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Lettera aperta di un ergastolano a Eugenio Scalfari

Dottor Scalfari, ho letto da qualche parte che ha contribuito a fondare il settimanale “L’Espresso” ed è fondatore del quotidiano “La Repubblica”. Ho letto pure che alcuni suoi articoli hanno dato avvio a battaglie ideologiche-culturali, come quelle che hanno portato al referendum sul divorzio e sull’aborto.

L’altra settimana, dalla mia cella, l’ho ascoltata alla televisione con interesse durante la trasmissione “Otto e mezzo” di Lilli Gruber.

Le confido che sono rimasto molto colpito della sua commozione per la scomparsa del presidente del Partito Comunista Enrico Berlinguer e per il racconto dell’abbraccio con Pietro Ingrao. Questo sia perché con Pietro ho scambiato qualche lettera, sia perché fra gli uomini ombra (come si chiamano fra loro gli ergastolani) lui era molto famoso per avere dichiarato in una intervista “Io sono contro l’ergastolo prima di tutto perché non riesco ad immaginarlo”.

Credo che però, a questo punto, sia il caso di presentarmi: sono un condannato alla pena dell’ergastolo (o alla Pena di Morte Nascosta, come la chiama Papa Francesco), in carcere da ventiquattro anni (il mese scorso sono entrato nel venticinquesimo). Dalla mia cella, ormai da molti anni, sono un attivista della campagna “Mai Dire Mai” per l’abolizione della pena senza fine. Se vuole sapere qualcosa più di me può visitare il sito che porta il mio nome www.carmelomusumeci.com dove fra l’altro c’è una proposta di iniziativa popolare per l’abolizione della pena dell’ergastolo (fra i primi firmatari c’è la compianta Margherita Hack, Umberto Veronesi, Bianca Berlinguer, Maria Agnese Moro, Don Luigi Ciotti, Stefano Rodotà, Giuliano Amato, Massimo D’Alema, la famosa pianista Alessandra Celletti e tanti altri.).

Caro Dottor Scalfari, dopo averLa ascoltata alla televisione e avere letto che ha una laurea in giurisprudenza, mi è venuta voglia di scriverLe per farLe alcune domande. Non credo avrà voglia e tempo di rispondermi ma, alla fine, mi sono deciso lo stesso perché penso che a volte le domande siano interessanti quanto le risposte. Sarei curioso di chiederLe cosa ne pensa della pena dell’ergastolo, soprattutto di quello ostativo, quello che se parli esci, se no stai dentro come nel Medioevo. Mi creda, alcuni rifiutano questa “via di fuga” soprattutto per proteggere i loro familiari.

Dottor Scalfari, credo che la condanna a essere cattivi e colpevoli per sempre sia una pena insensata perché non c’è persona che rimanga la stessa nel tempo. Senza un fine pena certo, all’ergastolano rimane “solo” la vita; ma la vita senza futuro è meno di niente. Mi creda, con la pena dell’ergastolo addosso è come se la vita diventasse piatta perché non puoi più fare progetti per il giorno dopo nè per quello successivo. Il tempo dell’ergastolano è come se fosse scandito da una clessidra: quando la sabbia è scesa, la clessidra viene rigirata…e questo si ripete incessantemente, fino alla fine dei suoi giorni. Imprigionare una persona per sempre è come toglierle tutto e non lasciarle niente. Neppure la sofferenza, la disperazione, il dolore perché, con questa condanna, non si fa più parte degli esseri umani. Purtroppo con l’ergastolo la vita diventa una malattia. Ma la cosa più terribile che è una pena che non ti uccide e, ciò che è peggio, sotto un certo punto di vista, ti fa vergognare di essere un uomo. Alla lunga, infatti, ti fa diventare solo un corpo parlante. La condanna all’ergastolo assomiglia a una morte bevuta a sorsi, nell’oscurità e nel silenzio.

Dottor Scalfari, un compagno a cui mancano un paio di mesi al fine pena, l’altro giorno si è confidato con me e mi ha detto che i secondi gli stanno sembrando minuti, i minuti ore, le ore giorni ed i mesi anni. Gli ho risposto: “Per fortuna io ho l’ergastolo e non ho bisogno di contare né i giorni, né i mesi, né gli anni, conto solo i capelli bianchi che mi stanno venendo”. Il mio compagno ha annuito. Poi ha amaramente sorriso. E alla fine abbiamo riso insieme, anche se non c’era nulla da ridere perché, con questa pena, la vita diventa peggiore della morte.

Gli ergastolani più fortunati si creano ogni giorno un mondo interiore costruito sul sale di tutte le loro lacrime, perché spesso è meglio non avere speranza che nutrirne di false. Con la condanna all’ergastolo la vita non vale più nulla perché non ha più presente né futuro, ma solo il passato. È vero che ogni pena uccide almeno un po’, ma la pena dell’ergastolo uccide “di più” perché ammazza anche la speranza. Si potrebbe dire che l’ergastolano non vive, mantiene in vita solo il suo corpo. E ogni giorno in meno è sempre un giorno in più da scontare. Purtroppo, molti non sanno che la pena dell’ergastolo ci lascia la vita, ma ci divora la mente, il cuore e l’anima.

La maggioranza delle persone è contaria alla pena di morte, ma con la pena capitale il colpevole soffre solo un attimo, con l’ergastolo invece il condannato soffre tutta la vita. Mi chiedo se, forse, questa forma di “vendetta” che nulla ha a che fare con la giustizia, possa soddisfare qualcuno, comprese le vittime dei reati che abbiamo commesso…

A questo punto, caro Dottor Scalfari, chi è più criminale: chi uccide perché cresciuto in ambienti degradati, per potere, ignoranza, soldi, futili motivi, passioni morbose e malate, o chi lo fa in nome della giustizia o del popolo italiano, murando vive delle persone vive, senza neppure la compassione di ammazzarle?

Se riterrà opportuno rispondermi, ne sarò felice e La ringrazio anticipatamente. Le auguro buona vita e con simpatia Le invio un sorriso fra le sbarre.

Carmelo Musumeci
Carcere di Padova, Dicembre 2015

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