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La fortezza Europa dei fili spinati. Dodici Paesi chiedono alla Ue di finanziare muri anti-migranti

La richiesta in una lettera alla Commissione Ue. Che non condanna la proposta ma risponde che: «Stati liberi di costruire barriere, ma non con i soldi europei»

Chiedono soldi per costruire nuove barriere anti-migranti ai confini, ma soprattutto vorrebbero cambiare, una volta per tutte, le politiche Ue sull’immigrazione puntando a costruire un’Europa sempre più chiusa verso gli stranieri.

È il succo di una lettera inviata ieri alla Commissione europea e alla presidenza di turno slovena da 12 Stati ai quali non dispiacerebbe poter attingere al bilancio europeo per innalzare altre e più robuste barriere ai confini esterni dell’Unione.

Lettera messa a punto nei giorni scorsi dall’Estonia, ma subito sottoscritta anche da Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Grecia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Polonia e Slovacchia e resa pubblica nel giorno in cui in Lussemburgo i ministri dell’Interno dei 27 si incontrano proprio per discutere di immigrazione.

L’Europa «ha bisogno di adeguare il quadro giuridico esistente alle nuove realtà» dettate dai flussi migratori, scrivono i 12 firmatari. «Siamo convinti che sia più pertinente e sostenibile concentrarsi su una maggiore protezione delle frontiere, standard comuni per la protezione delle frontiere esterne e la prevenzione degli attraversamenti illegali». Scontata la conclusione proposta: «La barriera fisica sembra essere un’efficace misura di protezione delle frontiere che serve l’interesse dell’intera Ue».

Barriera, anzi barriere, che i 12 vorrebbero finanziate dall’Unione europea, a partire dai muri che Lituania e Polonia stanno costruendo al confine con la Bielorussia per fermare i migranti che il regime di Alexander Lukashenko spinge verso l’Europa.

L’OBIETTIVO della lettera in realtà sembra essere più ambizioso del semplice, per quanto importante, tentativo di far pagare a Bruxelles scelte che sono solo degli Stati membri. Il Piano su immigrazione e asilo presentato l’anno scorso dalla Commissione von del Leyen è infatti ancora fermo al palo e con esso le modifiche chieste dai Paesi del Mediterraneo, delusi dalla mancata riforma del regolamento di Dublino. Paesi che, Italia in testa, vorrebbero una maggiore assunzione di responsabilità nella gestione dei migranti da parte degli Stati membri. Se le richieste avanzate ieri dai 12 dovessero passare equivarrebbe a mettere probabilmente fine per sempre a ogni speranza di riuscire a distribuire i richiedenti asilo tra gli Stati membri. Una svolta «trumpiana» che liquiderebbe quel che resta delle politiche di accoglienza dell’Ue.

DIVERSE LE REAZIONI dei vertici europei alla lettera. Alla scontata adesione della presidenza slovena alle richieste dei 12 (il ministro dell’Interno di Lubiana, Ales Hojs, ha detto che «la Slovenia sosterrà la proposta»), ha fatto da contraltare la freddezza della Commissione Ue e in particolare della commissaria Ylva Johansson, che ha respinto al mittente ogni richiesta: «Se uno Stato membro ritiene che sia necessario costruire una recinzione, lo può fare e non ho nulla da obiettare», ha detto la responsabile agli Affari interni. «Utilizzare fondi dell’Ue per finanziare la costruzione di una recinzione anziché altre attività molto importanti, questo è un altro paio di maniche».

LA LETTERA DEI 12 rappresenta un assist per Matteo Salvini, che infatti non perde l’occasione: «Se ben 12 Paesi europei con governi di ogni colore chiedono di bloccare l’immigrazione clandestina, con ogni mezzo necessario, così sia. L’Italia che dice?», chiede il leader della Lega. In realtà la proposta di alzare nuove barriere non piace a Roma. convinta che la lettera dei 12 no troverà particolare ascolto in Europa.

A Lussemburgo al ministra Luciana Lamorgese ha ricordato ancora una volta come gli arrivi più numerosi si registrino ancora via mare e non certo lungo la rotta balcanica, mare sul quale è impossibile innalzare muri di alcun tipo. Ed è tornata a sollecitare Bruxelles a mantenere gli impegni economici presi con i Paesi di origine dei migranti.

Duro, invece, il commento dell’ex medico di Lampedusa, oggi parlamentare europeo, Pietro Bartolo, per il quale ormai «siamo alla sfida finale». «I sovranisti si organizzano e vanno all’attacco. Altro che solidarietà o nuovo patto sull’immigrazione – ha detto Bartolo -. Siamo tornati ai muri e all’incapacità di affrontare un fenomeno che nessuna barriera potrà mai arginare».

