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Il disegno di legge sui controlli nei posti di lavoro svuota anche il Codice sulla Privacy

Non ci sono dubbi. Il disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri  ed ora in discussione al Senato ed alla Camera (Commissioni Lavoro e Bilancio) rappresenta una vera e propria sconfitta e depauperamento dei diritti dei lavoratori ed introduce, di fatto, la sorveglianza come “standard” da parte del datore di lavoro,  sostituendo l’articolo 4 della legge 20/05/1970 n.300 (Statuto dei lavoratori) con una norma, solo vagamente simile a quella sostituita ma che, in sostanza determina la possibilità della raccolta dei dati sulle attività svolte dal lavoratore, senza necessità di alcuna autorizzazione né da parte delle organizzazioni sindacali né da parte delle autorità preposte (Ministero/Direzioni del lavoro). Non solo ma inficia sostanzialmente anche i dispositivi ad essa collegati come, appunto il D.Lgs 196/03.

E non è vero, come vedremo, che vi sia una similitudine, anche solo formale, tra il vecchio articolo 4 ed il nuovo articolo 23 del provvedimento in esame.

È altresì evidente che la norma sia scritta in termini contraddittori ed oscuri sebbene appaia altrettanto evidente l’intenzione del legislatore. Ma procediamo con ordine.

Il dispositivo normativo

Nel disegno di legge l’art.23 prevede la sostituzione dell’art.4 dello Statuto dei lavoratori e dell’art 171 del D.Lgs 196/03 (Codice per la protezione dei dati personali, meglio conosciuto come Legge sulla Privacy).

Modifiche articolo 4 legge 300/1970

L’attuale articolo 4 recita:

E’ vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalita’ di controllo a distanza dell’attivita’ dei lavoratori.

Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilita’ di controllo a distanza dell’attivita’ dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalita’ per l’uso di tali impianti.

Per gli impianti e le apparecchiature esistenti, che rispondano alle caratteristiche di cui al secondo comma del presente articolo, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, l’Ispettorato del lavoro provvede entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge, dettando all’occorrenza le prescrizioni per l’adeguamento e le modalita’ di uso degli impianti suddetti.
Contro i provvedimenti dell’Ispettorato del lavoro, di cui ai precedenti secondo e terzo comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo art. 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale.

L’articolo che lo sostituisce recita:

Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresenta sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo gli impianti e gli strumenti di cui al periodo precedente possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

La disposizione di cui al primo comma non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

Le informazioni raccolte ai sensi del primo e del secondo comma sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

Le differenze

Quali sono le differenze?

Una fondamentale  riguarda l’incipit del primo comma del vecchio articolo 4 che, nella nuova formulazione scompare: “E’ vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalita’ di controllo a distanza dell’attivita’ dei lavoratori.”.

Attenzione, questo è un punto molto importante perché il divieto imposto dallo Statuto era riferito alla finalità dell’uso e non all’uso stesso: ovvero nella vecchia formulazione il legislatore intendeva salvaguardare il diritto del lavoratore a “non essere controllato” dal datore di lavoro nello svolgimento della propria attività, nella logica di un rapporto di lavoro che fosse basato su parità di diritti e riconoscimento della inviolabilità della privacy di ciascuno. In tal senso ricordiamo come lo stesso Codice della Privacy, all’art 114 facesse esplicitamente riferimento, per il divieto di controllo a distanza, all’articolo 4 della Legge 300, rimandando integralmente ed esclusivamente alla sua formulazione, tale divieto.

In questo modo, il disegno di legge modifica sostanzialmente non solo lo Statuto del lavoratore ma anche il Codice della Privacy, deprivando il lavoratore del suo diritto a non essere controllato non solo dal punto di vista della normativa del lavoro, ma anche da quello della protezione dei dati personali.

Si ricorda in tal senso che il garante della Privacy, ha emesso un provvedimento (n. 401 dell’ 11 settembre 2014) dal titolo “Trattamento di dati personali dei dipendenti effettuato attraverso la localizzazione di dispositivi smartphone. Verifica preliminare richiesta da Ericsson Telecomunicazioni s.p.a” nel quale autorizzava l’azienda Ericsson ad utilizzare dei software installati sugli smartphone dei dipendenti, che consentissero di tracciare gli spostamenti del personale (principalmente tecnico e commerciale) con finalità di ottimizzazione delle risorse e di sicurezza dei lavoratori.

Ma il garante aveva posto, nell’ambito di tale provvedimento, diversi paletti, punti fermi, tra cui proprio quello della “liceità del trattamento”, basato sul principio che mai il datore potesse controllare le attività dei lavoratori per altre finalità.

