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Guardia costiera libica pagata dall’Italia per uccidere migranti

Il Fondo Africa per la cooperazione utilizzato per armare la guardia costiera libica: ricorso dell’Asgi

L’associazione studi giuridici per l’immigrazione (Asgi) fa ricorso al Tar per impugnare il decreto del ministero degli Esteri 4110/47. I soldi stanziati dal Maeci per il fondo Africa, che dovevano servire agli “interventi straordinari volti a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i paesi africani d’importanza prioritaria per le rotte migratori” sono stati, infatti, destinati al progetto di esternalizzazione delle frontiere. In particolare 2,5 milioni di euro sono stati impiegati per la rimessa in efficienza di quattro motovedette da consegnare alla Guardia costiera libica. La somma di denaro proviene dallo stanziamento di 200 milioni di euro effettuato dal Parlamento italiano con legge di bilancio che ha istituito, appunto, il Fondo Africa.

Il ricorso è stato notificato ai ministeri competenti lunedì scorso. “Abbiamo pensato di rivolgerci al Tar, e cioè alla giurisdizione amministrativa, perché si tratta di uno sviamento di potere in quanto il ministero degli Esteri ha sviato fondi rispetto alla destinazione prevista dal Parlamento” spiega l’avvocata Giulia Crescini a Redattore sociale-. Il fondo Africa, infatti, è composto da 200 milioni, stanziati dalla legge di Bilancio, per “interventi che servono al rilancio della cooperazioni e alla riapertura del dialogo con i paesi africani. Finora non avevamo una prova che questi fondi fossero stati destinati all’esternalizzazione delle frontiere – continua Crescini-. Ma abbiamo chiesto un accesso agli atti e abbiamo visto che uno dei decreti del ministero parla di 2,5 milioni di euro per il trasporto e la sistemazione delle motovedette, soldi che rientrano quindi nel  finanziamento dell’apparato militare libico. In Libia l’intervento principale dovrebbe essere quello di risolvere la crisi umanitaria in corso, che non si risolve, con le motovedette – aggiunge-. Il Fondo Afica ha lo scopo di rilanciare il dialogo, l’obiettivo non è il controllo delle frontiere o armare la guardia costiera libica”.

Fin dall’inizio, l’Asgi, ha messo in discussione la legittimità del memorandum Italia-Libia, un atto che non è passato per la ratifica del Parlamento. “Lo hanno chiamato memorandum e non accordo per togliergli quella formalità propria di un accordo tra Stati, ma nei fatti si tratta di un atto che ha  valenza politica e ha un impatto generalizzato sulla comunità: si parla di diritto d’asilo, di esternalizzazione delle frontiere – continua Crescini – Doveva passare per la ratifica parlamentare. Ora il parlamento dovrebbe intervenire sollevando un conflitto di attribuzione. Intanto noi portiamo avanti il ricorso in via amministrativa”.

Nei giorni scorsi, il prefetto Mario Morcone, capo di Gabinetto del ministero dell’Interno e consigliere del ministro Minniti, è tornato sull’accordo Italia-Libia, in occasione della presentazione a Roma del Rapporto sulla protezione internazionale in Italia. “L’Italia non ha mai rispedito nessuno in Libia. Noi abbiamo solo consentito che la Guardia costiera libica salvasse le persone e le riportasse in Libia, ma lo ha fatto la Guardia costiera libica, non lo hanno fatto le navi italiane” ha detto. Secondo Crescini, in realtà, si tratterebbe di “respingimenti delegati”. “L’Italia non li effettua direttamente, li delega alla Libia fornendo motovedette e materiale militare – spiega – quindi c’è una responsabilità delegata. Questo tipo di respingimenti” delegati”, sono stati già dichiarati illegittimi dalla corte europea dei diritti dell’uomo”.

