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La libertà come terreno di lotta contro la guerra agli ultimi e la criminalizzazione del dissenso

La libertà come terreno di lotta contro la guerra agli ultimi e la criminalizzazione del dissenso.

Loro.

L’articolo di Alberto Custodero, pubblicato sul sito di Repubblica, delinea una realtàassolutamente discordante con la quotidianitàdescritta dai media. I dati riportati dall’articolo sono presi dalla relazione conclusiva del Ministero degli Interni del 2016 e stupisce leggere come alcuni reati siano in netta diminuzione, soprattutto quelli contro il patrimonio: -11,1% le rapine, -15,1% i furti in abitazione, furti ‘semplici’ -15,1%, le ricettazioni calano del 20,8%, le truffe e le frodi informatiche diminuisco del 12,8%. Anche il tasso di omicidi scende del 21%, solo 196 commessi nel 2016, un numero irrilevante rispetto agli 870 registrati nel 2013, tra questi 366 è il numero di migranti morti nel Mediterraneo il 3 ottobre a largo delle coste di Lampedusa. Sconvolge quest’ultimo dato che identifica chiaramente il ‘Mare nostrum’ come spazio – sceleratus – in cui la ‘Fortezza Europa’ si macchia ogni giorno di un gravissimo crimine contro l’umanità – scelus –.

Nonostante i dati in netta diminuzione, la percezione diffusa in quasi tutti gli strati della popolazione è di completa insicurezza. La paura per la realizzazione di un delitto che possa improvvisamente sconvolgere la nostra quotidianità si impone con forza nell’immaginario collettivo. Il terrore mediatico diffuso in seguito agli ultimi attentati – soprattutto quelli rimasti alla soglia del tentativo perché lasciano il dubbio sulla riproducibilità degli eventi – ha giocato un ruolo decisivo.

La fotografia del crollo delle Torri segna un momento di transizione importante nell’ultima fase dello sviluppo capitalistico: l’indirizzo di politica criminale della ‘global war on terror’ gradualmente si è imposto in tutti gli ordinamenti occidentali e da quel momento chiunque avesse minacciato – ‘peccando in pensiero e in azioni’ – l’ordine esistente sarebbe stato considerato un nemico e di conseguenza la sua posizione giuridica sarebbe stata regolatada un diritto penale eccezionale – come quelloin tempo di guerra – . Purtroppo bisogna constatare che le emergenze – il più delle volte ‘costruite’ – si susseguono in modo schizofrenico producendo continui cambiamenti strutturali negli ordinamenti. Il parto mostruoso di questa complessa macchinazione corrisponde ad uno ‘stato di eccezione permanente’ che finisce per regolare ogni ambito della vita sociale – del resto sia il cd. Jobs Act che la Loi Travaile sono il risultato di provvedimenti emergenziali –. La parola d’ordine che siafferma nell’agenda politica degli operatori del diritto è l’intramontabile ‘sorvegliare e punire’.

Desta altrettante preoccupazioni il metodo con cui vengono scritte le nuove fattispecie incriminatrici. Assistiamo ad una progressiva espansione della soglia di rilevanza penale del ‘fatto’: dalla commissione di una precisa – tassativa – condotta illecita, fino alle intenzioni che muovono il presunto autore. Esempio dell’incoscienza colpevole del legislatore è il ‘neonato’ art. 270 sexies c.p., rubricato ‘Condotte con finalità di terrorismo’. L’orrore normativo non permette di delineare precisamente i contorni del bene giuridico tutelato, una caratteristica che rende ancora più incerta l’identificazione dei comportamenti realmente offensivi, non offrendo neanche una gradazione del cd. ‘grave danno al paese’ – quando il danno è grave? –. E ancora, dalla stessa norma si legge l’ulteriore inciso infelice «…, per loro natura o contesto,…» riferito alle attività terroristiche.

Partendo da interpretazioni già fatte in passato e stressando i confini della norma,viene da chiedersi: quali condotte ontologicamente portano con se questa finalità e quali specifici contesti dovrebbero generarle?

