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L’impianto dei decreti sicurezza sono rimasti immutati

La vulgata è che, seppur con estremo ritardo, i cosiddetti decreti Salvini sono andati in soffitta e che, dopo gli eccessi repressivi del Governo e della maggioranza gialloverde, si è finalmente aperta una nuova stagione politica. Non è così o, almeno, è così solo in piccola parte. Se le norme più smaccatamente illiberali in tema di immigrazione sono state, almeno in alcuni punti, modificate, la lettera e l’impianto di quei decreti sono rimasti, nel resto, immutati. E non è certo poca cosa.

I provvedimenti che portano tuttora il nome dell’allora ministro degli interni (il decreto 4 ottobre 2018 n. 113, convertito in legge 1 dicembre 2018 n. 132, e il decreto 14 giugno 2029 n. 53, convertito in legge 8 agosto 2019 n. 77) riguardavano, infatti, non solo l’immigrazione ma anche il controllo della marginalità e del conflitto sociale (come recitano le loro rubriche nelle quali si fa riferimento, anche, a sicurezza e ordine pubblico). Conviene, qui, richiamare le relative disposizioni.

Sul piano del controllo della marginalità sociale, in nome della tutela del “decoro urbano”, ci sono state:
– l’aumento della pena per l’occupazione di stabili o edifici, anche per finalità abitative, per cui è prevista la pena della reclusione da uno a tre anni;
– l’introduzione del reato di «esercizio molesto dell’accattonaggio», punito con la pena congiunta dell’arresto da tre a sei mesi e dell’ammenda;
– la trasformazione dell’esercizio abusivo dell’attività di “parcheggiatore o guardamacchine” da illecito amministrativo in contravvenzione punita con la pena congiunta dell’arresto (da sei mesi a un anno) e dell’ammenda nel caso in cui «nell’attività [siano] impiegati minori, o se il soggetto [sia] già stato sanzionato per la medesima violazione con provvedimento definitivo»;
– l’estensione, per alcune categorie di persone (prevalentemente marginali), del cosiddetto DASPO urbano, cioè del divieto di accedere, in determinate zone cittadine, ai presìdi sanitari, alle aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati e pubblici spettacoli e ai locali pubblici e pubblici esercizi (che vengono così ad aggiungersi a porti, aeroporti, stazioni ferroviarie, scuole, università, musei, aree archeologiche o comunque interessate da consistenti flussi turistici o destinate al verde pubblico), con previsione di sanzioni amministrative pecuniarie e di sanzioni penali detentive in caso di violazione del divieto.

Ancor più rilevanti gli interventi di incremento della repressione di condotte connesse con il conflitto sociale. Merita segnalare i più importanti:
– il ripristino in toto del reato di blocco ferroviario e stradale (già previsto dal decreto legislativo 22 gennaio 1948 n. 66 e parzialmente depenalizzato nel 1999), con pena da uno a sei anni di reclusione, raddoppiata se il fatto è commesso da più persone, cioè sempre in caso di manifestazioni (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2018/11/01/il-decreto-salvini-e-il-blocco-stradale/), con l’esclusione, introdotta in sede di conversione, della sola ipotesi di «ostruzione stradale realizzata con il solo corpo» (sic!), punita peraltro, anche per promotori e organizzatori, con la sanzione amministrativa da 1.000 a 4.000 euro;
– l’aumento generalizzato e abnorme delle pene (in toto o nei minimi) per i reati di interruzione di pubblico servizio, oltraggio a pubblico ufficiale, danneggiamento, devastazione e saccheggio, uso di caschi o di altri mezzi atti a rendere difficoltoso il riconoscimento, lancio di razzi, fuochi di artificio, bastoni o oggetti contundenti se commessi nel corso di manifestazioni (a titolo di esempio, per il danneggiamento, anche minimo, è prevista la pena da uno a cinque anni di reclusione e per l’oltraggio a pubblico ufficiale quella da sei mesi a tre anni);
– l’esclusione della possibilità del proscioglimento per particolare tenuità del fatto nei casi di resistenza, violenza e oltraggio (reati ricorrenti nelle manifestazioni di piazza) se commessi nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni;
– l’aumento abnorme delle pene stabilite per il reato di invasione o occupazione di terreni o edifici commesso da più di cinque persone (cioè sempre nelle occupazioni “politiche”), con previsione della reclusione da due a quattro anni e con un ulteriore aumento per «promotori e organizzatori» (nonché con la possibilità di procedere finanche a intercettazione di conversazioni o comunicazioni).

Il salto di qualità di questo insieme di norme – come a suo tempo segnalato in queste pagine (https://volerelaluna.it/controcanto/2019/08/06/il-decreto-sicurezza-bis-e-il-razzismo-di-stato/) – è di gravità pari a quello in tema di immigrazione, sia sotto il profilo culturale che sotto quello pratico. Culturalmente queste disposizioni riscrivono il rapporto tra autorità e cittadini con uno sbilanciamento inedito nei confronti della prima, configurano la povertà come una colpa (completando il passaggio dallo Stato sociale allo Stato penale), individuano il conflitto sociale in quanto tale come illecito (punendo gli stessi fatti in modo più grave se commessi nel corso di manifestazioni di piazza, con un trattamento sconosciuto al nostro sistema finanche nel periodo fascista, allorché l’art. 62 n. 3 codice penale configurava la commissione nel corso di assembramenti e manifestazioni come un’attenuante per qualunque reato). Sotto il profilo pratico, poi, quel corpus normativo determinerà – ha già determinato – lunghe carcerazioni, preventive e definitive, anche per fatti bagatellari, in un contesto nel quale le presenze in carcere hanno ricominciato a salire dopo il lockdown (il 30 settembre i detenuti erano ben 54.277) e si torna a parlare di trasformare in carceri alcune caserme dismesse. In sintesi, siamo all’individuazione sempre più esplicita della categoria dei nemici della società, da estendere nel numero e da colpire nei diritti (cfr. https://volerelaluna.it/talpe/2019/08/13/repressione-giudiziaria-e-movimenti/).

Ebbene, queste disposizioni non sono nemmeno sfiorate dal decreto varato nei giorni scorsi dal Governo che, anzi, ne accresce la valenza discriminatoria limitando l’inapplicabilità del proscioglimento per la particolare tenuità del fatto alle sole ipotesi in cui la parte offesa dell’oltraggio, della violenza o della resistenza è «un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni» (e, dunque, ai casi che più di frequente si verificano nel corso di manifestazioni). Il tutto – va da sé – in un quadro di previsione di ulteriori reati (in particolare l’introduzione o la detenzione in carcere di telefoni cellulari) e di aumento dell’entità delle pene (in particolare per l’ipotesi di partecipazione, a qualunque titolo, a risse in cui si verifichino la morte o lesioni di alcuno e per le violazioni del DASPO urbano). Continua così la trasformazione dello Stato sociale in Stato penale e del diritto penale classico in quello che è stato definito il diritto penale del nemico (https://volerelaluna.it/politica/2018/12/07/il-decreto-salvini-e-il-diritto-penale-del-nemico/).

Inutile, data la generale condivisione della politica, sperare in un intervento modificativo, in sede di conversione del decreto legge, da parte di un Parlamento in tutt’altre faccende affaccendato, ma almeno ci si risparmi l’affermazione che siamo di fronte a una svolta politica.

Livio Pepino

da Volerelaluna

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