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La posizione di Salvini sulla tortura spia di un sentire comune?

Leggendo le parole di Matteo Salvini, che si scaglia contro il reato di tortura, si sovrappongono nella mente le immagini del leader della Lega e quelle di Stefano Cucchi. Da una parte le ruspe, che stanno facendo piazza pulita di valori politici, culturali, umani, dall’altra il volto tumefatto di un giovane che aveva la vita davanti e che ha dovuto subire qualcosa di mostruoso.

L’Italia è uno dei pochi Paese europei che non ha ancora introdotto nel proprio ordinamento questo reato. Dovrebbe essere normale, scontato. Anche per i poliziotti: se uno agisce correttamente non deve avere paura di questa norma che non criminalizza ma tutela anche i funzionari dello Stato nell’esercizio delle loro funzioni. Ne dovrebbero avere paura solo coloro che non sono corretti e usano il proprio potere per ferire, far male, offendere.

In molti casi fino alla morte. Loro sì, dovrebbero aver paura. Ma non dovrebbe temere il reato di tortura chi invece fa il suo mestiere con attenzione e dedizione. Le forze dell’ordine sono chiamate a tutelare il cittadino, ma troppi casi invece ci raccontano di un uso della violenza per reprimere, spaventare, instaurare un regime di terrore tra coloro che la pensano in maniera diversa.

Il Parlamento italiano sta finalmente per introdurre il reato di tortura nel codice penale e questo, pur se accade in ritardo e dopo i richiami della Corte di Strasburgo, dà fastidio. Sollecita la protesta dei poliziotti che ieri hanno manifestato a Roma, Milano e Palermo, e dà fiato alle trombe di chi fa politica solleticando i peggiori istinti delle persone.

Salvini è uno di questi. “Se devo prendere per il collo un delinquente – ha detto ieri – lo prendo. Se cade e si sbuccia un ginocchio, sono cazzi suoi”. Non so a cosa si riferisse, ma a me – come dicevo all’inizio -vengono in mente altre immagini. Quelle di Stefano Cucchi o di Aldrovandi, le foto dei ragazzi picchiati alla Diaz o a Bolzaneto. Mi vengono in mente quei volti impauriti, ma anche quei volti che non hanno più vita.

Ma la frase di Salvini, racconta anche un altro aspetto che attraversa la questione del reato di tortura ma più in generale la cultura che si sta affermando in Italia rispetto a chi è presunto responsabile di un reato. Il leader della Lega li vorrebbe trascinare fisicamente, ma molti italiani -anche tra i più apparentemente vicini allo stato di diritto – pensano che per difendersi si possa e debba sparare (anche da soli), punire in maniera esemplare (per fortuna non si fanno sondaggi sulla pena di morte, se no – temo – si potrebbero avere amare sorprese), pensano che chi delinque una volta è marchiato a vita anche se ha scontato la pena. La frase di Salvini è la spia parossistica di un modo di pensare che in Italia sta diventando una terribile normalità.

Per questo è importante dare un segno diverso. Il rispetto delle regole, dello stato di diritto, è fondamentale. Oggi è la giornata internazionale contro la tortura e il Parlamento dovrebbe approvare prima possibile la legge che introduce il reato nel nostro codice penale. La battaglia per il rispetto dello stato di diritto è quotidiana, culturale e politica. Non si ferma a una norma.

Ma questa è importante e va riconosciuta. “La posizione del Sap (sindacato di polizia) – hanno commentato Patrizio Gonnella (Antigone), Massimo Corti (Acat) e Franco Corleone (Coordinatore dei garanti dei detenuti) – è fuori dalla comunità internazionale. Anche il Vaticano di papa Francesco ha codificato il crimine di tortura così come chiesto dall’Onu di Ban Ki-Moon”. Non c’è più tempo da perdere.

Angela Azzaro da il Garantista

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