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Il razzismo “democratico” di Pd e Sel: bus separati per rom e migranti

La giunta del comune di Borgaro Torinese ha avanzato la proposta di raddoppiare la linea dell’autobus 69 in modo da separare coloro che vivono nel vicino campo rom da chi si reca in città. Le motivazioni? Lamentele continue dei residenti rispetto al dilagare di scippi, rapine e atti di vandalismo perpetrati (in maniera unilaterale) dalla comunità rom.

Il copione ricalca situazioni e scenari già visti, specie quando si tratta di far coincidere l’aumento di microcriminalità con la presenza di “zingari” e immigrati, e non sarebbe nemmeno così originale se non fosse che la proposta arriva direttamente da un’amministrazione di centrosinistra, capeggiata da PD e SEL. Il punto però non è nemmeno nella vergognosa presa di posizione di questi due partiti – il fatto che entrambi abbiano appoggiato lo scempio di Mare Nostrum sarebbe sufficiente per non accordare loro un briciolo in più di fiducia rispetto alla questione accoglienza/immigrazione – ma nella spregiudicata leggerezza con cui questa decisione è stata presa.

Se il problema si pone nei termini di una mancata integrazione e di una difficile gestione dei rapporti tra comunità (come in questo caso) la risposta di PD e SEL è una segregazione 2.0 che viene sbandierata come la più rapida possibilità di risolvere i contrasti. Non c’è traccia della volontà di intraprendere un lavoro politico sul territorio che vada a fondo delle contraddizioni e delle difficoltà che possono intercorrere in una realtà di periferia, nessuna possibilità anche solo di immaginare una soluzione che non sia marginalizzante, discriminatoria e costrittiva.

E dire che basterebbe scavare soltanto un po’ nel recente passato per rendersi conto che soluzioni di questo genere servono solo a diffondere sfiducia, ad alimentare la paura e ad innalzare capri espiatori all’altare della pubblica gogna. Salvo poi – ovviamente – esprimere sincera commozione e lanciare accorati rimproveri quando i campi rom vengono dati alle fiamme sulla base di pretesti completamente falsi o, come in questo caso, creati ad hoc.

E’ bene dirsi, perciò, che situazioni di questo tipo non fanno altro che tirare acqua al mulino della Lega e di chi, negli ultimi mesi, sta impostando la sua agenda politica mettendo al primo posto la questione immigrazione non più da un punto di vista banalmente ideologico, ma – similmente al consiglio comunale di Borgaro – tramite una retorica vittimista e giustificazionista che rischia di fare breccia anche in tessuti della società che si ritengono storicamente impermeabili a certi slogan. Il mantra ripetuto del “non sono razzista, ma”, il tentativo di porsi come parte lesa che tenta però di aiutare il prossimo (“lo dico nel loro interesse, qui in Italia non trovano niente”) rischia paradossalmente di trovare consensi più a “sinistra” che altrove. Lo stesso rilancio di Grillo sul tema nelle ultime settimane è sintomatico di una politica che non riesce (e non vuole) affrontare disoccupazione, precarietà e crisi economica preferendo offrire una lettura stereotipata e semplicistica della realtà.

Per di più lo scenario in cui vengono avanzate proposte come quelle del bus di Borgaro è decisamente grottesco: per rimanere nella sola provincia di Torino, sarebbe interessante chiedere al comune come pensa di poter raddoppiare una linea dopo che proprio ieri è stato lanciato l’allarme sulla mancanza dei fondi GTT che, nel breve periodo, potrebbe significare l’interruzione serale del trasporto pubblico. Eccola dunque servita, la nuova guerra tra poveri: invece di criticare la malagestione e la privatizzazione selvaggia delle aziende municipali, si tenta di sviare l’attenzione sull’ennesimo caso di criminalità comune, si alimentano gli stereotipi e si trovano soluzioni drastiche e funzionali sul breve periodo, almeno per quanto riguarda la propaganda.

Ovviamente, anche le risposte “da sinistra” rispetto alla questione lasciano il tempo che trovano. Per un esempio concreto basta leggere l’autorevole punto di vista di Gramellini su La Stampa rispetto alla proposta dei bus separati: ad una presa di posizione indecente si risponde con uno slancio giustizialista e forcaiolo che non ha nulla da invidiare al Gentilini dei tempi d’oro.

A questi deliri di onnipotenza conviene, come sempre, rispondere con il pragmatismo della realtà. Non sta a noi infatti prendere posizione nel misero teatrino della politica di palazzo, né ci interessa fare da spettatori all’ennesima sterile rappresentazione di chi specula sui bisogni e sulle paure delle persone per nascondere la vacuità dei propri contenuti.

