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“Esclusi dal consorzio sociale”, di Salvatore Ricciardi. Un testo importante, da leggere e diffondere.

In Italia il dibattito sulla realtà della repressione, diretta contro l’opposizione politica o semplicemente contro gli esclusi sociali, e sulla sua emanazione più feroce e diretta – il carcere – è drogato e strumentalizzato da mantra ideologici, che ne impediscono una sua più libera espressione. Da ultimo le polemiche infami, agitate sia da destra che da “sinistra”, relative alla recente condanna della Cedu contro l’Italia per l’ergastolo ostativo, ovvero il “fine pena mai” per gli accusati di terrorismo e di reati legati al crimine organizzato. Per questi uomini e donne, per tutti quelli che non si pentono o non collaborano con le autorità, l’ergastolo ostativo si traduce nell’impossibilità di uscire da vivi dal carcere. Una strenua e violenta difesa del “fine pena mai” ha mostrato la faccia becera, forcaiola e giustizialista che caratterizza, con poche eccezioni, l’intero arco costituzionale. “E’ un regalo ai boss!”, “Falcone ucciso due volte”, “A Bruxelles non conoscono la realtà mafiosa”: da Fratelli d’Italia a Sinistra Italiana, da Repubblica a “Il fatto quotidiano”, un florilegio di reazioni e commenti di questa risma.

Ma anche i “bravi cittadini”, come li chiama Salvatore nel suo libro, hanno la tendenza ad appiattirsi su schemi e concezioni filo istituzionali, descrivendo e delineando un contesto in cui una massa informe di “disperati” “reietti” “oppressi”, in una parola, “vittime” richiede aiuto, perdono o urla la propria innocenza. In questo scontro tra concezioni opposte, ma di fatto stereotipiche (mostri da una parte, disperati dall’altra) manca il protagonismo di chi il carcere lo subisce, lo vive, lo trasforma con le proprie lotte. Mancano i detenuti.

copertina-esclusi-dal-consorzio-socialeEcco che il libro di Salvatore ci aiuta in questo, dà voce ai “coatti”, ai rinchiusi, ai carcerati e fa sì che le loro vicende prendano vita e vengano conosciute anche fuori. “Il carcere non è trasparente”, afferma l’autore, ciò che realmente accade rimane anch’esso rinchiuso fra quattro mura. Lasciarlo uscire significa anche restituire dignità e parola ad un pezzo importante di storia, quello della lotta antirepressiva ed anticarceraria che affonda le proprie radici nelle lotte degli anni settanta, in cui lo scontro di classe era più evidente e profondo ed arriva fino ai giorni nostri. Le parole e le azioni delle persone imprigionate, che danno vita al sottotitolo del testo, sono quelle di un gruppo di detenuti che si porta dietro l’esperienza del ciclo di mobilitazioni di quarant’anni fa che incontra i “comuni” di oggi. Nel rifiuto del paradigma vittimario ma anche del sostrato fascista, o quantomeno autoritario, che permea la concretezza del carcere, al di là di ogni imbellettamento liberale.

Il testo è scaricabile all’indirizzo del link che postiamo di seguito. Il nostro invito è davvero quello di fruirne il più possibile, ringraziando la generosità di Salvatore che ne ha reso libera la circolazione.

Un libro è qui, potete scaricarlo e leggerlo!

da Prison Break Project

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