Soggetti che occupano a scopi abitativi immobili pubblici abbandonati sottraendo porzioni di rendita allo Stato sono considerabili associazione terroristica? Un sindacato che lotta contro una azienda privata con partecipazioni statali attraverso scioperi lunghi e non preavvisati per ottenere migliori condizioni di vita, costituisce un’associazione terroristica ?

È chiaro, come dimostrato anche dalla sperimentazione giuridica fatta dalla Procura di Torino sul caso dell’alta velocità,come il sistema non vuole punire condotte realmente lesive ma è intenzionato a sanzionare tutti i soggetti che si scontrano contro questo modo di produrre e distribuire ricchezze. Uno slittamento quotidiano dal cd. ‘diritto penale del fatto’ al ‘diritto penale dell’autore’.

Rappresaglia che non persegue solo il soggetto quando reagisce alle condizioni di miseria, ma si scaglia con grande violenza contro gli ultimi delle nostre metropoli.

La disciplina del Decreto Minniti, ormai convertito con L. 49/2017, è un esempio classico di legislazione giuspositivista dei primi del XIX secolo contro le cd. ‘classi pericolose’ . Tossico-delinquenti, ladri, accattoni, vagabondi, ubriaconi, folli, più in generale tutti coloro che si discostano dal modello di uomo produttivo e consumatore (affezionato ai valori ‘dio-patria-famiglia’) devono essere allontanati dai centri storici e dagli snodi commerciali, produttivi e turistici delle città, con dispositivi falsamente amministrativi – DASPO urbano – che di fatto limitano la libertà delle persone.

Il fulcro della disciplina rappresentato dal bene giuridico onnivoro della ‘sicurezza e decoro urbano’ comprova il medesimo indirizzo legislativo che anima tutto l’ordinamento: bisogna colpire i soggetti, non le condotte .

Quindi, la normativa del Ministro ribadisce il medesimo concetto di sicurezza: non la sicurezza sul posto di lavoro, non la sicurezza di un tetto sotto cui dormire, non la sicurezza di un reddito dignitoso per non soffrire la fame, ma quella sicurezza che protegge daimiseri e dai tremendi, numerosi delinquenti!

Prolifera un regime di diritto penale mite per i ricchi e massimo per gli emarginati .

Le perversioni del sistema piegato dal regime della paura sconvolgono la struttura interna dell’ordinamento. L’ansia e il terrore seminati dai notiziari sui ‘nuovissimi mostri’ giustificano l’esplosione del sistema a due binari: sexoffenders, terroristi, mafiosi, recidivi, spacciatori… a ognuno il suo binario (la scelta processuale dei riti alternativi). Si definisce un labirinto di norme differenti e incomunicabili, accomunate dall’unicumstigma del nemico pubblico.

Anche lo ‘stato di salute’ delle nostre carceri percepisce dannosamente le ricadute causate da questa politica criminale. Difatti, tra i punti della riforma della giustizia appena approvata non manca l’ennesimo inasprimento sanzionatorio (rapina, art. 628 c.p.; furto con strappo o in abitazione art. 625 bisc.p.; furto aggravato 625 c.p.; scambio elettorale politico-mafioso, art. 416 terc.p. ). Intervento che impatterà in modo devastante sulla tenuta interna delle prigioni, molte delle quali già in sovraffollamento. E ancora, l’esplosione dei binari accennata la si ritrova tout court negli istituti di pena: ergastolani a cui è negato ogni beneficio, 41 bis, 14 bis, collaboratori di giustizia, tossicodipendenti, ancora sexoffenders e terroristi, detenuti in articolazione psichiatriche, collaboratori di giustizia, pentiti… sono solo alcune delle formule con cui si spacchettata la detenzione.  Il detenuto cd. comune è solo un vecchio fossile sotto cui si nascondono una miriade di percorsi detentivi, ognuno dei quali segue una vita carceraria distinta.

