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Europa carceraria

I reati commessi dalle persone sono in calo, in diversi stati europei. A ciò corrisponde una leggera diminuzione della popolazione detenuta. Ma la situazione non è univoca. I dati variano da paese a paese. In Italia, per esempio, nonostante il calo dei reati, il numero della popolazione carceraria è cresciuto. È la fotografia della detenzione europea scattata dallo European Prisons Observatory (di cui fa parte anche l’italiana Antigone) contenuta in un rapporto che è stato presentato ieri al Senato

Sono quasi seicentomila i detenuti in uno stato europeo. Per essere precisi, nell’Unione Europea sono attualmente detenute 584.485 persone. E i paesi con il maggior numero di detenuti, in numeri assoluti, sono Regno Unito, Polonia, Francia, Spagna, Germania e Italia. È la fotografia della detenzione europea scattata dallo European Prisons Observatory (di cui fa parte anche l’associazione italiana Antigone) che è contenuta in un rapporto che è stato presentato oggi al Senato, in cui si legge, ad esempio, che: «le donne ristrette sono circa 30.000 e che rappresentano circa il 5% della popolazione detenuta». E ancora: «I detenuti stranieri, invece, sono un quinto della popolazione carceraria complessiva». Sono il Lussemburgo, l’Austria e la Grecia, invece, gli stati europei che hanno le percentuali più alte di detenuti. Mentre l’Italia ha la maglia nera, il record del sovraffollamento, insieme alla Francia, Ungheria e Romania. Sul sovraffollamento, però, i parametri considerati variano da paese a paese, dunque una comparazione esatta non è possibile stabilirla. Ma su altri punti di criticità il parametro di giudizio rimane univoco, e con grosse variazioni da Stato a Stato. Vedi i tempi eccessivi di durata della custodia cautelare.

Detenuti in attesa di giudizio. «C’è molta differenza tra gli stati dell’Ue», si legge ancora nel rapporto che è stato presentato nella sala  di Santa Maria in Aquiro del Senato dall’associazione Antigone insieme allo European Prison Observatory. Nel senso che, come è stato riferito: «in media un quinto delle persone detenute non ha una sentenza definitiva». Circa 800000. E, però, mentre: «Lussemburgo, Paesi Bassi e Danimarca presentano percentuali superiori al 40%», i detenuti di altri stati europei se la passano meglio. Non quelli italiani. Anche qui un record negativo. Infatti, la percentuale di detenuti in attesa di giudizio che si trovano in carcere, e con il 50% dei quali a scontare pene fino ai 3 anni, è pari all’incirca al 35%. Pertanto: «è necessario insistere sulle misure alternative alla detenzione», è stato ribadito più volte nel corso dell’incontro di oggi, durante il quale, di contro, gli esperti dell’ Osservatorio europeo delle carceri hanno evidenziato le buone pratiche sia nel campo della gestione delle carceri sia nella protezione dei diritti fondamentali dei detenuti, attraverso proprio la concessione delle misure alternative al carcere. Anche perché i penitenziari costano, allo Stato, anche in termini economici. È stato calcolato che gli stati dell’Europa centrale come Italia, Francia, Germania e Austria, spendono circa 100 euro al giorno per ogni detenuto. Non soltanto.

Il carcere costa, soprattutto, in termini di vite umane. Lo sanno bene le 1380 persone che sono morte nel 2017 (l’ultimo anno rilevato dalla ricerca in chiave comparata) durante la detenzione in una prigione europea. Tra questi, molti si sono suicidati. Già, perché nella democratica Europa su quattro persone che si tolgono la vita- la media che ne viene fuori è impressionante- una tra queste si trova in carcere. Che in cella si rischia, e di grosso, la vita, dunque, lo sanno bene i 500 e passa detenuti italiani che sono morti negli ultimi tre anni e mezzo, dal 1 gennaio del 2016 alla notte scorsa. Quando nel penitenziario romano di Regina Coeli, ancora una volta, si è tolta la vita una persona. Roberto Lumaca, così si chiamava l’uomo, si è ucciso impiccandosi in bagno con qualcosa di simile ad una corda. Il terzo morto in una cella italiana in appena dieci giorni. Le altre morti, entrambi giovani uomini di appena 29 anni, per cause dubbie che sono ancora da accertare. Come è la sorte di Emeka Don, nigeriano morto all’ospedale Civico di Palermo sabato scorso, dove era stato trasferito dal carcere Pagliarelli a causa di una crisi ipoglicemica. O ancora come l’altro ventinovenne magrebino morto a Genova, nel carcere di Marassi, lo scorso 5 ottobre, per un infarto. Per cause ancora da accertare. Per “malattia”, dice il bollettino medico penitenziario, mentre era detenuto in un carcere che ospita 750 persone a fronte di una capienza che è di poco più che la metà. Sono esattamente cento le persone morte in una cella italiana dall’inizio dell’anno; tra queste trentasei si sono tolte la vita volontariamente. Dai penitenziari del Sud a quelli del Nord. Italiani e stranieri. Aveva 29 anni anche l’uomo che all’interno del carcere di Ravenna, lo scorso settembre, gli altri detenuti ad un certo punto pensavano di aver salvato strappandolo al suicidio per soffocamento. All’indomani, l’uomo, però, è morto in ospedale. Nel frattempo diversi compagni di penitenziario avevano attuato lo sciopero della fame in solidarietà, e, soprattutto, in segno di rispetto, verso il loro compagno. Quel rispetto della vita umana che ancora oggi manca in una grossa parte delle carceri d’Europa.

Gaetano De Monte

da DinamoPress

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