Menu

Egitto: Al Sisi stronca ogni dissenso

Centinaia di arresti, compresi studenti e minori incriminati come “terroristi”. Scontri tra manifestanti e polizia, sequestrati i cellulari per impedire che le immagini e i filmati rimbalzino sui social

L’aria calda e secca in piazza Tahrir alla fine della preghiera del Venerdì è quasi elettrica. Un gruppo di fedeli, non più di una cinquantina, tenta di raggiungere il luogo simbolo della rivoluzione del 2011 dalla moschea di al- Azhar, El- Darb El- Ahmar, una delle più frequentate della capitale egiziana. Si sono dati appuntamento via social, pronti a manifestare.

“La settimana scorsa hanno arrestato centinaia di persone, ma questo non ci fermerà” assicura Ahmed Ali che li guida senza temere le conseguenze che si sono abbattute su altri dimostranti.

Percorrono al- Bustan street, sono determinati a proseguire il percorso che si estende fino al centro della piazza. Ma il blocco delle forze di sicurezza che si dispiega davanti ai loro occhi è impressionante: blindati, agenti in tenuta antisommossa, molti altri in abiti civili.

Controllano chiunque si avvicini all’imbocco della centralissima via commerciale che porta al Museo Egizio.

Inevitabile lo scontro quando manifestanti e polizia si ritrovano gli uni di fronte agli altri. Sono attimi concitati. Chi tenta di forzare il cordone degli agenti viene spintonato, colpito con manganelli o bastoni. In tanti riportano escoriazioni nei tafferugli, in cinque sono seduti a terra con le mani intrecciate dietro la nuca. Tutti vengono portati via. Impossibile proseguire anche per chi non fosse lì per manifestare, a meno che non si voglia trascorrere una notte in cella. Nella migliore delle ipotesi.

La situazione in Egitto è sempre più instabile, la tensione è crescente. Chiunque graviti intorno a piazza Tahrir viene fermato e costretto a consegnare il telefono cellulare. In molti casi i controlli danno luogo ad arresti arbitrari. Una repressione violenta in risposta alle proteste popolari suscitate dalle accuse di corruzione rivolte al presidente Abdel Fattah al- Sisi da un ex contractor della security egiziana che ha diffuso video dettagliati sulla ‘ deviazione’ di denaro pubblico.

«Al Sisi, la moglie e alcuni generali dell’esercito sono stati esplicitamente tirati in ballo dall’imprenditore che ha lavorato per il governo per oltre 16 anni – spiega Ahmed Saleh, analista del Centro studi egiziano dei diritti – Mohamed Ali, autoesiliato in Spagna, ha pubblicato su Youtube, ma anche via Facebook, filmati in cui parla di mazzette per la costruzione di un lussuoso albergo, costato 122 milioni di dollari in una zona non turistica dell’Egitto, per favorire un generale dell’esercito amico intimo di al- Sisi, così come la costruzione di un palazzo presidenziale nel nord del Paese».

Il tutto maturato in un contesto in cui un terzo dei 100 milioni di abitanti vive in condizioni di povertà estrema. Il video è diventato virale come l’appello a manifestare che ha portato in strada migliaia di egiziani che chiedono le dimissioni dell’ex generale. La reazione del governo è stata durissima. Ogni forma di dissenso è stata stroncata con la forza o scoraggiata con posti di blocco e controlli in tutta la Capitale e nelle altre città dove si sono accesi focolai di rivolta.

Anche i giornalisti che sono riusciti ad entrare in Egitto, in un clima di crescente nervosismo, hanno visto limitare le proprie libertà. Chi scrive è riuscita a superare i controlli restrittivi all’ingresso nel Paese perché era al seguito di una delegazione italiana a Il Cairo per una competizione sportiva. Non è stato facile raccogliere testimonianze. Come quella della madre di Abdulaziz S. 11 anni. Il bambino aveva ancora addosso il grembiule che stava provando in un negozio in centro quando gli agenti dei servizi di sicurezza lo hanno portato via sotto lo sguardo incredulo e disperato di Amina, che nel raccontare quanto accaduto al figlio ancora trema. «Lo hanno strattonato, trascinato via per portarlo in un posto di polizia. Dicevano che aveva partecipato a un incontro con dei terroristi. Mio figlio, un bambino di 11 anni…» dice in un fiato guardandosi intorno mentre nel grande suk poco distante dalla Cittadella sorseggiamo un tè. Come Abdulaziz altri tre minori sono stati arrestati mentre stavano comprando materiali scolastici. Altrettanti hanno subito la stessa sorte mentre tornavano a casa da scuola a Suez, città portuale egiziana dove sono iniziate le rivolte contro al- Sisi. Almeno 120 minorenni, tra i 10 e i 16 anni, sono stati fermati. A denunciarlo l’organizzazione non governativa ‘ Belady’, che ha anche segnalato sparizioni forzate dai 2 ai 10 giorni. Amnesty International ha inoltre evidenziato in un recente rapporto come la maggioranza delle persone arrestate rischi di essere incriminata per ‘ appartenenza a un gruppo terrorista’ e “uso improprio dei social media’.

