Menu

La guerra tra poveri, tutti contro tutti

Viviamo tempi difficili perché non basta più riconoscere (per resistere) i 10 comandamenti che il neoliberismo ha svelato poco a poco negli ultimi trent’anni (mercato, azzardo, debito, repressione…), ma anche perché, ormai è sempre più evidente, pensare di superarli attraverso la via istituzionale è nel migliore dei casi una generosa illusione. Intanto la guerra sociale di tutti contro tutti è cominciata. Siamo dunque chiamati prima di tutto a dirigere la nostra rabbia verso un lavoro territoriale di lunga lena, in grado di creare e accompagnare pratiche concrete e collettive di un mondo diverso

La società odierna, che introduce il singolo individuo a sentirsi nemico di tutti gli altri, genera in tal modo una guerra sociale di tutti contro tutti che in taluni, specialmente se incolti, finisce inevitabilmente per assumere una forma brutale. Così Friedrich Engels nel 1845 descriveva un fenomeno che anche oggi si manifesta in tutta la sua assurdità. Come siamo passati dall’autocoscienza collettiva degli anni Settanta, caratterizzata da forti antagonismi, alla stagione del rancore e della nostalgia sociale? Come siamo passati ad un così basso livello di umanizzazione e di civiltà in cui la principale modalità di gestione dei conflitti è la costruzione di muri materiali, mentali e invisibili?

Vorrei fornire un percorso ad un possibile decalogo neoliberista o del capitalismo finanziario globalizzato e deregolato.

(-) Stato sociale (+) stato penale: punire i poveri e il nuovo governo dell’insicurezza sociale = “l’ordine delle cose”. L’epopea della pubblica sicurezza, comparsa improvvisamente alla fine del XX secolo sulla scena politica dei Paesi dell’Unione europea dopo aver invaso lo spazio pubblico negli Stati Uniti vent’anni prima, è il risultato della crisi dello stato sociale. “L’ordine delle cose” consente l’irruzione dello stato penale con relative ripercussioni pratiche e ideologiche sulle altre società sottomesse alle riforme promosse dal neoliberismo. Ripetitività di crudeltà e violenze come in un filmato pornografico. Anche se il costo sociale pubblico in Italia non è diminuito. In Italia (dati Ocse 2016 riferiti al 2015) il 28,6% è la quota di Pil investita in spesa pubblica sociale, ma il 16,4 % – più della metà va alle pensioni e un 6,8 % ulteriore alla sanità. Quasi 2/3 va via in pensioni e sanità mentre in mezzo alla crisi scricchiola il sostegno per la casa, ai poveri, disabili e famiglie.

(-) stato di diritto (+) stato di mercato (vedere privatizzazioni, precarizzazioni sociali e lavorative). La grande stagione referendaria per l’acqua bene comune dimostra che questo popolo aveva intuito il grande rischio della trasformazione, dal diritto al mercato, ma pur avendo lavorato molto e vinto, non abbiamo ottenuto i risultati che ci prefiggevamo. Ora che i capitali privati di proprietà cercano nuovi lidi speculativi, la gestione dei servizi essenziali vede sempre più l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti, come ad esempio, nel riacquisto di pacchetti (4,6%) di Telecom e Banca Intesa entrando in tutti gli uffici postali per offrire mutui e prodotti finanziari. L’ufficio postale è emblematico di come il pubblico diventa sempre più privato.

(+) azzardo (+) più ricchezza. Come l’ascesa della finanza speculativa, che è nella sostanza un azzardo sulla pelle di persone, dei popoli e del pianeta così, si insinua nella inconsapevolezza collettiva una illusione: se possono arricchirsi scommettendo e azzardando perché non potremmo farlo anche noi? L’arricchimento è il sogno segreto degli italiani ed è un’arma di distrazione di massa formidabile. La finanziarizzazione o verticalizzazione dei rapporti determina la debitocrazia. Esso è il potere, che a livello privato, ci condiziona negli acquisti a debito e a livello pubblico ci fa subire la speculazione sui titoli di stato del debito pubblico e riversa il costo delle crisi economiche dal sistema bancario privato e speculativo al sistema pubblico. Ogni famiglia italiana ha sborsato e sborserà 1.500 euro per salvare le banche.