Carlo Lania

da il manifesto

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I muri d’Europa. Nuove richieste vecchie pratiche, da Ceuta a Evros

Dalla Spagna alla Grecia, contro i migranti confini blindati con sistemi sempre più sofisticati

Più di mille chilometri di recinzioni, barriere, ostacoli e tutto ciò che è possibile utilizzare per fermare i migranti. La lettera con cui 12 Paesi chiedono all’Unione europea di facilitare e finanziare la costruzione di nuovi sbarramenti è solo un modo per provare a ufficializzare una pratica che nel Vecchio continente esiste da anni, al punto che già oggi si contano almeno una decina di muri già innalzati per fermare presunte invasioni da parte di chi fugge da guerre e miseria. Una politica di sicurezza sempre più sofisticata, che all’iniziale utilizzo di recinzioni metalliche e filo spinato col tempo ha visto l’introduzione di sistemi di sorveglianza sempre più sofisticati rappresentati da telecamere, sensori per individuare il passaggio di persone, sistemi biometrici di rilevamento delle impronte e sistemi radar, fino all’utilizzo dei droni (quest’ultimi utilizzati soprattutto in mare per individuare i barconi dei migranti).

Le politiche securitarie degli Stati hanno finito così per alimentare un business che in tutto il mondo, stando al rapporto The business of building walls curato nel 2019 dal The Transnational Institute (Tni) è stato stimato per il 2018 in 17,5 miliardi di euro, con una crescita annuale prevista almeno dell’8%. E in questo mercato, del quale l’Europa rappresenta una fetta consistente, giocano un ruolo da protagoniste non solo le imprese di costruzioni, ma anche quelle si occupano di armamenti e quelle specializzate in informatica e sicurezza. Innalzare barriere per uno Stato rappresenta quindi anche un notevole peso economico che adesso si cerca di far pagare all’Unione europea.

Muri dunque. Storica la recinzione che la Spagna ha costruito negli anni ’90 nell’enclave di Ceuta e Melilla in Marocco, divenuta col tempo sempre più alta e sempre più pericolosa con l’utilizzo di lame per impedire ai migranti di scavalcare.

In Grecia una barriera di oltre 40 chilometri eretta lungo il fiume Evros separa il confine con la Turchia. Atene ha anche annunciato la costruzione di una nuova barriera marittima alta 110 centimetri e lunga 2,7 chilometri tra la Turchia e l’isola di Lesbo per fermare gli attraversamenti.

In Ungheria il leader Vicktor Orbán ha invece cercato senza successo di far rimborsare da Bruxelles i soldi spesi nel 2015 per innalzare 289 chilometri di muro di ferro ai confini con Serbia e Croazia.

Nuovo confine, vecchio muro. Anche la Bulgaria ha scelto di prevenire possibili arrivi dalla Turchia costruendo una barriera lunga 235 chilometri. Muri anti-migranti sono stati costruiti anche dalla Slovenia lungo il confine con la Croazia e dall’Austria con la stessa Slovenia.

Infine la recente crisi nata nei mesi scorsi ai confini con la Bielorussia ha portato Polonia e Lituania a costruire due nuovi muri per fermare i migranti che, secondo Varsavia, il regime di Alexander Lukashenko costringe ad entrare in Europa come ritorsioni per le sanzioni adottate da Bruxelles.

Leo Lancari

da il manifesto

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Sempre più difficile fuggire dalla Libia

Nei primi 9 mesi del 2021 sono arrivate in Italia 46.617 persone via mare (oggi sono 47.959). Tra loro 16.658 erano partite dalla Tunisia e 20.979 dalla Libia, dirette in Sicilia. Le altre 8.980 sono sbarcate in Sardegna, Puglia e Calabria partendo da Algeria, Grecia e Turchia. Tra i numeri forniti ieri dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni è però quello delle intercettazioni compiute dalla sedicente «guardia costiera» di Tripoli a colpire di più: 25.285.

Oltre la metà delle partenze dall’inferno libico, dove un recente rapporto Onu ha documentato «crimini di guerra», sono state sventate e le persone riportate indietro a forza. Un triste segnale che i finanziamenti italiani ed europei stanno avendo effetto. Intanto ieri Unhcr ha denunciato una «sparatoria indiscriminata» nel centro di prigionia Al Mabani.

