidente della Cassazione – come riportato dalla sentenza di Strasburgo – avevano dato precise indicazioni in tale senso.
Ma il Parlamento italiano ha svuotato il testo di legge iniziale fino ad arrivare ad una formulazione del tutto inadeguata, con la tortura che diventa un reato generico e soggetto a prescrizione. Sarebbe una legge beffa. La sentenza della Corte sul ricorso di Arnaldo Cestaro dev’essere accolta come un forte invito a cambiare il testo di legge e approvarlo in tempi rapidi e certi.

La Corte nella sua sentenza rimarca anche gli ostacoli frapposti dalla polizia di Stato all’azione giudiziaria e l’inadeguatezza strutturale dell’ordinamento italiano. Noi non dimentichiamo che dal 2001 in poi chi ideò e realizzò l’operazione Diaz è stato protetto, vezzeggiato, promosso.

Le condanne definitive del 2012 sono state un lampo di civiltà in una buia notte della protervia, una lunga notte senza diritto e senza morale. Ora è difficile rimediare, perché il degrado della cultura democratica è stato profondo, dentro le forze di polizia e anche in parlamento.

Per risalire la china si può cominciare introducendo – subito – l’obbligo per gli agenti di pubblica sicurezza di indossare un codice di riconoscimento sulle divise (una piccola norma di civiltà) e avviando una discussione vera, onesta, attorno a una nuova, urgente riforma democratica delle forze di polizie.

Solo così lo schiaffo che arriva da Strasburgo potrà risultare utile al nostro sventurato Paese.

Enrica Bartesaghi, Lorenzo GuadagnucciComitato Verità e Giustizia per Genovada Distratti dalla Libertà

