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Le truffe del linguaggio occultano le stragi dei migranti

Io non sono mai stato crudele

(Hermann Wilhelm Göring,  A G.M.Gilbert, psicologo del carcere di Norimberga, 1946)

Nel quadro della soluzione finale, un apposito organismo dirigente provvederà ad avviare gli ebrei al lavoro, con le opportune modalità, nei territori orientali. Suddivisi in grandi colonne e separati per sesso, gli ebrei abili al lavoro verranno condotti in queste zone e impiegati nelle opere stradali, tenendo conto ovviamente dei vuoti che via via si creeranno per decimazione naturale in gran parte del contingente. Gli elementi che alla fine resteranno ancora integri, trattandosi sicuramente di quelli più resistenti, dovranno essere trattati come meritano, perché sono il frutto di una selezione naturale, e nel caso fossero liberati diventerebbero la cellula embrionale di una nuova generazione ebraica.

E’ questo un passaggio cruciale di uno dei più noti verbali della storia, il protocollo di Wannsee.

In un’elegante villa primi Novecento, a Wannsee, sobborgo di Berlino, il 20 gennaio 1942 si tenne una “colazione di lavoro”. Il padrone di casa era il capo dell’Ufficio centrale per la sicurezza nazionale e della Gestapo, Reinhard Heydrich.

La fabbrica della morte, in verità, funzionava da tempo a pieno ritmo, sia pure in modo “caotico”, ma in quella riunione, durata meno di due ore, l’intensificazione dello sterminio fu precisata attraverso uno “sforzo” burocratico che serviva a ottimizzare i passaggi, a coordinare le operazioni, a nascondere innanzitutto a se stessi, attraverso un linguaggio tecnocratico, privo di condizionamenti psicologici, freddo e impersonale, l’abisso finale.

Il termine “sterminio” si tramuta in così in “soluzione”, espressione che, nel suo significato originario, richiama accezioni positive, ma che in questo caso subisce uno slittamento semantico. I comandi della macchina della morte, come “reinsediamento” erano parole asettiche, espressioni burocratiche, dunque neutre, che trasformavano esseri umani in dispacci, azioni, esecuzioni di ordini.

Ogni società ha il suo proprio ordine di verità, la sua politica generale della verità: essa accetta cioè determinati discorsi, che fa funzionare come veri” (Foucault), ma non possiamo non cogliere, tornando ai nostri giorni e al punto dolente, le scelte politiche fatte sulla pelle dei migranti, inquietanti affinità tra dispositivi di potere e le loro emanazioni.

Nelle “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”, collegate al decreto Minniti, il linguaggio iper-burocratico diventa indispensabile strumento narrativo e garanzia di sopravvivenza del regime stesso. Il vocabolario securitario utilizzato enfatizza gli obiettivi, riconduce ogni azione a un generico “nemico” interno che, tramite una narrazione epurata e burocratizzata, viene continuamente rievocato e reificato.

L’uso delle parole e delle narrazioni non riguarda astratte dispute linguistiche, ma rispecchia gli effettivi rapporti di forza tra le classi.

Espressioni come “decoro” e “sicurezza” pianificano di fatto la guerra di classe dall’alto, definiscono e organizzano con razionalità scientifica repressione e odio verso i migranti e i marginali, ne stabiliscono la sorte finale, per quanto ben nascosta da formule impersonali.

Pertanto, se vale l’affermazione “la sicurezza è di sinistra” (Minniti) e quella sicurezza di fatto conduce alle atrocità consumate nei lager libici, allora non meravigliamoci se prima o poi sarà riabilitata anche la dichiarazione “Io non sono mai stato crudele”.

Patrizia Buffa da contropiano

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Libero spaccia fake news razziste e pericolose sulle “malattie”

Occorre dirlo senza giri di parole: l’informazione spazzatura va sanzionata, soprattutto se procura allarmi e semina sostanze tossiche nel senso comune.

La prima pagina del quotidiano “Libero” ci ha abituato a titoli gridati e notizie spazzatura. Materiale odioso molto spesso, ma corrispondente all’ambiente che lo produce e lo recepisce. Ma è cosa totalmente diversa fare titoli come quello oggi in copertina, non solo perché palesemente falso (come stanno cercando di far capire decine di infettivologi intervistati dai media più diversi), ma perché semina volutamente allarmi infondati e istigazione all’odio; benzina sul fuoco sulla già rovente situazione in Italia.

Diffondere l’idea di un nesso tra immigrati e ricomparsa di malattie estinte nel nostro paese non solo è scientificamente sbagliato, ma è socialmente pericoloso.

L’unico “mediatore” esistente per tramettere il virus della malaria tra umani (a parte la trasfusione diretta, che nel caso di Trento non c’è stata) è la zanzara anofele. Nessun altro tipo di zanzara può riuscirci. Il ritorno o meno di questo tipo di zanzara sul territorio italiano dipende eventualmente dai mutamenti climatici, non dalle migrazioni. Se anche un “africano” volesse portarsi qualche zanzara al seguito (al guinzaglio, in valigia, ecc), questa non potrebbe sopravvivere in un clima inadatto.

Questo è quanto ci dice la scienza.

Naturalmente sappiamo bene che malattie un tempo debellate (al pari della malaria) oggi tornano ad affacciarsi. Basta pensare che sono stati chiusi ospedali dedicati e sanatori per alcuni casi di Tbc, la cosiddetta “malattia dei poveri”, che insorge a causa delle condizioni di vita (abitazione insalubri, scarsa o cattiva alimentazione, ecc) che rendono vulnerabili all’eventuale contagio.

Ci sembra decisamente improbabile che i direttori di Libero (gli inquietanti Vittorio Feltri e Pietro Senaldi) non abbia sentito nessun medico per informarsi meglio prima di fare un titolo così. Dunque è stata una decisione a mente fredda, volontaria e con l’intenzione scoperta di speculare sulla morte di una bambina di quattro anni.

Per questo riteniamo indispensabile, in casi come questo, sanzionare un organo di dis-informazione. A tutti – anche a noi – capita di sbagliare o di prendere fischi per fiaschi. Qui non c’è nessun errore, ma una volontà perversa, razzista, senza scrupoli.

Capiamo benissimo che invocare sanzioni contro l’informazione spazzatura e allarmista è un terreno scivoloso, così come sono evidenti i tentativi di enfatizzare le fake news per ridurre le possibilità che in Rete si sviluppi un serio sistema mediatico alternativo ed efficace, fuori e contro il monopolio mainstream di giornali e telegiornali.

Ma è anche necessario che chi fa informazione – così come medici o ingnegneri – abbia e rispetti scrupolosamente un codice deontologico e, qualora non lo faccia, che gli organi preposti al rispetto di questo codice intervergano. In questo caso è l’Ordine dei Giornalisti.

Se l’informazione spazzatura diffonde invece allarmi sociali infondati, che possono innescare azioni e reazioni pericolose nelle relazioni sociali del paese, si configura un reato vero e proprio e qui non è più un problema deontologico, ma penale.

Il problema sorge quando l’”informazione spazzatura” coincide con la strategia non dichiarata di “autorità costituite”, che hanno contribuito al diffondersi di un clima razzista e xenofobo nel paese per legittimare agli occhi dell’opinione pubblica la nuova escalation colonialista verso l’Africa, fino a renderla la soluzione migliore e ineluttabile.

E’ un corto circuito pericoloso, in cui la prima pagina di Libero appare solo come un test: se passa anche questa senza incidenti si può procedere a tutto campo e senza più alcun freno inibitorio.

da contropiano

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