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Il video choc sui respingimenti illegali in Grecia e Croazia

L’inchiesta di Lighthouse Reports. Le immagini mostrano le violenze di uomini armati e incappucciati contro i richiedenti asilo. La Commissione Ue chiede spiegazioni. Anche la Romania coinvolta

Sempre più accesa la polemica tra la Commissione europea e il governo greco sull’immigrazione. Questa volta Atene è stata messa sotto accusa (insieme con la Croazia) dalla rete di giornalisti europei Lighthouse Reports. La rete, specializzata in giornalismo investigativo, ha consegnato in questi giorni alla Commissaria europea per l’Immigrazione Ylva Johansson un voluminoso dossier comprendente non solo testimonianze di giornalisti approdati nelle isole greche travestiti da pescatori ma anche video, foto e perfino immagini satellitari.

SONO LE PROVE incontestabili che le autorità greche applicano sistematicamente la pratica illegale dei respingimenti dei migranti e richiedenti asilo che hanno la sfortuna di sbarcare nelle isole dell’Egeo. L’illegale opera di respingimento viene messa in pratica principalmente dalla Guardia Costiera e dalla polizia. Secondo Lighthouse, sia la Grecia che la Croazia (ma anche la Romania) hanno creato delle “unità speciali”, che ufficialmente non esistono, di uomini mascherati le cui uniformi sono state private di ogni dettaglio identificativo. «La Croazia utilizza i fondi dell’Ue per finanziare queste operazioni alle frontiere – denuncia Lighthouse – Sulla base dei documenti nel database delle gare d’appalto dell’Ue, sappiamo che i costi per le giacche, l’alloggio e le diarie per gli ufficiali sono pagati dal Fondo di sicurezza interna (Isf) dell’Ue».

IN CROAZIA nelle “unità speciali” vengono arruolati agenti di polizia, in Grecia si ricorre a uomini della Guardia Costiera specializzati nella lotta contro il contrabbando ma anche ai corpi speciali delle forze armate. Questi agenti hanno come unico scopo individuare, arrestare e rimandare in Turchia i richiedenti asilo. In alcuni video sono ripresi mentre, con il volto coperto, assaltano con arpioni i barconi dei migranti sparando colpi di avvertimento. In altri filmati le motovedette della Guardia Costiera greca trascinano verso le acque turche intere famiglie di immigrati che galleggiano dentro i salvagente arancioni.

LE NUOVE RIVELAZIONI hanno suscitato accese reazioni in Europa. «Nel caso dei respingimenti la Commissione non esiterà a ricorrere a tutte le misure previste dalla procedura d’infrazione. Lo abbiamo già chiarito: i respingimenti sono illegali. Le autorità locali hanno la responsabilità di verificare la consistenza di ogni denuncia, ma ci deve essere anche un controllo autonomo e maggiore trasparenza su quello che succede nelle frontiere dell’Ue», ha commentato il portavoce della Commissione Adalbert Jahnz. Da parte sua, la responsabile per i Balcani di Amnesty International Jelena Sesar ha ricordato il rifiuto del governo greco di stabilire nelle zone di confine un meccanismo che controlli il rispetto dei diritti dell’uomo, «malgrado il fatto che, secondo i fatti registrati da Amnesty, i respingimenti e la violenza contro profughi e immigrati siano di fatto la politica seguita dalla Grecia nei suoi confini».

LA COMMISSARIA Johansson ha espresso subito la sua «grande preoccupazione» e ha chiesto spiegazioni al governo greco. Ieri, prima di incontrarsi con lei, il ministro greco per l’Immigrazione e l’Asilo Notis Mitarakis ha voluto rompere il silenzio con cui aveva accolto nei giorni scorsi le rivelazioni e le denunce di Lighthouse, ma la sua dichiarazione che doveva smentire le responsabilità in sostanza conferma la politica di respingimenti seguita in maniera sistematica dal suo governo: «Respingiamo categoricamente le accuse sui presunti respingimenti. Le frontiere greche sono frontiere dell’Ue e noi ci comportiamo per proteggerle secondo il diritto internazionale ed europeo. I flussi illegali sono estremamente pericolosi e devono essere scoraggiati, secondo la Dichiarazione Congiunta del 2016, la corretta applicazione della quale deve essere garantita dall’Ue. L’Europa continua a essere obiettivo di reti di trafficanti che sfruttano persone desiderose di entrare illegalmente in Europa. Non chiediamo scusa per il fatto di essere permanentemente impegnati a sgominare tali reti di trafficanti di esseri umani e di proteggere le frontiere dell’Ue».

Dimitri Deliolanes

da il manifesto

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