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Il governo mette nei Cie anche i richiedenti asilo

Detenzione prevista se si ritiene che il migrante possa fuggire. La misura inserita nel decreto che attua due direttive europee in materia di accoglienza e protezione internazionale. Possibilità di trattenere i profughi negli hub regionali senza limiti di tempo e comunque fino al completamente dell’esame della domanda di asilo, ma anche di detenerli in un Centro di identificazione ed espulsione (Cie) per 12 mesi se si ritiene che esista un pericolo di fuga.

Con il pretesto dell’emergenza immigrazione l’Europa vara norme più dure anche nei confronti di quanti fuggono da guerre e persecuzioni. E l’Italia si accoda senza protestare. Il giro di vite si sta preparando al Senato, dove in commissione Affari costituzionali è in discussione lo schema di decreto legislativo che recepisce due direttive europee proprio sull’accoglienza dei richiedenti asilo e sulle procedure per l’accesso alla protezione internazionale. Misure più severe che vanno ad aggiungersi alla creazione, prevista nell’Agenda europea per l’immigrazione, di hotspot nei principali punti di sbarco dove effettuare un primo screening dei migranti dividendoli tra quanti hanno diritto a presentare domanda di asilo e migranti economici, quindi irregolari per i 28, con la possibilità se necessario di detenere quest’ultimi anche per un anno e mezzo.

Già approvato dalla Camera, il testo del decreto potrebbe essere licenziato in queste ore dal Senato, con un parere non vincolante della Commissione Affari costituzionali. “C’è un forte rischio di un indebolimento del sistema dei diritti”, ha denunciato ieri il senatore Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti umani di Palazzo Madama in una conferenza stampa indetta con Caritas, Acli, centro Astalli e Tavola Valdese. Rischio reso ancora più evidente dalla possibilità che strutture come i Cie, che si sperava ormai superate, tornino improvvisamente in vita e vengano addirittura potenziate. “Il governo farà quello che vuole – ha spiegato il relatore del provvedimento, il senatore Francesco Palermo – ma nel passaggio parlamentare non potevamo non evidenziare una impostazione di fondo sbagliata. Secondo queste norme saranno i richiedenti asilo, che già hanno subìto una violazione dei loro diritti, a pagare per un sistema inefficiente”.

Il pericolo più grande riguarda proprio la possibilità che dopo essere fuggito da un conflitto che devasta il proprio Paese, un profugo si ritrovi alla fine rinchiuso in un Cie per un anno. Oggi la detenzione nella struttura è prevista solo in caso di pericolo per la sicurezza pubblica. Il testo del decreto estende invece questa possibilità anche a chi presenta domanda di asilo se esistono dubbi sulla sua identità e se il questore ritiene che possa sussistere un pericolo di fuga. Cosa molto probabile, visto che la stragrande maggioranza di quanti approdano sulle nostre coste non vuole rimanere in Italia ma trasferirsi in un paese del nord Europa.

L’articolo 8 del provvedimento contiene invece una contraddizione. Mentre infatti si afferma di voler superare i Cara (Centri di accoglienza richiedenti asilo) allo steso tempo non si fissa un termine massimo entro il quale devono essere esaminate le richieste di asilo presentate dai profughi, che in attesa di una risposta da parte della commissione esaminatrice restano ospitati nei nuovi hub regionali. “In sostanza in questo modo si ripropone la stessa logica dei Cara”, ha spiegato Manconi lasciando intendere tempi di attesa per lo smaltimento delle domande che oggi possono superare anche un anno.

Quello che il governo sta preparando è dunque un meccanismo inutilmente punitivo verso i profughi ed estremamente macchinoso. Basti pensare che nel 2014 su 170 mila migranti arrivati in Italia, 60 mila hanno presentato domanda di asilo. “Tutti gli altri dobbiamo considerare che sono fuggiti?” si è chiesto Bernardino Guarino del centro Astalli, il servizio rifugiati dei gesuiti. “Se è così allora dovremo trattenere nei Cie 100 mila persone e dov’è la copertura economica per poterlo fare?”.

Sarebbe un errore pensare che sia solo l’Italia a trattare l’ immigrazione come un questione di puro ordine pubblico. Sull’emergenza di questi mesi “occorre registrare il fallimento dell’Europa che non riesce a trovare un approccio comune”, ha detto ieri il direttore della Caritas italiana, don Francesco Soddu. “È l’immagine di una Europa ripiegata su sé stessa, che difende strenuamente i confini che pensavamo superati”. Per il direttore di Caritas “è necessaria una contro-agenda in cui si sottolinei che non è possibile aprire campi profughi nei Paesi nordafricani, in cui si rilevi che la ripartizione dei migranti decisa in Europa è insufficiente e si spinga per l’apertura di ingressi legali dei migranti in Europa”.

Carlo Lania da il manifesto

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