A questi squallidi esempi preferiamo infatti contrapporre la dignità di chi si vede privato della propria casa e resiste allo sfratto (anche nei campi rom) e si ritrova costretto ad occupare per fare fronte ad un bisogno fondamentale, oppure la forza e il coraggio di migliaia di facchini, italiani e migranti, che resistono quotidianamente contro l’arroganza padronale, o ancora la rabbia e il desiderio di libertà di coloro che vengono rinchiusi nei cie-lager di tutta Italia dopo avere abbandonato la propria casa e i propri famigliari.

Alla meschinità e alle strumentalizzazioni dei governanti, opponiamo le pratiche quotidiane della solidarietà, della lotta e della resistenza.

da InfoAut

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Se gli autobus diventano polveriere sociali

Alzi la mano chi nel corso degli ultimi sei mesi, nelle grandi città, non abbia sentito di qualche aggressione ai danni di personale e conducenti di mezzi pubblici, spessa resa in termini drammatici, se non splatter. Nella realtà potranno essere quante, o addirittura inferiori alle angherie verso i viaggiatori di controllori più simili ad esattori fiscali che a persone o di autisti particolarmente esagitati (senza nulla togliere, anzi facendo sentire la nostra vicinanza e gratitudine a quanti in questa categoria si espongono quotidianamente per assicurare il diritto alla mobilità per tutt*); però delle prime si parla assai, e delle seconde assai poco.

L’episodio delle linee bus separate per italiani e rom di Borgaro (territorio, vale la pena di ricordarlo, già strumentalizzato dalla cronaca nera con la notizia del finto rapimento di un bambino: altro totem mediatico di governo della paura e dell’insicurezza) promosse dalla giunta PD-SEL e riprese dal candidato leghista alla regione Emilia-Romagna Fabbri potrebbe rieccheggiare la nefasta stagione dei sindaci sceriffo nel Nord Italia di un decennio fa. Dopotutto, in tempi di governo renziano, la dialettica razzista istituzionale sembra tornata di moda: con l’exploit di Salvini, il complottismo su Ebola, l’allarmismo sull'”invasione”, gli stranieri a Genova che (falsamente) non avrebbero aiutato a ripulire la città…

A ben vedere, tuttavia, forme di malcelata segregazione di fatto le vediamo quotidianamente all’opera: chi non ricorda i fatti di Corcolle di pochi giorni fa? Si scoprì che gli assalti ai mezzi pubblici, ad opera di una folla di migranti inferociti, derivavano dal fatto che diversi conducenti saltassero sistematicamente le fermate: costringendo i malcapitati a scarpinate di svariati chilometri. Suona così diverso dalla condizione di centinaia di migliaia di pendolari, che vedono ridursi sempre di più tratte e soste dei trasporti locali ed aumentarne i prezzi? O anche solo di chi subisce quotidianamente gli sgradevoli richiami all’ordine delle voci pre-registrate sui treni regionali (su quelli ad alta velocità le forme discriminatorie sono altre, come ci ricorda la cupa era Moretti)? O quelli delle perbeniste “campagne delle buone regole” sugli autobus di aziende di trasporto locale che evadono milioni di tasse? La crisi creata da banchieri e politici ci rende tutti potenzialmente criminali quando saliamo su un mezzo pubblico? Dalle classi al classismo il passo è breve.

E qui i Gramellini di turno, seduti nelle poltrone deluxe della macchina capitalista, cadono dal pero: scoprendosi o ingenui (ma ci crediamo poco), o in flagrante malafede. Cosa dovrebbe unire lo stato iperliberale contemporaneo – per sua natura corrosivo verso qualsiasi forma di legame sociale forte e trasversale, quanto garante (tramite la coercizione ed il controllo della fiscalità) dell'(irre)quieto vivere di una schiuma di bolle di individualità autistiche (o omofile, se si vuole vedere il bicchiere mezzo pieno)? Uno stato autoritario, che da una parte si adopera per disconnettere marginalità e periferie problematiche ed improduttive dal centro e dall’altra per dismettere la stessa conformazione della mobilità come spazio pubblico? Non è più, ormai da tempo, una questione di di prendere un treno o un autobus (figuriamoci occuparli) per andare alle manifestazioni più importanti: ma di chi su quei mezzi abbia titolo di salirci nella propria quotidianità, e per quali finalità.

Se quindi le limitazioni alla mobilità dei migranti degli anni ’90 e 2000 diventano prospettive per tutti nel nostro presente e futuro, attraverso gli strumenti del controllo sociale e dell’urbanistica, si apre tuttavia lo spazio per cui oggi non intenda farsi da parte non la Rosa Parks di una minoranza perimetrata, ma mille pendolari nomadi dell’imprevedibile deserto del reale. A condizione che queste contraddizioni possano essere fatte risaltare e saltare. Affinché, davanti al nuovo apartheid della crisi, che frammenta sempre più gli scompartimenti sociali, possa ergersi non una difesa formale della possibilità di salire sul tram per andare a lavoro; ma il contrattacco sostanziale del diritto a muoverci nei nostri spazi e tempi, per viverli e cambiarli.

Onironauta

da InfoAut

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