Il paradosso è che molti di loro non hanno neanche un telefono cellulare. Durante le insurrezioni del 2011, centinaia di blogger ma anche semplici manifestanti attraverso Twitter, Facebook e Youtube avevano documentato le loro esperienze personali e i sit- in di piazza Tahrir. Per scongiurare che anche oggi si mostrino al mondo gli abusi delle forze di sicurezza, quali arresti, aggressioni fisiche e sevizie sui dimostranti, è stata lanciata la campagna repressiva che ha portato dal 20 settembre ad oggi all’arresto di almeno 4427 persone in 24 Governatorati. Solo in 157 sono stati rilasciati senza accuse mentre 1056 hanno potuto lasciare il carcere su cauzione. Centinaia le sparizioni forzate.

La repressione più vasta dall’ascesa al potere di al – Sisi ad oggi ha sopito il movimento di protesta. Per ora. La paura ha portato a una calma apparente che, a fronte delle vicende turco – curde, libanesi, irachene e cilene, ha ‘ spento’ colpevolmente l’interesse dei media e della comunità internazionale sull’Egitto.

Antonella Napoli

da il dubbio

**************

«Il regime fa finta di ascoltare la gente, ma è sordo e feroce. E l’Europa sbaglia a finanziarlo»

Parla Mohamed Lofty, direttore della Commissione egiziana diritti e libertà. Regeni, non si capisce perché ucciderlo. Forse qualcuno che aveva interesse a sabotare i rapporti tra Roma e il Cairo

Mohamed Lofty, per anni ricercatore di Amnesty International, è il direttore della “Commissione egiziana per i diritti e la libertà”. È anche consulente della famiglia Regeni e marito di Amal Fathy, arrestata nel maggio dello scorso anno insieme allo stesso Lofty e al figlio di tre anni, entrambi poi rilasciati avendo doppia nazionalità, egiziana e svizzera. Lei è rimasta in carcere per sette mesi. La sua ‘ colpa’? L’impegno come attivista e l’essere compagna di Lofty. Grazie a lui e alla sua organizzazione è possibile avere un quadro costantemente aggiornato delle repressioni e delle violazioni dei diritti umani perpetrate in Egitto.

Siamo di fronte a una nuova rivolta di piazza Tahrir?

È un po’ diverso dal 2011. In quella fase c’erano opinion leader, movimenti politici, erano nati movimenti di protesta in grado di organizzare manifestazioni imponenti portando alla rivoluzione. Dal 2013 al 2015 sono seguite le proteste dei Fratelli Musulmani che sappiamo sono stati annientati, chi in prigione, chi giustiziato. Poi nel 2016 i movimenti laici socialisti liberali hanno ripreso a manifestare contro la cessione delle isole all’Arabia Saudita. Da allora ci sono state solo piccole proteste, molto contenute. Oggi si vuole ridare vigore al movimento anti regime ma è difficile perché tutti vengono arrestati subito. E poi c’è la censura. Mentre Mubarak lasciava un po’ di spazio ai media, ai social, al Sisi chiude tutti gli spazi democratici che permettano lo svilupparsi del movimento. Le forze di sicurezza entrano nelle case e arrestano le persone, i politici che vogliono candidarsi alle elezioni. Chiunque provi a opporsi al governo. La maggioranza dei giovani egiziani è apolitica. Gente che non si è mai schierata con un partito o movimento di protesta, né ha mai manifestato. A Tahrir c’erano circa 1000 dimostranti, in centinaia sono stati presi perché non sapevano come scappare. Non sapevano cavarsela. La polizia li ha caricati, ha usato gas lacrimogeni. Molti sono stati colpiti duramente.

