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L’indipendentismo catalano alla sbarra, inizia il Processo. Rischiano pene che vanno dai 17 ai 25 anni di reclusione.

I «presos politicos», accusati di ribellione, al cospetto del Tribunale supremo. Il partito di ultra destra Vox sarà l’accusa popolare

Il 12 febbraio del 2019 è iniziato il processo politicamente più rilevante della breve storia democratica spagnola: quello all’indipendentismo catalano. Dodici fra ex ministri catalani, politici e leader sociali (nove di loro in carcere preventivo da quasi un anno e mezzo per il reato di ribellione) si sono finalmente seduti al cospetto del Tribunale supremo, la massima istanza giuridica spagnola.

Nelle prossime settimane si dovrà stabilire se gli imputati sono colpevoli dei fatti che portarono alla celebrazione del referendum per l’indipendenza dell’1 ottobre 2017. Un referendum che il governo centrale di Mariano Rajoy (al contrario di quanto accadde il 9 novembre del 2014) cercò in tutti i modi di bloccare, non solo con l’artiglieria giudiziaria disponibile (con sessioni notturne e nei fine settimana del Tribunale costituzionale) ma anche con tutta la violenza della repressione della polizia, le cui manganellate, a molti degli inermi votanti quel fatidico giorno di ottobre, sono finite sui giornali di mezzo mondo.

A poche centinaia di metri, sempre a Madrid, iniziava quello che sarà il cortissimo percorso della prima finanziaria firmata da Pedro Sánchez: oggi stesso si voterà se impedire il prosieguo del dibattito, e tutto lascia pensare che i voti della destra (Pp e Ciudadanos) e degli indipendentisti (PdCat e Esqurra Republicana) affonderanno i conti 2019, difesi invece da Podemos e alleati.

Il processo all’indipendentismo ieri si è aperto con le questioni procedurali. Tutte le parti hanno avuto 45 minuti, ed è subito risultato chiaro che le linee di difesa sono molto diverse, il che è inusuale visto che gli accusati si considerano tutti prigionieri politici.

Presenti tra il pubblico l’attuale presidente del governo catalano Quim Torra, ricevuto formalmente dal presidente del Tribunale, assieme a due suoi ministri. Vada come vada, questo processo finirà presto a Strasburgo, davanti al tribunale dei diritti umani.

Secondo l’avvocato di Oriol Junqueras, l’ex vicepresidente della Catalogna, e di Raul Romeva, suo collega di partito (Esquerra), durante il procedimento sono stati violati praticamente tutti i diritti umani degli accusati. L’avvocato di Jordi Turull, Josep Rull e Jordi Sánchez (deputati catalani del PdCat) ha messo in dubbio la legittimità del Tribunale e la sua imparzialità. «Fate i giudici, non i salvapatria», ha attaccato.

L’avvocato dell’ex ministro degli interni Joaquim Forn, che sarà candidato del PdCat contro Ada Colau a Barcellona, ha invece optato per una difesa assai più tecnica, chiedendo di unificare tutte le varie cause aperte. La difesa più politica è stata quella di Jordi Cuixart, ex presidente dell’associazione indipendentista Òmnium cultural, difeso dall’ex deputato della Cup Benet Salellas. L’avvocato ha attaccato il tribunale e la pubblica accusa, che ha criticato tra l’altro per aver omesso le lesioni causate l’1 ottobre ai votanti (includendo solo quelle della polizia). Cuixart non è un deputato, non ha senso che sia giudicato da questo tribunale, ha ricordato il legale. «Non esiste un diritto fondamentale all’unità territoriale», ha aggiunto, «Questo processo è una sconfitta collettiva della società spagnola. Non deve cominciare. Se inizia, deduciamo che il sistema dei diritti e delle libertà sarà entrato in un universo di rischi irreparabili».

L’avvocata dell’ex ministra Dolors Bassa (Esquerra) ha puntato il dito contro l’accusa che non ha fornito abbastanza elementi alla difesa, ed è stata la prima a sostenere che la dichiarazione unilaterale di indipendenza non aveva valore giuridico perché non è mai stata pubblicata sulla gazzetta catalana. L’ex presidente del Parlament Carme Forcadell si è lamentata invece del trattamento ricevuto: gli altri membri della presidenza del Parlament che hanno permesso il dibattito sulle leggi proibite dal Costituzionale sono accusati « solo» di disobbedienza, mentre lei, che non ha partecipato all’organizzazione del referendum, di reati molto più gravi: ribellione e sedizione.

Quello iniziato ieri a Madrid è un processo dalle molte anomalie. Prova ne è che, assieme alla pubblica accusa (che chiede le pene più gravi) e all’avvocatura dello stato (uno dei reati contestati è quello di peculato per aver speso denaro pubblico), come accusa popolare siede il partito di ultra destra Vox, che ha usato e userà questa posizione per la sua propaganda politica. Uno smacco per il Partido popular, che in un tweet ha rivendicato: «Se sono seduti lì è perché c’era un governo del Pp». Da Bruxelles l’ex ministro della salute catalano Toni Comín, sfuggito allo stesso processo, ha detto che «non si stanno processando 12 persone, ma 2 milioni di cittadini» che votarono l’1 ottobre.

Nel frattempo, si è svolto tristemente il dibattito sulla finanziaria (che in altre circostanze sarebbe stata la notizia del giorno). La ministra delle finanze María Jesús Montero, più che una difesa tecnica, ha pronunciato un discorso politico: «L’indipendentismo voterà contro una manovra sociale buona per la Catalogna, e la destra contro una finanziaria sociale buona per la Spagna». La portavoce di Podemos Irene Montero si è lamentata del fatto che «il governo si è arreso prima del tempo».

Le elezioni anticipate incombono, anche se non convengono né alla destra (la cui manifestazione domenica è stata un flop), né agli indipendentisti (divisi fra loro), né a Podemos (che ha perso posizioni): il 14 aprile (anniversario della dichiarazione della Repubblica nel 1931) o persino il superdomingo del 26 maggio: assieme a europee e amministrative, una novità assoluta per la Spagna.

Luca Tancredi Barone

da il manifesto

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