Menu

EMERGENZA CARCERI/ I Dead Man Walking e l’ergastolo ostativo

carceri_emergenza_dead_man_walking

Le carceri italiane patiscono un sovraffollamento che sembra aver ormai raggiunto un punto di non ritorno, con detenuti che non possono alzarsi in piedi contemporaneamente nella stessa cella e che rischiano quotidianamente di contrarre malattie infettive di ogni genere. Il problema sta acquisendo una risonanza sempre più ampia sia negli organi d’informazione che all’interno del dibattito politico. La nuova consapevolezza dell’entità del fenomeno non sta determinando interventi risolutivi, ma costituisce comunque un piccolo passo in avanti. Le discussioni in corso sono tuttavia incomplete e parziali, in quanto trascurano sistematicamente aspetti della questione che costituiscono invece autentiche patologie strutturali.

L’articolo 27 della nostra Costituzione afferma che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Un concetto chiaro ed efficace che, però, viene spesso disatteso. L’esempio più lampante delle tante contraddizioni che attraversano il nostro sistema giudiziario è rappresentato dall’ergastolo ostativo. Si tratta di un istituto introdotto dalle legge 356 del 1992 in base a cui per alcuni delitti considerati di particolare allarme sociale viene escluso qualsiasi trattamento extramurario a meno che il condannato collabori con la giustizia. I reati destinatari di questo tipo di pena sono quelli di associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico internazionale di stupefacenti, sequestro di persona e tutti quelli che hanno agevolato attività legate a gruppi criminali organizzati. In Italia sono circa 1200 le persone colpite dall’ergastolo ostativo e per loro non è previsto alcun tipo di beneficio penitenziario: permessi premio, semilibertà e liberazione condizionale non sono neanche una speranza cui aggrapparsi. L’unica prospettiva concreta è quella di terminare l’esistenza tra le mura carcerarie. Sono i dead man walking dell’Italia odierna. Il paradosso è che chi uccide donne e bambini o commette violenze carnali non incapperà mai nell’ostativo, perché questo status riguarda esclusivamente coloro che commettono omicidi nell’ambito di guerre tra bande.

La condizione di questi individui contrasta palesemente con l’art. 27 della nostra Costituzione. Non è possibile alcun tipo di “rieducazione del condannato” se questi, a prescindere dal proprio comportamento, non potrà più entrare in contatto con la società. Una domanda sorge però spontanea: perché questi detenuti non collaborano con la giustizia così da poter accedere ai vari benefici? La risposta è ben condensata dalle parole di Carmelo Musumeci, rinchiuso da oltre 20 anni nel carcere di Spoleto e diventato ormai il simbolo degli ostativi di tutta Italia. “Un giorno mia figlia mi ha chiesto di collaborare per poter così tornare a casa. Io le ho risposto che un simile comportamento pregiudicherebbe l’esistenza di altre persone che ora hanno moglie e figli. Io e gli altri nella mia stessa condizione non condividiamo più i disvalori del passato e quindi non accetteremmo mai di tornare come eravamo, togliendo la vita degli altri per riavere la nostra”.

In questi casi poi c’è sempre il rischio di confondere e sovrapporre il reale significato dei termini. Nadia Bizzotto, volontaria della comunità “Giovanni XXIII e da decenni impegnata in attività di sostegno ai detenuti, sollecita una riflessione. “E’ sbagliato parlare di pentiti perché in realtà si dovrebbero chiamare collaboratori di giustizia, in quanto la collaborazione è una scelta processuale mentre il pentimento è uno stato interiore”. Il meccanismo è spietato e non risparmia proprio nessuno. Drammaticamente emblematico è il caso di Salvatore Liga, ottantenne detenuto nel carcere di Spoleto. È un ergastolano ostativo, cui è stato diagnosticato un tumore maligno. Si muove soltanto grazie a una sedia a rotelle, tuttavia continua a restare in isolamento. Tra pochi mesi morirà, ma per lui non è stato previsto alcun tipo di beneficio. Come se si volesse irridere a tutti i costi l’art 27 della Carta secondo cui le “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”.

In Italia sono presenti oltre 100 ergastolani che hanno alle spalle oltre ventisei anni di detenzione, limite fissato per accedere alla libertà condizionale. Più della metà di essi ha addirittura superato i trenta anni di carcere. Al 31 dicembre 2010 i detenuti nel nostro paese erano 67.961 e quelli in semilibertà poco più di 900. Di questi solo 29 erano ergastolani che invece risultavano essere complessivamente 1512. In Norvegia, Portogallo, Slovenia, Spagna, Croazia, Bosnia, Serbia, Albania, Polonia e Ungheria l’ergastolo è stato abolito. Nelle altre realtà la soglia oltre cui scatta la possibilità di accedere a benefici è nettamente più bassa che in Italia (26): In Irlanda 7 anni, In Olanda 14 anni, in Norvegia 12 anni, in Svizzera 15 anni, in Germania 15 anni, in Grecia 20 anni, in Danimarca 12 anni, in Belgio 14 anni. Il nostro paese è la classica voce fuori dal coro. Un inno allo stato di diritto.

Gennaro Barbieri da l’infiltrato

 

Leave a Comment

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>