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Gli agenti penitenziari chiedono di utilizzare le pistole Taser

Negli Stati Uniti, secondo un’inchiesta della Reuters, si sarebbero verificati 104 morti che coinvolgerebbero l’utilizzo dell’arma in carcere

Al via la sperimentazione del Taser e i sindacati di polizia penitenziaria chiedono che sia data in dotazione anche per il servizio presso le carceri. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha firmato il decreto che dà il via alla sperimentazione della pistola elettrica per le Forze dell’ordine.

Lo rende noto il ministero dell’Interno, annunciando che il Taser sarà usato inizialmente in 11 città: Milano, Napoli, Torino, Bologna, Firenze, Palermo, Catania, Padova, Caserta, Reggio Emilia e Brindisi. La sperimentazione sarà affidata alla Polizia di Stato, all’Arma dei carabinieri e alla Guardia di finanza. Per ora sono 30 i dispositivi da acquistare. «La fase sperimentale scrive il Viminale – seguirà un disciplinare che un apposito gruppo interforze sta mettendo a punto e sulla base del quale saranno formati le donne e gli uomini delle forze dell’ordine coinvolti nella prima fase di utilizzo».

Il Taser è «un’arma di dissuasione non letale – dichiara il ministro Matteo Salvini – e il suo utilizzo è un importante deterrente soprattutto per gli operatori della sicurezza che pattugliano le strade e possono trovarsi in situazioni border line laddove una misura di deterrenza può risultare più efficace e soprattutto può ridurre i rischi per l’incolumità personale degli agenti».

Aggiunge Salvini: «Credo che la pistola elettrica sia un valido supporto, come dimostra l’esperienza di molti paesi avanzati, tra cui gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia e la Svizzera» . Il Sappe, sindacato autonomo degli agenti penitenziari, nei giorni scorsi aveva chiesto un incontro con il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede per «esaminare e trovare una rapida soluzione alle criticità, costanti, del sistema penitenziario». Il Sappe si è rivolto anche al ministro dell’Interno Matteo Salvini al quale chiede la dotazione delle pistole taser anche per gli agenti penitenziari. Una richiesta che arriva dopo i fatti accaduti nelle carceri di Foggia – denunciati dallo stesso sindacato con la maxirissa di 100 detenuti, di Pavia, con il carcere messo a ferro e fuoco da tre ristretti tunisini, e Sulmona e dove un poliziotto penitenziario è stato ferito gravemente dall’olio bollente lanciatogli contro da un dete- nuto. Eppure l’utilizzo del Taser è stato molto criticato da varie organizzazioni internazionali, tra i quali l’Onu, proprio per l’utilizzo nei penitenziari.

Recente un’inchiesta dell’agenzia giornalistica Reuters ha denunciato 104 casi nelle prigioni americane la cui morte sarebbe da collegare all’utilizzo dell’arma. L’inchiesta esordisce con un caso del 2009. Martini Smith aveva 20 anni, era incinta e spogliata quasi nuda in una cella della prigione americana di Franklin County a Columbus, nell’Ohio. Era stata detenuta con l’accusa di aver pugnalato un ragazzo che lei aveva accusato di picchiarla. Due agenti le avevano ordinato di spogliarsi, togliersi tutti i gioielli e indossare una camicia da notte. Lo fece, ma non era stata in grado di obbedire al comando di togliere dalla lingua un piercing d’argento. «Tira fuori la lingua», le aveva ordinato l’agente. Smith provò, invano, inserendo le dita di entrambe le mani nella sua bocca per togliere l’anello. Le sue dita però erano intorpidite, perché era stata ammanettata per sei ore con le mani dietro la schiena. L’anello era scivoloso, disse Smith, chiedendo un tovagliolo di carta. Gli agenti però rifiutarono. «Voglio solo andare a dormire», gridò Smith. L’agente l’avvertì di nuovo, poi sparò: i dardi elettrificati del Taser colpirono il petto della Smith: crollò contro il muro di cemento e scivolò sul pavimento, ansimando, con le braccia sul petto. «Perché mi hai fatto questo? – disse gemendo dal dolore -. Non sto danneggiando nessuno. Non posso tirarlo fuori!». Cinque giorni dopo, Smith ha avuto un aborto spontaneo.

