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Lettera-Denuncia: «Ecco come è morto in cella mio marito…»

Una lettera di denuncia dalla moglie di Salvatore Caramuscio, un detenuto al 41bis all’Aquila. L’uomo, malato di cuore, era costretto a dormire senza lenzuola e coperte, nonostante un nullaosta avuto prima di essere trasferito in Abruzzo. Protestò con gli agenti ed ebbe un malore, trasportato in ospedale morì.

Dormiva senza lenzuola e coperte, nonostante il freddo e soffrisse di una malattia al cuore. Era in regime del 41 bis, pena l’ergastolo. Morì di infarto.

Parliamo del 27 settembre dell’anno scorso quando è deceduto. Fu un mese particolarmente freddo e il detenuto dormiva coprendosi con un telo di mare.

Nonostante avesse il nullaosta per tenere le sue coperte e lenzuola, una volta trasferito al carcere duro dell’Aquila gli chiesero di rifare la domanda. Si arrabbiò e ci fu un battibecco con gli agenti penitenziari, ebbe un malore tanto da accasciarsi a terra. Fu trasportato prima all’ospedale dell’Aquila e poi a quello di Chieti dove subì tre lunghe operazioni chirurgiche. Infine è arrivata la morte. Si chiamava Salvatore Caramuscio, aveva 47 anni ed era uno dei boss della Sacra Corona Unita. L’uomo stava scontando l’ergastolo per l’omicidio di Antonio Fiorentino, il titolare del bar Papaja a Lecce, avvenuto il 6 marzo del 2003. Caramuscio, conosciuto con il soprannome di “Scaramau”, fu arrestato per il delitto e poi tornò in libertà per decorrenza termini, facendo perdere le sue tracce e diventando uno dei 100 latitanti più pericolosi d’Italia. Fu rintracciato ed arrestato nel 2009 a Cassano delle Murge dopo 9 mesi. La misura cautelare fu ripristinata dopo la condanna in appello per associazione a delinquere, droga, ed estorsioni. Rita Bernardini, l’esponente del Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito, ha ricevuto una lettera di denuncia dalla moglie di Caramuscio che rendiamo pubblica. «Di questa morte, che probabilmente ci sarebbe stata comunque – spiega Rita Bernardini che, ricordiamo, è al dodicesimo giorno dello sciopero della fame anche per chiedere di riformare il 41 bis – a me colpisce quella coperta negata e precedentemente autorizzata. Insomma, le vessazioni, la loro banalità, l’indifferenza verso l’umano che esprimono».

Mio marito S. C. è deceduto il 27 settembre scorso ( 2016) presso l’ospedale di Chieti. Lui era in regime di 41- bis con la pena dell’ergastolo. Gli ultimi 6 anni li ha passati a Rebibbia e da solo due mesi si trovava all’Aquila. Era una persona combattiva e infatti a Rebibbia non so quante denunce ha fatto per avere i suoi diritti… ultima, ha passato un’odissea per avere il nullaosta ad usare le sue lenzuola e le sue coperte perché soggetto allergico. Non appena lo trasferiscono all’Aquila, nonostante i nullaosta del Dap e di tutti gli specialisti, non gli danno né lenzuola né coperte richiedendogli di rifare tutta la trafila per riottenere i nullaosta. Il 26 settembre mattina, litiga molto inalberato con gli agenti perché con il freddo agghiacciante, lui dormiva con un telo da mare, unica cosa che gli avevano consentito di comprare.

Mentre litigava, si è accasciato a terra. È stato portato all’ospedale dell’Aquila e poi a quello di Chieti, dove ha subito tre operazioni di cui la prima è durata 11 ore, e poi è deceduto il 27 settembre allo ore 14: 10. Dissecazione aortica. Io mi trovavo a Rebibbia perché dovevo far colloquio nel mese di ottobre, ma purtroppo ho saputo della tragedia il 27 alle ore 21 e solo grazie ai miei familiari. Ho presentato querela alla Procura dell’Aquila perché ho saputo che quando è successo il fatto i compagni di mio marito hanno fatto la battitura a seguito della quale è arrivato anche il Magistrato di Sorveglianza. So che mio marito ha lasciato la sezione alle 11 – 1/ 4; so che è arrivato all’ospedale di Chieti alle 13: 30! Insomma, il problema è che non quadrano gli orari.

Devo la verità a mio marito e a mio figlio e voglio sapere se mio marito è stato soccorso nei tempi giusti. Le scrivo perché so quanto lei e i suoi colleghi vi battete per i diritti del detenuto anche ora che il nostro Marco non c’è più. So anche che ha tremila impegni, ma se trovasse un po’ di tempo per seguire questo “caso”, le sarei davvero riconoscente. Voglio farle sapere che, riguardo la pena dell’ergastolo, stavo facendo riaprire il processo perché mio marito non era certo un santo, ma quell’omicidio non l’ha commesso. Anche se lui non c’è più farò riaprire il processo perché ho le prove che me lo consentono.

Damiano Aliprandi

da il dubbio

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