Al Punto 3) del provvedimento, il Garante infatti si riferisce proprio all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori ed al 114 del Codice della Privacy, affermando il principio della finalità:

“I trattamenti di dati personali, pertanto, sarebbero effettuati nell’ambito del rapporto di lavoro per soddisfare esigenze organizzative e produttive ovvero per la sicurezza del lavoro, coerentemente con quanto stabilito dalla disciplina di settore in materia di controllo a distanza dei dipendenti (cfr. artt. 11, comma 1, lett. a) e 114 del Codice e 4, legge n. 300/1970). In proposito la società ha dichiarato che le informazioni riferibili ai possessori dei dispositivi saranno utilizzate per finalità non riconducibili a quelle di controllo degli stessi, tanto che nessun “utilizzo dei dati potrà avvenire per finalità diverse da quelle dichiarate, come ad esempio per scopi disciplinari” (comunicazione 1.4.2014, par. 2.3). Il menzionato sistema, sempre in base a quanto sostenuto, non potrà interagire con altri sistemi aziendali, compresi quelli volti a valutare il corretto adempimento della prestazione lavorativa.”

Eliminato l’incipit del primo comma l’articolo 4 viene di fatto deprivato del senso di quella che era, nelle intenzioni del legislatore, la sua funzione primaria ed etica.

Altro elemento fondamentale, per la garanzia del diritto, è la perdita della possibilità del ricorso, così come articolata al terzo comma del vecchio articolo 4 che, nella nuova formulazione, scompare del tutto:

“Contro i provvedimenti dell’Ispettorato del lavoro, di cui ai precedenti secondo e terzo comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo art. 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale”

Questo in soldoni significa che se un Ispettorato del lavoro in cui un funzionario concede un’autorizzazione che possa essere ritenuta dai lavoratori o dalle organizzazioni sindacali “non corretta” (hai mai visto in Italia accadere di queste cose?) , non vi sarà alcuna possibilità di appello o di ricorso. Immaginiamo il potere enorme che viene lasciato nelle mani di tanti funzionarietti.

La parte residuale del primo comma, sembrerebbe una “trascrizione” quasi identica di quanto prevedeva il vecchio articolo 4. tuttavia il secondo comma depriva in sostanza il primo di qualsiasi efficacia, definendo una categoria, quella degli “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” nella quale oggi è possibile far rientrare qualsiasi tipo di apparecchio rilasciato in dotazione al dipendente, come abbiamo appunto visto nel caso degli smartphone nel provvedimento del Garante.

Modifiche art. 171 del D. Lgs 196/03 (Codice Privacy)

L’attuale art 171 del Codice sulla Privacy attiene le sanzioni alle violazioni di cui agli art.113 e 114 dello stesso, e recita:

“1. La violazione delle disposizioni di cui agli articoli 113, comma 1, e 114 è punita con le sanzioni di cui all’articolo 38 della legge 20 maggio 1970, n. 300”

Il testo approvato in sostituzione, prevede:

“1. La violazione delle disposizioni di cui all’articolo 113 e all’ articolo 4, primo e secondo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, è punita con le sanzioni di cui all’articolo 38 della legge n. 300 del 1970.})

Evidentemente tutto da decifrare, laddove per il secondo comma non è comprensibile la violazione che sarebbe sanzionabile in virtù dello stesso , mentre è chiaro, per quanto in precedenza evidenziato, l’esclusione dalla sanzione dell’art 114 che, di fatto verrebbe reso inefficace dal nuovo articolo 4  dello Statuto.

Le intenzioni del legislatore

D’altra parte, se la norma appare anche scritta male, l’intenzione del legislatore o il meccanismo ad essa sottostante, è  chiaramente riportata nella relazione illustrativa con la quale il Ministro Maria Elena Boschi trasmette il disegno di legge al Presidente del Senato Grasso.

Art 23

Spiega la relazione che “l’accordo sindacale o l’autorizzazione ministeriale non sono necessari per l’assegnazione ai lavoratori degli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, pur se dagli stessi derivi anche la possibilità di un controllo a distanza del lavoratore” e continua “la possibilità che i dati che derivano dagli impianti audiovisivi e dagli altri strumenti di controllo siano utilizzati ad ogni fine connesso al rapporto di lavoro, purchè sia data al lavoratore adeguata informazione circa le modalità d’uso degli strumenti e l’effettuazione dei controlli, sempre, comunque nel rispetto del Codice privacy”

Ovvero, il datore di lavoro ti fa leggere un’informativa ai sensi arti.13 del D.Lgs 196/03 e, da quel momento è libero di registrare tutti i dati provenienti dagli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa. Cioè? Per esempio il telefono aziendale, il programma di gestione delle vendite commerciali installato sullo smartphone, e tutti software che possono essere installati su tali apparecchi ed individuabili nella categoria degli “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”.

Il Ministero, a fronte delle molte discussioni e manifestazioni di disapprovazione ha anche scritto un comunicato che, se da una parte non chiarisce alcunchè della norma cui si riferisce , dall’altra la dice lunga sul senso dell’operazione: si scrive una cosa, il cui senso è evidentemente chiaro, vista la formulazione del dispositivo normativo, e si tenta di comunicarne un’altra.

Ci auguriamo che il Garante, nella sua relazione annuale, martedì prossimo evidenzi al governo ed al Presidente della Repubblica, le gravi criticità contenute in questo disegno di legge, non solo per ciò che attiene il diritto del lavoro, ma appunto per quanto riguarda la protezione dei dati personali.

Antonio Rossano da L’Espresso

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