L’altro elemento di trasformazione dell’ordinamento è legato al tramonto – forse definitivo – della ‘società disciplinare’. La decadenza delle antiche strutture disciplinanti (come famiglia, scuola, chiesa) insieme con la scomparsa del ‘lavoro’ (la disoccupazione in alcuni territori del paese supera il60% ) rendono impraticabile l’‘educazione intramuraria’, compromettendo la tenuta dell’organizzazione sociale. Quindi nascono nuove e sofisticate tecnologie di controllo che invadono direttamente i territori. Si riscoprono le forme ibride del diritto penale– mi riferisco all’ampio ventaglio delle misure di prevenzione praeter delictum – e si impiegano nuovi strumenti come il braccialetto elettronico. Tecniche che pongono forti limiti alla libertà degli individui senza ricorrere alle antiche istituzioni totali. Lo sviluppo dell’iperincarcerazione, vera evasione del metodo-carcere dagli istituti di pena, si rafforza ogni giornoin tutte le metropoli occidentali.

In definitiva, da una parte si stringono le valvole di sicurezza dell’ordinamento, dall’altra si incriminano i disperati e chi si oppone alla barbarie. Non finisce qui, sembra infatti che la nuova ondata repressiva teorizzi di fatto il reato di solidarietà. Proprio la sperimentazione avviata dalla Procura di Palermo nei confrontidelle Ong., accusate di facilitare gli sbarchi dolosamente soccorrendo-trafficandoi migranti nel Mediterraneo, ha avuto grande successo politico. È chiaro: dare aiuto a chi annega è attività dannosa e offensiva. Questi signori hanno dimenticato che la ‘Legge del mare’, la stessa che accompagnava i marinai fenici nei loro viaggi, impone ai naviganti di non lasciare nessuno in mare.

Noi.

A fronte del panpenalismo imperante che diffonde il dubbio su quali e quante siano le condotte criminali (si contano più di 5000 fattispecie!), cosa fare?

Senz’altro rinunciare alle narrazioni tossiche che dividono in buoni e cattivi, legali e illegali, democratici e non. Perciò ricostruire il racconto delle lotte attraverso il nostro quadro valoriale che impone la centralità dell’umanità con i propri bisogni e non il profitto. Ciò significa rivendicare le pratiche che permettono di modificare concretamente i rapporti di forza anche quando infrangono i confini delle norme. Difatti, senza aderire al conflitto come effimero canone estetico, bisogna riscontrare come la lotta contro la tav, le battaglie della logistica, le occupazioni a scopo abitativo, siano esempi di uno scontro politico vincente: nonostante le misure cautelari, le feroci cariche, i processi intimidatori, quelle rivendicazioni hanno prodotto risultati favorevoli per la compagine sociale.

Sforzarsi di estendere le prassi di lotta comporta condividere le cassette degli attrezzi teorici e pratici, rifiutando di interpretare il triste ruolo della vittima. Il sistema sarà sempre più brutale e l’irrigidimento delle strutture repressive, prima abbozzato, è sintomo di una debolezza intrinseca del potere: le centrali di comando sono coscienti dell’esistenza di molte contraddizioni endogene che non possono essere risolte secondo le leggi del profitto. L’ipertrofia delle formule repressive – cinetiche e potenziali – tende ad assicurare un grado di effettività maggiore alle politiche di macelleria sociale. La rottura di questo muro di gomma è possibile solo proiettando le pratiche di mutualismo sociale, di autorganizzazione dal basso, di rivendicazione conflittuale verso l’immaginario reale e necessario del rovesciamento degli interessi. Raccontare la repressione alimenta solo un moto circolare regressivo – nella migliore delle ipotesi autoreferenziale – e non espansivo di riappropriazione di spazi di vita costantemente ricattati dal vincolo della stabilità e del bilancio.

Dunque, la ‘libertà’ – di movimento, di organizzazione, di sciopero, di evasione dalla sorveglianza quotidiana… – deve diventare terreno di lotta quotidiano rappresentando una chiave di lettura trasversale alle battaglie contro il dominio del capitale. Non più un vessillo effimero da agitare solo quando le ‘realtà di movimento’ vengono ristrette, ma uno spazio di riflessione e di vertenza che va affrontato ogni giorno.