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Tortura: si faccia presto e bene. Lo afferma la Cassazione con nettezza. Un breve excursus delle inerzie parlamentari fino a oggi. (a cura di Antigone)
In Italia vi è l’impunità anche per chi tortura all’estero nonostante sia stato firmato e ratificato finanche lo Statuto della Corte Penale Internazionale.
La Corte di Cassazione nel 2014 a proposito del sacerdote Franco Reverberi, cappellano militare in Argentina al tempo della dittatura e accusato di avere preso parte agli “interrogatori e tormenti” avvenuti ai danni degli oppositori nel 1976, nel negare l’estradizione ha affermato che “l’inadempienza dell’Italia nell’adeguarsi agli obblighi della Convenzione Onu crei una situazione paradossale in cui un reato come la tortura che a determinate condizioni può configurare anche un crimine contro l’umanità, per l’ordinamento italiano non è un reato specifico. E’ quindi necessaria una legge che traduca il divieto internazionale di tortura in una fattispecie di reato, definendone i contenuti e stabilendo la pena, che potrà determinare anche il regime temporale della prescrizione – scrivono ancora i giudici – Pertanto, nell’attuale situazione normativa non può invocarsi, così come fa parte ricorrente, l’imprescrittibilità della tortura, cioè di un reato che non c’è”.
Qui di seguito una breve storia della inerzia del Parlamento (tratto dal libro la Tortura in Italia di Patrizio Gonnella, Derive Approdi). Si comprendono bene le responsabilità.
“Avvocato, insegnante, comunista, friulano: Nereo Battello è stato il senatore che nel lontano 4 aprile del 1989 presentò il primo disegno di legge per l’introduzione del crimine di tortura nel nostro codice penale. Era trascorso poco tempo dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite. Tra gli altri firmatari c’erano i magistrati Ferdinando Imposimato e Pierluigi Onorato, le senatrici del Pci Giglia Tatò Tedesco ed Ersilia Salvato. Uomini e donne libere. Il grosso del Partito Comunista fece finta di niente.
Cantautore e interprete famoso in tutto il mondo, barese, radicale: Domenico Modugno fu uno dei cinque firmatari del secondo disegno di legge, presentato il 19 febbraio del 1991 da Franco Corleone. In quello stesso anno si scioglieva il Pci. Nasceva il Partito della Rifondazione Comunista. La tortura da allora viene a lungo dimenticata.
Nel 1997 siamo vicini a celebrare il primo decennale dell’inadempienza italiana. Ci pensa Stefano Semenzato dei Verdi a ricordarlo. Presenta una proposta che fa il pari con quella di Salvatore Cicu di Forza Italia. Non siamo ancora alla vergogna, ma ci si avvicina lentamente. A sette anni e mezzo dall’ iniziativa del parlamentare radicale Franco Corleone, simbolicamente il 10 dicembre del 1998 in occasione della giornata delle Nazioni Unite sui diritti umani, Ersilia Salvato compie un simil miracolo. Presenta un disegno di legge che reca firme sorprendenti (Francesco Cossiga, Tommaso Contestabile di Forza Italia, Adriana Pasquali di An, Melchiorre Cirami dell’Udr, Guido Brignone della Lega Nord) e firme autorevoli della galassia garantista (primi fra tutti Giovanni Russo Spena e Luigi Manconi). Ben settanta nomi. Mancano due anni e mezzo alla fine della legislatura. Tutto fa pensare che il cammino sia in discesa. Il centrosinistra, quello con il trattino, è al governo. Rifondazione – si dice – appoggerà con decisione il disegno di legge. I numeri ci sono. Il Presidente del Senato era Nicola Mancino del Ppi. Il Presidente della Commissione Giustizia era Michele Pinto anche lui del Ppi. In quei due anni e mezzo invece non succede niente. Eppure il 28 agosto del 2000 il governo guidato da Giuliano Amato presenta una proposta governativa. Mancava un anno e mezzo allo scioglimento delle Camere. Il tempo c’era. Evidentemente non c’era la volontà.
Nel 2001 arriva Berlusconi al Governo. Vengono presentati vari disegni di legge, tra cui quelli di Cesare Salvi, Tana De Zulueta e Gaetano Pecorella. Siamo al dicembre del 2004. Inizia la discussione alla Camera. Sembra che tutto fili liscio. Ebbene no. Dalle file diessine e dipietriste si alzano voci contrarie a far rientrare nella nozione di tortura anche la inflizione di sofferenza psicologica: a lor dire così facendo si impedirebbero le indagini dei pm contro i vari Previti e Berlusconi. Nell’aprile del 2005 si consuma la beffa. La leghista Carolina Lussana presenta e fa passare un suo emendamento il quale prevede che il reato di tortura si consuma alla seconda volta. Il mono-torturatore resterebbe impunito. A quel punto la proposta di legge finisce nel cestino.
Il secondo Governo Prodi si insedia nel 2006 più o meno a cinque anni dalle violenze di Bolzaneto. Il programma dell’Unione prevede l’introduzione del crimine di tortura nel codice. Si riparte dalla Camera. In soli sette mesi Montecitorio licenzia il testo. Non è il migliore dei testi possibili (la tortura diventa un reato generico che chiunque può commettere e non solo i pubblici ufficiali). Pino Pisicchio, democristiano di formazione ma temporaneamente accasato nell’Italia dei Valori, era allora presidente della Commissione Giustizia della Camera. Il testo arriva a Palazzo Madama. Ogni giorno il governo è a rischio. Antigone e Amnesty International pretendono che vi sia velocità. L’occasione è da non perdere. Passano altri sette mesi e la Commissione presieduta da Cesare Salvi approva il testo. Un buon testo. Ci hanno lavorato lui e il senatore di Alleanza Nazionale Nicola Buccico. Ritorna il silenzio. La crisi di governo è però imminente. A gennaio 2008 arriva la calendarizzazione in Aula ma arriva anche la crisi di governo.
Si riparte l’anno successivo. Il governo è nuovamente di destra. E’ in discussione il pacchetto sicurezza, quello che prevedeva la criminalizzazione dello status di immigrato irregolare. La senatrice radicale Donatella Poretti presenta un emendamento diretto alla introduzione del reato di tortura, argomentando che esso sarebbe coerente con la legge in discussione in quanto la tortura riguarda “la sicurezza” delle persone in stato di arresto o di detenzione. Chiede anche che si voti a scrutinio segreto. Il Senato respinge l’emendamento per soli cinque voti. Nel frattempo vengono riproposti vari disegni di legge che vanno avanti con fatica. Il 12 settembre del 2012 la Commissione Giustizia del Senato licenzia dopo estenuanti discussioni un testo che non riproduce fedelmente quello delle Nazioni Unite. La tortura è qualificata come reato generico e non come reato proprio che può essere commesso soltanto da un appartenente agli apparati di sicurezza e giustizia dello Stato. Trascorre un mese e arriva un nuovo stop alla legge contro la tortura. L’Aula del Senato decide di rinviare nuovamente il testo in Commissione Giustizia per ulteriori approfondimenti. Pdl e Lega, con il silenzio del governo tecnico rappresentato dal ministro Guardasigilli Paola Severino, bloccano tutto e rimandano il testo in Commissione, così decretandone una morte sicura visto che la legislatura sta per chiudersi.  Eppure la Commissione aveva approvato la proposta di legge alla unanimità. Tra i più convinti della necessità di prendere ulteriore tempo rispetto alla introduzione del reato di tortura vi sono stati il senatore del Pdl Filippo Saltamartini, già segretario generale del Sap, Sindacato Autonomo di Polizia e il senatore Achille Serra, eletto nelle fila del Partito democratico ma poi trasmigrato altrove, di mestiere prefetto. C’è poi chi come l’ex ministro della Giustizia leghista Roberto Castelli ha affermato: «La configurabilità del reato di tortura anche nei casi di discriminazione etnica, razziale, religiosa, politica, sessuale o di qualsiasi altro genere limita fortemente l’attività degli operatori della sicurezza, che correrebbero continuamente il rischio di essere denunciati». Da parte sua Maurizio Gasparri anche lui del Pdl  ha detto in Aula: «Tutti i Gruppi sono convinti della necessità di approvare una legge che introduca il reato di tortura, ma la delicatezza del tema e le preoccupazioni evidenziate da alcuni senatori attraverso i loro emendamenti, comportano la necessità di una riflessione ulteriore sul testo».”
Poi si arriva ai giorni nostri.

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