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Quando l’abuso diventa una regola. Repressione ai tempi del Covid19.

Da Torino a Catania, da Napoli a Sassari: multe, denunce e fermi aumentano in maniera preoccupante

«Contro il coronavirus serve l’esercito». Questo è il mantra che dall’inizio di marzo è entrato prepotentemente a far parte del dibattito pubblico. Non bastavano gli inviti da parte di politici, attori, sportivi, musicisti; per far rispettare il divieto a uscire servivano misure più forti. Ma servivano davvero? E soprattutto in che misura si possono ritenere efficaci e legittime?

Nelle prime settimane hanno spadroneggiato i tanti sindaci in versione “sceriffo”. Sono stati loro a scendere nelle strade, intimando i propri cittadini di restare a casa e rispolverando retoriche ultra-paternaliste. All’inizio molti sorridevano di questo atteggiamento. Sembrava essere partita la gara a chi fosse più folkloristico, ma con il passare dei giorni questi sindaci si sono attrezzati di droni, hanno cominciato a girare scortati dalla polizia locale, hanno utilizzato elicotteri.

La questione ha iniziato ad assumere dei contorni molti preoccupanti. Giorno dopo giorno sono aumentati i casi di repressione poliziesca, di violenze indiscriminate da nord a sud.

Nei primi giorni di aprile a Salerno un uomo è stato fermato da due carabinieri. Non risultano chiari i motivi del fermo, ma l’uomo si ribella e viene subito atterrato dai due militari che iniziano a picchiarlo mentre l’uomo è ormai steso a terra, disarmato. Arriva un terzo carabiniere e poi una seconda pattuglia. Alla fine, in cinque lo circondano, quasi tutti gli tirano a turno calci e manganellate.

Nei giorni scorsi a Torino due carabinieri hanno fermato un rider e lo hanno multato di 4000 euro.  A nulla sono servite le rimostranze del giovane. Ha cercato in tutti i modi di dimostrare che era in giro per lavorare, ma nonostante l’ovvietà della situazione i poliziotti hanno deciso di procedere con la multa.

Un’altra inspiegabile sanzione è stata comminata ieri a un libero professionista della salute, perché in questo clima ormai ci si sente investiti di un potere sconfinato e – il più delle volte – scriteriato. L’infermiere ha continuato legittimamente a svolgere assistenza domiciliare nella città di Napoli anche dopo le misure di lockdown. Un servizio che, mai come in questo momento, assume un rilievo sociale notevole. Ieri è andato in zona Vomero per assistere un paziente, ma è stato fermato da una volante della polizia. Dopo aver riferito agli agenti il motivo del suo essere in strada e aver mostrato il tesserino OPI da infermiere, gli agenti hanno insistito con le domande dicendo che di domenica pomeriggio non si vanno a svolgere prestazioni sanitarie. A un certo punto hanno spostato l’attenzione sulla mancanza della mascherina. Ma nonostante l’infermiere abbia fatto presente che si trovava da solo nell’abitacolo della macchina, gli agenti non hanno voluto sentire ragioni e gli hanno consegnato un verbale di 533,33 euro, ridotto del 30% se pagato entro 30 giorni.

Nell’ultimo weekend, oltre alle multe, i casi di abusi di polizia con violenza fisica sono aumentati in maniera preoccupante.

A Sassari una donna e il suo compagno sono stati fermati dalla Polizia Locale. Non si conoscono i motivi reali del fermo, probabilmente i due non volevano mostrare i documenti per paura di essere multati. Dopo alcune parole i due sono stati presi a calci e strattonati.

A Catania sono servite 13 persone appartenenti alle forze dell’ordine per fermare un uomo.  Sei volanti della polizia e tre uomini dell’esercito per bloccare il giovane che, secondo la ricostruzione dei fatti, sarebbe salito senza il biglietto sull’autobus. Dopo che l’autista gli avrebbe fatto notare la cosa il passeggero si sarebbe agitato, al punto di convincere il conducente a chiamare la polizia.  Per diversi minuti, hanno tentato di “calmarlo” e immobilizzarlo. Nelle immagini che sui social sono diventate virali si vede che i poliziotti intimano l’utilizzo di un taser. L’uomo dopo essersi disteso si è alzato nuovamente ed è a quel punto che hanno iniziato a volare i primi colpi di manganello e alcuni calci. I cittadini, vedendo la scena, hanno iniziato a gridare contro le forze dell’ordine. Lo sdegno, che è tantissimo sui social, inizia quindi a riversarsi in strada.

Domenica pomeriggio forse l’evento più eclatante: la polizia ha fermato una persona in corso Giulio Cesare in Torino. Tanta gente è scesa in strada, tanti urlavano dai balconi di casa contro le forze dell’ordine per i modi utilizzati durante l’arresto. Vista la quantità di gente scesa in strada sono arrivate altre volanti di rinforzo e, dopo accesi diverbi, quattro persone sono state ammanettate e portate via. Stamattina sono stati trasferiti al Carcere delle Vallette di Torino.

Quanto accaduto domenica in Corso Giulio Cesare potrebbe sembrare assurdo, ma si inserisce perfettamente nelle azioni portante avanti negli ultimi di mesi in alcuni quartieri di Torino, tra cui quello di Vanchiglia. Gli annunciati progetti di “riqualificazione” sono stati accompagnati da retate, incursioni, volanti in giro per il quartiere, repressione e sgomberi da ben prima della pandemia COVID-19. Con il lockdown la situazione è peggiorata. Le forze dell’ordine sono le sole legittimate ad aggirarsi per le strade.

Gli episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine si stanno moltiplicando ogni giorno di più. I fatti di Catania e Torino, in maniera diversa, iniziano a darci alcuni segnali di sdegno collettivo nei confronti delle azioni coercitive. Uno sdegno che inizia a prendere una forma corporea, a palesarsi nelle strade, a rompere una narrazione piatta di questa crisi che sta investendo in pieno ogni forma di vita.

Davide Drago

da GlobalProject

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