Le energie che si stanno sprigionando in tal senso non possono trascendere dal legame tra il mondo politico e quello della comune illegalità: l’ordinamento, coerente nelle sue parti, aumenta i metodi di reclusione che ricadono sututti. Quindi la lotta per restringere l’area di intervento del diritto penale deve abbracciare necessariamente anche le sfere della comune delinquenza – oggi schiacciate da condizioni carcerarie subumane –. D’altronde è un ragionamento elementare pensare che il numero di reati contro il patrimonio –in netto calo come detto – diminuisce non con l’aumento costante degli anni di carcere (oggi per una rapina aggravata si può sfiorare la soglia dei 20 anni di carcere) ma con la redistribuzione delle ricchezze! Il diritto penale non può essere invocato come soluzione unica per le contraddizioni di questa società, è extrema ratio e tale deve rimanere. Per tali motivi una battaglia che riveda la repressione in ogni suo aspetto deve mirare ad un’amnistia generalizzata.

Sappiamo che la catena di comando è più complessa e molte volte le direttive che animano le legislazioni nazionali viaggiano dal centro dell’Europa per irradiare i singoli ordinamenti nazionali. Di tutta risposta, la connessione tra le esperienze di lotta diventa vitale per costruire gradualmente una risposta efficace sul piano internazionale. Le singole declinazioni legislative coerenti con gli indirizzi europei vanno monitorate e condivise per tracciare un disegno chiaro dell’attuale congiuntura politico-criminale. A tutto questo può dare risposta la costruzione di un Osservatorio europeo sulla repressione.

Le giornate di lotta di Amburgo lo stanno dimostrando, non c’è controllo che tenga quando la lotta si generalizza. Il cuore dell’Europa trema e i dispositivi costruiti per conservare questo stato di cose perdono immediatamente efficacia.
«Avete Sentito? È il suono del vostro mondo che crolla».

Luigi RomanoRete Mutuo Soccorso Napoli

Note:

Per tutti i temi trattati si tenga presente il lavoro di A. Baratta, Criminologia critica e critica del diritto penale. Introduzione alla sociologia giuridico-penale (Bologna 1982) Per l’articolo si veda A. Custodero, Furti, omicidi, rapine: il passo indietro della criminalità in http://www.repubblica.it/cronaca/2016/08/12/news/dati_criminalita_-145830751/

E. Raùl Zaffaroni, Pericolosità e crimini di massa, in S. Moccia e A. Cavaliere, Il modello integrato di scienza penale di fronte alle nuove questioni sociali (Napoli 2016) 75-98. Sugli effetti del populismo penale v. L. Ferrajoli, L’abuso del diritto penale nella società della paura, in S. Moccia e A. Cavaliere, Il modello integrato di scienza penalecit. 99-120.

V. A. Valsecchi, Brevi osservazioni di diritto sostanziale, in Dir. pen. e proc. 10 (2005), 1222 ss., Id. Il problema della definizione del terrorismo, in Rivitdir. e procpen. (2004), 1127 s.

Cfr. G. Campesi, Il controllo delle nuove classi pericolose: sottosistema penale di polizia e immigrati, in Dei delitti e delle pene 1-2 (2003) 146-243.

C. Ruga Riva, Il D.L. in materia di sicurezza delle città: verso una repressione urbi et orbi? Prima lettura del D.L. 20 febbraio 2017, n. 14 in www.penalecontemporaneo.it.

[1] Come dimostra l’opinione di gran parte della stampa quando tratta il tema della carcerazione dei professionisti. Si v. A. Barbano, Napoli appaltopoli e le manette rotte in http://www.ilmattino.it/napoli/citta/napoli_appaltopoli_e_le_manette_rotte-2355666.html.

V. F. Palazzo, La Riforma penale alza il tiro? in Diritto penale contemporaneo 1 (2016) 52-60.

Per una lettura più attenta dei dati v. L. Naka Antonelli, Non è un paese per giovano. Disoccupazione fino al 60% in http://www.wallstreetitalia.com/non-e-un-paese-per-giovani-disoccupazione-fino-a-60-nel-sud-italia/.

 G. Deleuze, Pourparler (Milano 2000) 234-239.

 

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