Impoverire le società sottomesse. Come ha evidenziato Francesco Gesualdi, in uno studio si dimostra che ancora oggi l’Africa elargisce al mondo più ricchezza di quanta ne riceva. La conclusione è che nel 2015 a fronte di introiti finanziari per 161 miliardi di dollari, l’Africa ha avuto un esborso di 202 miliardi, risultando un creditore netto per 42 miliardi di dollari.

Provocare spaesamento e sradicamento: flussi migratori forzati epocali. Questo crea da parte dell’Occidente un enorme debito sociale, storico, ambientale, economico nei confronti dei paesi di origine dei migranti.

6° Non avrai altro dio. Creare e instillare l’interiorizzazione dei disvalori del capitalismo deregolato che trasforma i popoli in una massa egoista dominata da un mercato turbolento e sregolato e affidando “l’ordine dei conti” a un sistema finanziario ideologico ristretto, poco trasparente, alleato con il crimine e le multinazionali della morte (industrie belliche).

Punire la povertà. La miseria, la povertà, l’emarginazione non esiste e se qualcuno ne è portatore sano occorre chiuderlo, ghettizzarlo, eliminarlo come si tendeva a fare con la pazzia.

Guarda solo alla ricchezza. Abbiamo subito il fascino dell’arricchimento per cui il ricco o chi ha successo o potere per sé stesso è da invidiare, emulare, seguire, mentre gli altri sono da buttare giù nel precipizio.

Resta nel grande fratello! Controllare il mercato dei dati privati: quando il sistema che stai usando è gratis il prodotto sei tu.

10° Distruggi la classe media. È un processo comune ad altri paesi europei, che nel nostro paese, ha assunto i tratti della desertificazione. Con le conquiste degli anni 70, quel mondo del lavoro era diventato classe media- anche e purtroppo attraverso l’interiorizzazione del pensiero unico del mercato. Le politiche liberiste hanno frammentato il mondo del lavoro, hanno interrotto l’ascesa sociale attraverso il pubblico impiego e hanno terremotato la classe media.

Ne traggo, insieme a Marco Bersani, alcune valutazioni anche alla luce dei recenti risultati elettorali.

1) Ha vinto la socializzazione del rancore. Dentro la frammentazione sociale sopra accennata, e in mancanza di una visione altra che potesse canalizzare la frustrazione, la reazione e il voto degli italiani dimostra la vittoria della socializzazione del rancore, declinata secondo le categorie dell’individualismo meritocratico cittadino (M5Stelle) o secondo le categorie del proprietarismo razzista (Lega).

2) La transizione è in cortocircuito. Qualsiasi sia il quadro che emergerà nel balletto delle consultazioni per il nuovo governo, la condivisione da parte delle forze politiche degli assiomi di fondo della dottrina liberista (individuo vs società / proprietà vs. comune / merito vs. solidarietà) non muterà la cornice di subalternità all’economia del debito e dell’austerità; di conseguenza, l’impossibile canalizzazione del rancore verso l’alto (che diverrebbe rabbia collettiva e trasformativa) aumenterà la canalizzazione verso il basso (razzismo).

3) Ci vuole un popolo perché eserciti il potere. Perché si possa dire “potere al popolo” occorre ricostruire la materia prima, ovvero il popolo. Il capitalismo non sta per niente bene, ma pensare di superarlo attraverso la via istituzionale è nel migliore dei casi una generosa illusione. Senza ricostruzione sociale dal basso, l’egemonia la costruiscono i media mainstream. Serve un lavoro territoriale di lunga lena, perché quando le contraddizioni del modello esploderanno definitivamente, le persone sappiano già dove dirigere la rabbia e da quali pratiche concrete mettere in campo l’alternativa. È il tempo delle convergenze collettive e il tema del debito lo sta dimostrando: dalla carta di Genova, al Cadtm, agli audit civici e all’audit sul debito pubblico italiano.

Antonio De Lellis

da Comune-Info

Leave a Comment

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>