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Egitto: L’ombra della repressione che accompagna Al Sisi

Attivisti arrestati, scomparsi o uccisi come Giulio Regeni. Media ridotti al silenzio: così il portale Katib, una delle ultime voci libere del paese è costretto a chiudere i battenti

Al-Sisi sbarca a Palermo accolto da grande leader per giocare le sue carte sulla Libia portando con sé le ombre della repressione in patria. Attivisti arrestati e scomparsi, famiglie precipitate in un dolore forse peggiore di quello del lutto. Tra di loro Amal Fathi, attivista e moglie di Mohamed Lofty, direttore della Commissione egiziana per i diritti e le libertà e consulente della famiglia Regeni. Domenica l’arresto preventivo di Amal è stato rinnovato per altri 45 giorni, secondo una pratica ormai consolidata che rimanda all’infinito la data del processo catapultando il prigioniero e i suoi cari in un abisso di incertezza.

TRA GLI SCOMPARSI anche Mustafa al-Naggar, ex parlamentare. Di lui non si hanno notizie dal 28 settembre. Le autorità negano di averlo arrestato e lo descrivono come «fuggitivo». Lo stesso al-Naggar però, consapevole dei rischi che correva, si era premurato di programmare la pubblicazione di un post Facebook uscito alcuni giorni dopo l’arresto in cui spiegava: «Se leggete questo scritto significa che a quest’ora sarò già in carcere», che smentisce voci su una sua presunta fuga all’estero. Non si hanno più notizie neanche di Hoda Abdel Moneim, avvocata per i diritti umani, arrestata in una retata a inizio novembre. Per lei, sessantenne, la figlia ha lanciato una raccolta firme su Aavaz.

E di questi giorni è anche la notizia di un altro duro colpo ai difensori della verità nell’Egitto di al-Sisi. Il portale di informazione Katib chiude i battenti, o meglio sospende le sue attività fino a data da destinarsi, e con lui si spegne una delle ultime voci libere del paese. Lanciato a giugno 2018 dall’Arabic Network for Human Rights Information, Katib nasce proprio in risposta alla pesante ondata repressiva che aveva colpito la stampa egiziana durante la campagna presidenziale. In una amara lettera diffusa il 5 novembre la redazione di Katib si è rivolta ai suoi lettori, scusandosi per non essere riuscita a portare avanti il proprio compito.

A causare questo addio la nuova legge sulla stampa, che senza regolamenti attuativi è entrata in vigore dando a tutti i giornali solo quattro settimane per registrarsi secondo le nuove direttive.

LA LEGGE IMPONE dei costi altissimi per qualsiasi piattaforma indipendente, senza nessuna garanzia che poi il sito venga reso accessibile. Katib infatti è bloccato in Egitto, come altri 500 siti egiziani, ma ha continuato a pubblicare, rimanendo (anche per chi scrive) una delle principali fonti di notizie sull’attività delle opposizioni, le violazioni dei diritti umani, le lotte sindacali e le proteste. Il sito era stato oscurato dopo sole nove ore online («l’operazione di censura più rapida della storia» scrivono con triste ironia), nelle quali aveva superato i diecimila accessi. «Abbiamo dovuto prendere una decisione difficile – concludono nella loro lettera – Vi salutiamo per un po’, ma con la promessa di tornare».

IL REGIME HA BISOGNO di tenere a bada le voci dissonanti e quanto più reprime tanto più mostra la sua paura di perdere consensi. È stato evidente nelle scorse settimane, quando mentre il paese piangeva i morti del feroce attentato terroristico contro i cristiani, i giornali e le televisioni egiziane hanno fatto di tutto per relegare in secondo piano la notizia della strage e concedere le prime pagine al «Forum dei giovani», passerella mediatica e di propaganda pesantemente sponsorizzata dal regime e protetta da un enorme dispositivo di sicurezza, a differenza dei cittadini dispersi nelle remote regioni del sud ed esposti agli attacchi dei gruppi jihadisti.

Eppure, nonostante tutto non si fermano le missioni di normalizzazione tra Italia ed Egitto. Come la delegazione del Meeting di Rimini che per tre giorni ha visitato il paese a ottobre all’insegna dello «scambio culturale» e del «dialogo», riallacciando antichi legami istituzionali congelati dall’omicidio di Regeni. Dal video-racconto della missione viene fuori un’immagine dell’Egitto edulcorata, sterilizzata da qualsiasi riferimento ai diritti umani e alla morte del ricercatore italiano. I rappresentanti della delegazione parlano di un «nuovo inizio» nei rapporti con l’Egitto. Ma in realtà sembra che nulla sia mai veramente cambiato.

Pino Dragoni

da il manifesto

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