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Ennesimo suicidio nel carcere di Bologna. Fare di più per la prevenzione

Il suicidio è un evento drammatico; uno dei comportamenti con i quali l’uomo può reagire a condizioni di estremo disagio; da sempre la comunità si interroga sulle motivazioni di questo comportamento e sulla possibilità di prevenirlo;

il suicidio ovviamente si verifica anche fuori dal carcere e non è prevenibile , nei soggetti a rischio, con provvedimenti a priori o uguali per tutti;

ogni suicidio in carcere tuttavia ripropone peculiarità ed interrogativi visto che il carcere è, in teoria, il luogo sociale del massimo “controllo”;

per questo ci si interroga su strategie di prevenzione che tutti dicono di voler mettere in atto ma che tardano ad arrivare;

la prevenzione del suicidio in carcere non può fondarsi su un approccio meramente custodialistico;

molti gli interrogativi che devono precedere o, meglio, sostituire, la sorveglianza a vista o la accortezza di non rendere disponibili gli strumenti per il passaggio all’atto suicidario;

e dunque per l’ultima persona che ha perso la vita nel carcere di Bologna è doveroso chiedersi:

  • esiste un piano generale di prevenzione ; se esiste lo si ritiene migliorabile?
  • la detenzione in carcere era stata ritenuta compatibile per una persona, secondo le cronache, “tossicodipendente”?
  • se la persona era in quella che viene chiamata “infermeria” vuol dire che il suo stato di salute era peggiore di quello del resto della popolazione detenuta; la permanenza in “infermeria” era una misura sufficiente?
  • chi ha valutato e come il rischio suicidario?
  • chi ha preso in carico e come la pulsione suicida se questa era stata indagata ed era emersa?
  • come era stata presa in carico : con farmaci? con un supporto psicoterapico? con un intervento di risocializzazione (formazione, lavoro interno, ecc.)?
  • è stato siglato un patto anti-suicidio tra uno psicoterapeuta ed il soggetto recluso?
  • a che punto sono gli studi e le ricerche della regione E-R sulla sofferenza psichiatrica della popolazione detenuta?
  • ci si è interrogati se si potesse evitare la permanenza nella lugubre struttura di via del Gomito?
  • perché le istituzioni piuttosto che occuparsi meglio della salute sprecano risorse nella inutile (e lombrosiana) schedatura del DNA che non risolverà nessun problema di ordine pubblico e peggiorerà il marchio sociale contro le persone carcerate?

Sono interrogativi che non poniamo da oggi: li poniamo a tutta la città da quando la Dozza è stata aperta; li poniamo dall’epoca del primo suicidio nella Dozza che riguardò J.B. persona che dichiarata incompatibile con lo stato di detenzione ma non trasferita altrove (cioè non si fece “in tempo”)  per carenza di personale di custodia;

la magistratura non ravvisò nessuna responsabilità!

Tuttora gli agenti penitenziari sono fortemente sotto organico; ma se la azione di maquillage delle carceri , agli occhi della UE, pare riuscito , non è riuscito per noi, cioè non e‘ riuscito nella realtà.

Solo ieri un quotidiano locale ha magnificato l’allungamento della speranza di vita per i bolognesi negli ultimi 35 anni; un balzo in avanti davvero mirabile; dagli anni settanta del secolo scorso a doggi: più 9 anni per i maschi , più sette per le femmine;

ma la speranza di vita e di salute deve essere uguale per tutti.

E’ iniquo che l’aumento della speranza di vita sia solo per alcuni.

Occorre avviare una inchiesta , soprattutto popolare e dal basso, sulla speranza di salute e di vita della popolazione carceraria a cominciare da Bologna.

Occorre elaborare un piano di prevenzione che passa attraverso la dichiarazione di illegalità della struttura.

Basta con le istituzioni che  “stanno a guardare”;

alla Ausl di Bologna abbiamo chiesto, il 2 gennaio 2017, il secondo report sulle carceri del  2016  : ci deve ancora arrivare!

Certo non è con i reports puntuali che si mitigheranno i problemi della Dozza ma il report oltre che essere puntuale deve diventare altro da quello che è oggi: deve diventare un rapporto sullo stato di salute della popolazione detenuta e lavoratrice delle carceri e una dichiarazione di programmi per la prevenzione.

Vito Totire, psichiatra a nome della associazioni “Chico” Mendes e Centro “F.Lorusso”

via Polese 30 40122-Bologna  

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