L’intervista di Radio Onda d’Urto a Giulia Crescini, avvocata Asgi che ha preparato e presentato il ricorso. Ascolta o scarica qui

Osservatori scioccati da condizioni detenzione in Libia

Gli osservatori Onu per i diritti umani “erano scioccati da ciò di cui sono stati testimoni” in Libia, dove dall’1 al 6 novembre hanno visitato a Tripoli quattro centri di detenzione per migranti, strutture del dipartimento per la lotta all’immigrazione illegale (Dcim) che dipende dal ministero dell’Interno libico. È quanto riferisce l’Alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, che ha denunciato la politica dell’Unione europea di assistere la guardia costiera libica per intercettare nel Mediterraneo e riportare indietro i migranti, definendola disumana. Zeid Ra’ad Al Hussein spiega che gli osservatori hanno intervistato i migranti detenuti, che sono fuggiti da conflitti persecuzioni e condizioni di estrema povertà da diverse parti di Africa e Asia. Quello che hanno visto gli osservatori, racconta, sono “migliaia di uomini, donne e bambini emaciati e traumatizzati, ammucchiati gli uni sugli altri, imprigionati in hangar senza accesso ai beni di prima necessità più basilari e privati della loro dignità umana”.

“Solo alternative alla detenzione possono salvare le vite dei migranti e garantirne la sicurezza fisica, preservare la loro dignità e proteggerli da ulteriori atrocità”, afferma il responsabile Onu per i diritti umani. Poi prosegue: “La comunità internazionale non può chiudere un occhio davanti agli orrori inimmaginabili sopportati dai migranti in Libia e fingere che la situazione si possa sanare soltanto migliorando le condizioni di detenzione”. Zeid Ra’ad Al Hussein ha lanciato inoltre un appello a creare apposite misure di legge nazionali e a decriminalizzare l’immigrazione irregolare, in modo da garantire la protezione dei diritti umani dei migranti.

Ue e Italia, ricorda l’Alto commissariato Onu per i diritti umani, stanno fornendo assistenza alla guardia costiera libica per intercettare le imbarcazioni di migranti nel Mediterraneo, anche in acque internazionali, “nonostante i timori, sollevati da gruppi per la tutela dei diritti umani, che questo condanni più migranti a una detenzione arbitraria e illimitata, esponendoli a tortura, stupro, lavori forzati, sfruttamento ed estorsione”. “I fermati – sottolinea l’ufficio di Zeid Ra’ad Al Hussein – non hanno possibilità di impugnare la legalità della loro detenzione e non hanno accesso ad alcun supporto legale”. “Gli interventi sempre più numerosi dell’Ue e dei suoi Stati membri non hanno fatto niente finora per ridurre il livello degli abusi subiti dai migranti” e “il nostro monitoraggio, in realtà, mostra un rapido peggioramento delle loro condizioni in Libia”, dichiara il responsabile Onu per i diritti umani.

“Va cambiata la legge sulla tortura, stop alla legittimazione italiana delle brutalità in LIBIA, va cambiato il decreto Minniti”. Il Comitato Onu critica l’Italia” e Antigone, che sta partecipando ai lavori della sessantaduesima sessione, spiega in una nota di “avere presentato anche uno specifico rapporto indipendente nel quale abbiamo segnalato le nostre preoccupazioni su alcuni di quelli che sono stati poi i rilievi del Comitato Onu”. “Il Comitato Onu – ricorda Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone, presente a Ginevra per partecipare ai lavori delle Nazioni Unite – muove una critica profonda alle politiche del governo sui temi dei migranti e della tortura, segnalando quanta poca attenzione sia stata posta sul terreno della difesa dei diritti umani. Quello che chiediamo è dunque che, conformemente ai rilievi delle Nazioni Unite, si straccino gli accordi con la LIBIA e con il Sudan”. Antigone chiede poi che “si interrompano immediatamente gli accordi di collaborazione con paesi dove sono provate e testimoniate torture e violazioni dei diritti umani, che sia reintrodotto l’appello per i richiedenti asilo, che si adottino politiche dirette a ridurre il numero di persone in custodia cautelare, che si prendano provvedimenti disciplinari nei confronti di personale coinvolto in episodi di violenza. E che si cambi la legge sulla tortura rendendola coerente con la definizione Onu”

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