Parliamo di uno dei centinaia di casi documentati dall’agenzia giornalistica Reuters in cui i Taser sono stati utilizzati in modo improprio o collegati ad accuse di tortura o punizioni corporali nelle prigioni degli Stati Uniti. La Reuters ha identificato 104 morti che coinvolgerebbero l’utilizzo dei Taser dietro le sbarre. Alcune delle morti in cu- stodia sono state ritenute “multi- fattoriali”, senza una causa distinta, e alcune sono state attribuite a problemi di salute preesistenti. Ma il Taser è stato elencato come causa o fattore che ha contribuito a oltre un quarto delle 84 morti nei detenuti in cui l’agenzia di stampa ha ottenuto i risultati dell’autopsia. Dei 104 detenuti che morirono, solo due erano armati. Un terzo era in manette o altre restrizioni quando era stato usato lo stordimento. In oltre due terzi dei 70 casi in cui Reuters era in grado di raccogliere tutti i dettagli, il detenuto era già immobilizzato tramite manette dagli agenti penitenziari e quindi non pericoloso.

I casi elencati dimostrano l’utilizzo improprio dei Taser nei contesti detentivi: le armi, progettate per controllare i sospetti violenti o minacciosi per strada, dimostrano come sono ancora meno legittimi dietro le sbarre, dove i prigionieri sono generalmente confinati in una cella, spesso trattenuti e quasi mai armati. Mentre i Taser possono essere un modo efficace per fermare un assalto a una guardia o ad un altro detenuto, ex agenti penitenziari hanno raccontato ai giornalisti di Reuters che le armi vengono usate troppo spesso su persone che non rappresentano una minaccia fisica imminente. Steve Martin, ex consulente del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti denunciò che i Taser hanno «un alto potenziale di abuso dietro le sbarre». Martin disse anche che «quando infliggi dolore, dolore serio, per il solo scopo di infliggere una punizione corporale, quella si chiama tortura».

Ma che cosa sono i Taser e come funzionano? Siamo abituati a vederli soprattutto nei film d’azione provenienti dagli Stati Uniti. Il primo a teorizzare e realizzare un dissuasore elettrico è stato il ricercatore e scienziato della Nasa Jack Cover che, nel 1969, inizia a progettare e sviluppare il prototipo iniziale della pistola elettrica. Dopo cinque anni di studi e ricerche Cover termina il suo lavoro: il primo esemplare di Taser funzionante è presentato alla stampa. Jack Cover decide di “dedicare” questa arma futuristica al suo eroe d’infanzia Tom Swift: Taser, infatti, altro non è che l’acronimo di “Thomas A. Swift’s electronic rifle” (“fucile elettronico di Thomas A. Swift” in italiano).

Inizialmente, la pistola elettrica utilizza una piccola carica di polvere da sparo per rilasciare gli elettrodi, tanto da essere classificata dal Bureau of Alcohol, Tobacco and Firearms come arma da fuoco. I successivi sviluppi tecnologici permettono di sostituire la polvere da sparo con un detonatore a sua volta elettrico. Il Taser, che ricorda una pistola per forma e grandezza, si compone di due elettrodi capaci di colpire un obiettivo con un flusso di corrente elettrica ad alto voltaggio, ma basso amperaggio.

L’elettricità che scorre nei due cavi del Taser altro non è che un flusso di energia – sotto forma di carica elettrica – che scorre attraverso un materiale conduttore ( che può essere un cavo di metallo o un corpo umano). Per analogia, si potrebbe dire che la corrente elettrica scorre in un cavo di metallo allo stesso modo in cui un flusso d’acqua scorre all’interno di un tubo. Proseguendo con questa analogia, è possibile descrivere il Taser come una pistola ad acqua che spara a grande pressione ( alto voltaggio), ma a bassa velocità ( basso amperaggio).

Il voltaggio, infatti, misura la “pressione” ( la forza o differenza di potenziale) effettivamente esercitata per far “scorrere” la carica elettrica all’interno del conduttore; l’amperaggio il “flusso” attuale di elettroni ( più o meno il numero di elettroni che passa nella sezione di cavo nell’unità di tempo) che passa nel conduttore.

Proprio per questo motivo, il dissuasore elettrico è in grado di stordire la persona colpita – sino a immobilizzarlo per alcuni secondi – senza provocare, al livello solo teorico, danni letali.

Damiano Aliprandi

da il dubbio

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