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Le “piccole” ingiustizie in carcere

La drammatica lettera di Pasquale De Feo detenuto sepolto in un istituto di pena sardo dal 1983

Gli ritirano il computer che lo hanno aiutato con gli studi universitari, per accumulare un patrimonio culturale che lo ha fatto chiudere con il passato. Così come, tempo prima ha dovuto subire un torto riconosciuto in seguito dal magistrato di sorveglianza. In sostanza – dopo anni di 41 bis – lui è da tempo in regime AS1, non ha la censura e quando ha fatto i piego libri per spedire appunto i libri o i giornali, in maniera non corretta gli hanno applicato la procedura del pacco.

Quindi ispezione, magazzino e gli inevitabili tempi lungi. Ma il piego di libri è corrispondenza, non un pacco. Parliamo di Pasquale De Feo, nato in provincia di Salerno, il 27 gennaio 1961, recluso dal 20 agosto 1983 quando aveva appena 22 anni. Sta scontando la pena dell’ergastolo ostativo in un carcere della Sardegna, sepolto vivo fra sbarre e cemento. Ha scritto una lettera all’ex ergastolano ostativo Carmelo Musumeci che prontamente l’ha rigirata a Il Dubbio affinché il mondo esterno capisca quanto sia complicato vivere la quotidianità in carcere. Piccole cose, per noi insignificanti, ma che tra le quattro mura diventano fastidiosissime e creano angoscia.

«Io credo che la galera – spiega a Il Dubbio Carmelo Musumeci -, così com’è, sia un’istituzione criminogena e oltre a farti perdere la libertà, la gestione della tua vita e spesso anche dei tuoi pensieri, ti spoglia della tua identità. Il carcere ti disinsegna a vivere. Quasi sempre rappresenta uno strumento di straordinaria ingiustizia, un luogo di esclusione e di annullamento della persona umana: dietro la vuota retorica di risocializzazione, di rieducazione, si nasconde in realtà una vita non degna di essere vissuta». Carmelo continua a sostenere che, nella maggioranza dei casi, in carcere il Diritto e i diritti dei detenuti sono calpestati e la legge è solo un’arma del potere, ad uso e abuso di tante ‘ mele marce’. «In più di un quarto di secolo di prigione – continua Musumeci -, ne ho viste di tutti i colori e adesso che per fortuna sono libero ( o quasi) sono comunque informato tramite le lettere dei miei ex compagni e capisco che le cose, invece di migliorare, sono peggiorate».

Qui di seguito la lettera di Pasquale De Feo, direttamente dal carcere sardo di Massama, ad Oristano.

«Caro Carmelo, lo sai anche tu, le lettere che ricevi in carcere sono gocce di vita e in trentasette anni di carcere mi hanno aiutato a sentirmi ancora umano. Adesso in questo lager vogliono farmi accettare che la corrispondenza, sia in arrivo che in partenza, tramite le buste A4 e A5 devono essere considerati come pacchi postali. Come sai, la procedura per spedire o ricevere un pacco è diversa, costosa e complicata, sia per gli agenti che per i detenuti. Senza contare che le spedizioni postali “piego di libri” ( contenente libri, riviste, carte processuali ecc.) si affrancano con euro 1,28 centesimi ed è un servizio delle poste per consentire alla cultura di avere più facile diffusione.

Perché in questo carcere i detenuti non ne possono usufruire? Mi hanno ordinato di spedire e ricevere la corrispondenza “Piego di libri” come se fossero dei pacchi. Io mi sono rifiutato e ho inoltrato reclamo al Magistrato di sorveglianza. Il Magistrato di sorveglianza mi ha dato ragione. Dopo appena mezzora che mi avevano consegnato le buste, mi hanno fatto una perquisizione in cella e in un libro hanno trovato un cd regolarmente allegato, come capita in tanti libri, e con questa scusa mi hanno ritirato il computer. Devi sapere che qui qualsiasi cosa arrivi da fuori passa sotto lo scanner ( come quelli dell’aeroporto), se dentro una busta di corrispondenza risulta qualcosa che non è cartaceo, viene chiamato il recluso e gli dicono che bisogna aprire la busta perché c’è un oggetto non consentito. A tutti noi reclusi è capitato qualche volta, anche a me. Lo scanner è computerizzato, pertanto tutto viene registrato nel suo hard disk. Basterebbe controllare il computer dello scanner, per appurare che l’addetto al servizio sapeva del cd del libro, ma ora l’hanno usato come pretesto per ritirarmi il computer. Ti puoi immaginare come mi sento. Il computer lo uso per i miei studi universitari, per cercare di alimentare la mia conoscenza, consentendomi con il patrimonio culturale accumulato di poter dare una svolta alla mia vita e chiudere con il passato».

Damiano Aliprandi
da il dubbio

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