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La "tolleranza zero" del ministro Amato e il sovversivismo delle classi dirigenti

Il 15 agosto il Ministro dell’Interno, Giuliano Amato, ha conscluso la consueta conferenza stampa di Ferragosto sulla sicurezza nel Paese, annunciando la sua intenzione di adottare in Italia la linea di Rudolph Giuliani (che da sindaco di New York ha sviluppato una delle dottrine più reazionarie nel campo del governo della sicurezza del territorio). Per chi non lo sa, appartiene a questa scuola lo slogan della “tolleranza zero” che tutti sentiamo ogni giorno agitare dagli imprenditori della paura.Si parla, da un po’ di tempo a questa parte, di un processo di americanizzazione della nostra società, forse con un certo ritardo, dato che questa tendenza non si evince da oggi, dal tentativo esplicito di orientare verso il bipolarismo pesidenziale la riforma elettorale o nell’indebolimento sistematico e concentrico delle organizzazioni che difendono gli interessi collettivi. Prima ancora che questa tendenza arrivasse a maturazione, quella che è cambiata nel nostro paese è la narrazione prevalente, che nel simbolico, nella grammatica pubblica, ha prima delegittimato la questione sociale come variabile rispetto allo sviluppo economico, e poi, ha costruito sulle categorie dell’esclusione tutta la questione securitaria. Si è iniziato disciplinando la forza lavoro alle esigenze della flessibilità e si è poi esteso il concetto alla precarietà dell’esistente, alla crimanlizzazione di qualsiasi “marginalità”.Questo processo di scivolamento autoritario dura da anni, ed ha una specificità tutta italiana, che potremmo definire il sovversivismo delle classi dominanti. E il rigore monetario dei banchieri di Mastricht che presuppongono lo stato sociale minimo, è di questa logica la quadratura del cerchio: si riconfigura il ruolo dello Stato, si cancella ogni possibilità di contrattazione sociale e si bandisce il conflitto in nome della compatibilità, della stabilità, di un governo di pochi interessi in dialettica tra loro.Oggi il dibattito nella maggioranza al governo del paese delinea due opzioni di società con differenti linguaggi, sintetizzabili in pochi interrogativi: al centro della questione politica il risarcimento sociale o il risanamento economico? I diritti esigibili o quelli variabili? La precarietà o la stabilità? La sicurezza o la vivibilità dei territori? Queste dicotomie presuppongono sul piano simbolico e materiale due distinte narrazioni, che mi pare stiano sempre più emergendo fra una “sinistra sociale” ed il nascente Partito democratico. Ed è questa la sfida da rilanciare per intero nella manifestazione del 20 ottobre. Il welfare, infatti, – e l’appello è già parte di questa riflessione – non è solo Legge 30 e pensioni, ma anche politiche sociali, precarietà dei diritti e delle condizioni di vita di operatori e utenti, è la grande questione delle politiche dell’abitare, ed è soprattutto la definizione di un piano strategico di lotta alla povertà basato sul rispetto dei diritti esigibili. E’ dal valore aggiunto delle lotte materiali che i diritti sociali e civili crescono, perchè con essi cresce un’idea di società nuova, e noi dobbiamo lanciarla questa idea, proiettarla nel futuro investendo in un percorso di ricerca che intrecci le vari questioni come dinamica ricompositiva di un nuova soggettività sociale. Oggi l’esclusione dai soggetti dai diritti non avviene soltanto nella limitazione dell’accesso allo stato sociale, non avviene semplicemente declinando in emergenza securitaria l’esclusione sociale, ma si produce anche sul piano dei pronunciamenti etici, nel tentativo di definire in chiave neofamilista il welfare che esclude le coppie di fatto, come dall’assetto istituzionale di un federalismo fiscale che accentua le diseguaglianze fra regioni anziché attenuarle.La nostra storia, quella dei nostri nonni, e delle loro madri, ha visto più volte considerare i nuovi venuti, i nuovi poveri, portatori d’inciviltà, anche all’interno della classe stessa. Ma abbiamo anche visto come dai nuovi venuti sia cresciuto un popolo di uomini e donne in cammino, che rivendicando dignità acquistava potere derivante dalle forme autorganizzative e solidali che quel movimento si dava. Noi qui stiamo, tutti potenzialmente esclusi, tutti a rischio di precarietà e in attesa di diritti. “Uniti siamo tutto / divisi siam canaglie”, diceva una frase che circolava tra i lavoratori di Reggio Emilia un secolo fa, una frase che faremo bene a scrivere in molti degli striscioni che porteremo in piazza il 20 ottobre, perchè oggi è più attuale che mai.

Francesco Piobbichi
Responsabile Politiche sociali Prc-Se

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