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L’Europa resta una fortezza per i migranti

L’ondata migratoria del 2015 resta uno dei grandi fallimenti dell’Unione europea degli ultimi anni, un trauma politico che ha lasciato tracce durature su scala continentale. Ricordiamo ancora quando alcuni paesi dell’Europa centrale costruivano barricate mentre la Germania accoglieva un milione di migranti. Oggi la crisi è meno acuta, ma la tragedia del campo di Moria, nell’isola greca di Lesbo in cui erano ammassate 15mila persone in condizioni proibitive, dimostra che il problema non ha ancora trovato una soluzione.

Il 23 settembre la nuova Commissione europea ha tentato di affrontare il tema estremamente delicato, ma la proposta di riforma presentata dalla presidente Ursula von der Leyen è il frutto di un compromesso tra le diverse sensibilità europee, e di conseguenza rischia di scontentare e deludere.

Decidere tra cattive soluzioni
È un esito inevitabile, perché oggi l’Europa si trova costretta a decidere tra cattive soluzioni. È quello che la presidente della Commissione ha descritto come “un giusto equilibrio tra solidarietà e responsabilità”.

Sono stati apportati miglioramenti a un sistema che non funzionava più, in particolare nei paesi di arrivo dei migranti come la Grecia o l’Italia. Le richieste d’asilo dei nuovi arrivati dovranno essere processate più rapidamente, sia al livello nazionale sia europeo. E questo era indispensabile.

Ma il corollario di questa accelerazione è l’espulsione altrettanto rapida prevista per quelli che si vedranno respingere la richiesta d’asilo. Questo aspetto ha spinto i critici del piano a sostenere che Bruxelles non ha abbandonato il principio di un’”Europa fortezza”. Considerando il contesto politico del continente non c’è da sorprendersi.

Questa riforma non risolverà il problema. Il piano cerca prima di tutto di migliorare il sistema

La seconda parte, ancora più delicata, è quella della solidarietà tra paesi europei, che diventerebbe “obbligatoria” in caso di nuovo afflusso massiccio di migranti, e sarebbe legata a incentivi e sanzioni finanziarie. Si tratta di superare il rifiuto sempre presente di molti paesi rispetto alla possibilità di accogliere i rifugiati. Non si parla più di quote come nel 2016, ma di aiuti “stretti e necessari” da parte di tutti.

Questa riforma non risolverà il problema. Il piano cerca prima di tutto di migliorare il sistema, di alleggerire il peso sui paesi d’arrivo e di portare soluzioni più umane ed eque per gli uomini e le donne che arrivano in Europa dopo aver vissuto un calvario. Evidentemente non è una cosa da poco.

Ma purtroppo la riforma non altera l’equazione di fondo, né per quanto riguarda i paesi di partenza né per quelli che ricoprono il ruolo di barriera sul cammino verso l’Europa (come la Turchia o la Libia) e nemmeno per quanto riguarda la sorte delle persone che saranno rispedite verso un orizzonte da cui cercavano disperatamente di fuggire.

L’Europa che sbandiera i suoi valori e li oppone ai regimi autoritari alle sue frontiere ha lasciato per troppo tempo che continuassero palesi violazioni della dignità umana.

Il vero test di questa iniziativa di riforma della politica migratoria, quanto meno, sarà la possibilità di non vedere mai più sul vecchio continente luoghi disumani come il campo di Moria o la “giungla” di Calais, in Francia. Non basterebbe, ma sarebbe già tanto.

da Internazionale

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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