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Decreto Sicurezza: un attacco alle forme di vita in comune.

Il reato di blocco stradale, l’aggressione ai movimenti per l’abitare, l’ossessione per il decoro, il ricorso al carcere contro ogni forma di pena alternativa rappresentano. Il decreto Salvini incontra sempre maggiore opposizione perché è espressione di una cultura che odia l’esistenza in comune delle città. Ne attacca lotte, spazi, forme di vita

I sindaci disobbediscono al decreto Salvini. L’espressione è impropria, non si tratta di una vera e propria disapplicazione, ma apre spiragli ma nasconde molte contraddizioni. Eppure bisogna partire da questo dato, dalle amministrazioni locali che si schierano contro alcune norme contenute nel provvedimento sul quale il ministro dell’interno si è giocato gran parte della sua strategia propagandistica, per comprendere cause e contesto dello scontro istituzionale. Fino a un paio di mesi fa tutto ciò non era affatto scontato. La situazione pareva del tutto bloccata, tra i messaggi xenofobi del governo e un’opposizione più realista di Minniti.

Attenzione, però. Osservando il fenomeno dall’alto rischiamo di mettere al centro la politica dei palazzi, di ridurre la potenza e la complessità dell’antirazzismo ad una circolare esplicativa o all’attesa messianica di una pronuncia della Corte costituzionale. Una vecchia regola della strategia e della tattica insegna che non bisogna mai far scegliere al proprio avversario il terreno di battaglia. Sulla scorta di questo principio, all’indomani del successo di Lega e Movimento 5 Stelle e col tracimare del senso comune xenofobo, circolava in modo trasversale la convinzione più o meno esplicita che non l’antirazzismo potesse non essere il tema più opportuno per intaccare il consenso del governo giallobruno. Sembrava ci fossero questioni più urgenti da sollevare, nell’attesa che le contraddizioni interne alla maggioranza esplodessero, alla ricerca di promesse grilline da rivendicare o addirittura di cambiali elettorali da esigere. Per dirne una: quest’estate parve addirittura che, dopo la tragedia del Ponte Morandi e l’eccitazione a caldo dell’ineffabile ministro Toninelli, grazie a quella strana coalizione che governa il paese si stesse interrompendo il trentennale ciclo neoliberista e dovesse scoccare l’ora x del ritorno alle nazionalizzazioni. Di fronte alle promesse grilline, era l’inconfessabile tentazione, l’antirazzismo pareva questione ideale ed etica, scollegata dalle questioni materiali e destinata ad essere oggetto del bullismo di Salvini.

Dopo sei mesi di governo Salvini-Di Maio, possiamo dire che non è andata in questo modo. Una composizione sociale e politica plurale ha colto i nessi strutturali dell’ondata razzista. Diverse forme e culture dell’antirazzismo hanno prima costruito un argine minimo di solidarietà e poi si sono diffuse e alleate tra loro. I migranti hanno costruito i due cortei nazionali più grandi di questa stagione, assieme a quelli del movimento femminista. Sul tema dei salvataggi si è misurato il successo della progetto Mediterranea, che è riuscito a mettere in relazione l’attività di soccorso delle Ong e quella più politica dei movimenti sociali. Attorno alla figura di Mimmo Lucano si è costituita una fetta di opinione pubblica che sostiene nuovi e diversi modelli di accoglienza. Prima di lui, altre resistenze locali ad altri abusi, anche in territori nient’affatto facili, hanno testimoniato quanto sia ramificato il movimento antirazzista. L’elenco è per forza di cose parziale: l’indignazione blitz di polizia al centro di accoglienza della parrocchia di Pistoia, il regolamento che istituisce l’apartheid sull’accesso ai servizi di Lodi, l’aggressione dei naziskin ai cittadini solidali di Como, la quotidiana resistenza di Baobab a Roma, le grandi manifestazioni di Milano.

Le città ritrovano il senso profondo della loro natura quando reagiscono alla barbarie. Il fatto che costruiscano il terreno affinché anche i sindaci più impresentabili oggi si sentano in diritto di alzare la voce sul terreno dei diritti dei migranti diventa quasi un fenomeno secondario. Per cogliere i rischi e afferrare le potenzialità di questa situazione bisogna guardare alla causa e non all’effetto, a come si sono costituite giorno per giorno le condizioni perché il monologo di Salvini venisse incrinato. I nostri nemici lo sanno bene: il problema in fondo non è Leoluca Orlando, tantomeno Dario Nardella. Basta scorrere il decreto che porta il nome del ministro dell’interno,  è sufficiente immaginare gli effetti dell’ennesima stretta giustizialista che è passata sotto l’etichetta della legge anticorruzione tanto cara a Di Maio. Il reato di blocco stradale, l’aggressione ai movimenti per l’abitare, l’ossessione per il decoro, il ricorso al carcere contro ogni forma di pena alternativa rappresentano un attacco alle forme di vita in comune. Sono misure che non riguardano soltanto i richiedenti asilo o i migranti. I due contraenti del contratto di governo ha un problema con gli spazi aperti e con la materialità dei luoghi. Entrambi, a modo loro, cercano di addomesticarli. Dietro il fascismo alla nutella della Lega c’è l’idea di ridurre i luoghi a spazi recintati in competizione. La cinica utopia tecnopolitica del M5S si illude di poterli racchiudere dentro piattaforme digitali che sembrano pensate apposta per i conflitti. I primi cercano di costruire identità escludenti, di unire in nome di un invasore. I secondi sognano di sostituire alla ruvida concretezza dell’esistenza lo spazio liscio e pacificato della comunicazione.

Le condizioni che hanno determinato l’inquietante alleanza tra la sofferenza sociale manifestata confusamente dal Movimento 5 Stelle e l’aggressività nazionalista che ha preso la forma della Lega si stanno esaurendo? È presto per dire se ci troviamo davanti all’inizio della fine della maggioranza di governo. Ma forse non è azzardato dire che da qui si parte: da questo intreccio tra mutuo soccorso e società solidale. Il lavoro di cura e quello precario si incontrano con le vite al confine, iper-sfruttate e quotidianamente messe al bando, dei migranti. Qui si incrociano le strade delle nostre città e l’azione collettiva ritrova senso. Qui il giacobino nero ricompare a ribaltare le categorie date e turbare i sonni dei potenti.

Giuliano Santoro

da Jacobin Italia

 

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