La repressione ha fermato la rivolta?

No, anche se dal 12 ottobre le proteste sono scemate. Ma il regime ha capito che qualcosa va cambiato. Abbiamo saputo che stanno per ‘ congelare’ il Parlamento, quindi fino a giugno del prossimo anno quando finirà il mandato legislativo non ci saranno attività importanti. Alcune voci dei media, che sostenevano al- Sisi senza riserve, stanno iniziando a criticare, dicendo che “qualche cosina va cambiata”, che va lasciato spazio alla libertà di espressione, e così via. Inoltre è in corso un ‘ riordinamento’ del governo. Ci saranno dei cambiamenti ma i ministri rimarranno più o meno gli stessi. Il regime vuole mostrarsi come se avesse ascoltato la gente ma in fondo non è in grado di farlo. L’ideologia è quella dello Stato che controlla tutto. La componente civile non ha la possibilità di influire perché l’esercitò gestisce ogni cosa, compresa l’economia. Sub- appaltano nel settore però poi sono loro a gestire. La sicurezza nazionale e i servizi segreti controllano tutto. Quindi non c’è spazio per un cambiamento complessivo.

La piazza, dunque, è solo silenziata?

“Penso che la gente abbia espresso la propria rabbia per un paio di settimane e ora stia aspettando per capire cosa farà il regime. Se continua a non fare niente, succederà di nuovo. Siccome non sono manifestanti politicizzati, sono persone normali, riprenderanno a protestare autonomamente. Ma non c’è continuità, non sono organizzti, non sanno proteggersi”.

Sulla vicenda Regeni si arriverà mai a fare piena luce? Cosa può fare l’Italia per ottenere giustizia?

Il governo italiano ha fatto la sua parte. Aveva sospeso le relazioni con l’Egitto, peccato non abbia perseverato. Mi chiedo come facciano paesi europei a guardare come agisce questo regime e a far finta che sia tutto normale. Perché l’Unione Europea continua a finanziare nuovi progetti in Egitto quando il governo controlla i telefoni dei propri cittadini e li arresta arbitrariamente? Non c’è logica. Faccio molti incontri con ambasciatori europei e dico loro: “Giulio era italiano, state aspettando un Jules francese o un Johanne tedesco per porre fine a tutto questo? Ne basta e avanza uno? Bisogna aspettare un altro morto prima di capire quello che avviene in Egitto?”.

Ma cosa è accaduto quel 25 gennaio del 2016?

Non sono mai riuscito a capire perché Giulio sia stato ucciso. Di solito i servizi sono molto attenti, cauti con gli stranieri. Sanno che né le famiglie né i paesi di provenienza resterebbero in silenzio. Una teoria è che qualcuno non volesse che l’Italia e l’Egitto avessero buoni rapporti, voleva rovinare le relazioni tra i due paesi. Quindi hanno ucciso Giulio, o lo ha fatto fare alle forze di sicurezza, per creare una crisi.

Ma chi avrebbe l’interesse a fare una cosa del genere?

Per capirci: il Paese X non vuole che l’Italia e l’Egitto abbiano buone relazioni, quindi ingaggia qualcuno della sicurezza nazionale per uccidere un cittadino italiano e creare frizione tra i paesi e trarne vantaggio per portare avanti i propri interessi. Il ‘ chi’ è solo casuale.

Nei tuoi confronti ci sono state nuove intimidazioni?

La pressione, i controlli, sono costanti. Nulla è cambiato. Ma contro di me in questa fase non si stanno accanendo, Mi preoccupa Amal perché è più vulnerabile. Mia moglie è già stata in carcere l’anno scorso, quindi non penso che l’arresino di nuovo. Ma potrebbero renderle la vita difficile. Amal è stata una attivista politica in passato. Quindi potrebbe essere più facile accusarla di qualcosa. Per questo sono preoccupato per lei.

Mai pensato di lasciare l’Egitto?

No, non in questo momento comunque. Ho il passaporto svizzero quindi posso viaggiare. Vengo in Europa ogni tanto per delle conferenze. Ma mia moglie e mio figlio restano in Egitto. Lei non può viaggiare. Se va in aeroporto la fermano. La riportano in prigione per due anni. Ma anche se Amal potesse viaggiare, io devo stare qui per occuparmi dell’organizzazione. Non posso abbandonare i miei collaboratori.

Antonella Napoli

da il dubbio

Leave a Comment

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>