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Draghi e il fragoroso silenzio su Regeni

Per il neo primo ministro la nostra politica estera, fuori dell’europeismo e dall’atlantismo, si liquida con otto righe. Ignorata la Libia, dimenticato l’Egitto. Forse passerà le patate bollenti a un Di Maio estromesso dall’Europa

Visto da Draghi il mondo è vicino e lontano allo stesso tempo. Molto vicino a Berlino, alla Bce di Francoforte e alla Merkel che insieme alla Francia, sono l’ancoraggio, un po’ traballante un verità, di questa Italia a due sole velocità, europeista e atlantista fino allo spasimo.

La Merkel tra l’altro a settembre lascia il posto di cancelliere e non è detto che la costruzione europea regga bene, visto che lei, come ben sa Draghi da capo della Bce e salvatore dell’euro, ne è stata il condizionamento ma anche la colonna portante.

Il mondo visto dal «banchiere di tutti» è lontano quando ci si allontana dall’asse Berlino-Parigi. Nel suo discorso al senato il resto del mondo, dal Mediterraneo ai Balcani, ha meritato l’altro giorno soltanto otto righe. Anzi sul caso Regeni (e su Zaki) che scuote da cinque anni i governi e l’opinione pubblica è calato il silenzio più totale. Un bel silenzio non fu mai scritto dicono i saggi ma nell’ufficio studi del presidente del Consiglio deve essere successo qualche cosa: o non hanno letto i giornali negli ultimi tempi, oppure l’hanno fatto apposta.

Insomma per Draghi la nostra politica estera, fuori dell’europeismo e dall’atlantismo, si liquida con otto righe. Mica tanto in un discorso durato un’ora.

È vero che non si può entrare troppo nello specifico ma visto che si è dilungato a parlare persino degli istituti tecnici non si vede perché si debba ignorare il caso dell’Egitto, di Giulio Regeni e di Zaki.

Il caso Regeni, con la Libia, costituisce il problema irrisolto di tutti i governi negli ultimi cinque anni. Non solo: la procura di Roma ha accertato la responsabilità in giudizio della polizia e dei servizi egiziani che hanno torturato e ucciso un cittadino italiano mentre il Cairo ci sta costantemente umiliando negando la sua collaborazione e prendendo in giro sia l’Italia che la sua magistratura. Questo silenzio di Draghi è tanto più rilevante in quanto lo stesso premier ha menzionato le violazioni della Russia sui diritti umani.

Come diceva Andreotti, citando un Papa e un cardinale, a pensare male si fa peccato ma spesso ci si indovina. Forse Draghi vuole scaricare la patate bollente del caso Regeni e di Zaki, lo studente egiziano di Bologna detenuto ingiustamente, al ministro degli Esteri Di Maio, che non potendo toccare palla in Europa e probabilmente fortemente limitato dal nuovo consigliere diplomatico di Draghi, l’esperto ambasciatore Mattiolo, verrà mandato in giro per il Mediterraneo e i Balcani.

Certo che questo silenzio su un caso che ha scosso e continua a scuotere l’opinione pubblica italiana qualche pensiero malevolo lo solleva. Forse – ma è solo un’ipotesi – Draghi non vuole mettere in pericolo le nostri forniture di armi (10 miliardi di euro di contratti) con il generale e dittatore Al Sisi.

Le guerre probabilmente sono collocate per Draghi in un mondo remoto lontano dagli ovattati corridoi delle banche che di solito frequenta: qualcuno dovrà spiegargli che in violazione delle nostre stesse leggi stiamo vendendo jet da addestramento della Leonardo a un Paese in guerra come l’Azerbaijan che con la Turchia e il sostegno di Israele ha aggredito l’Armenia. Draghi, gesuita di vaglia, cita il Papa ma si dimentica dei cristiani. Strano.

L’impressione è che con il banchiere di tutti noi siamo molto più che atlantisti, siamo schierati con gli Usa, naturalmente, la potenza occupante, ma anche con il Patto di Abramo tra Israele e gli arabi del Golfo che finanziano a piene mani l’Egitto e ci compra le armi. Non una grande svolta. Il silenzio di Draghi su Regeni è già fragoroso.

Alberto Negri

da il manifesto

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