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Criminalizza e diffama. Le nuove politiche migratorie

Tutte le inchieste contro chi aiuta i migranti. Fa scuola l’Italia, ma dalla Grecia alla Spagna sono molti i Paesi europei che hanno scelto la via autoritaria

«I tentativi in corso volti a limitare le operazioni Sar da parte di Ong rischiano di mettere in pericolo migliaia di vite, limitando la possibilità che le imbarcazioni di soccorso possano accedere alle acque prospicienti la Libia. Campagne di diffamazione contro i difensori dei diritti dei migranti e Ong e la loro criminalizzazione contribuiscono ulteriormente alla stigmatizzazione di migranti e rifugiati rafforzando la xenofobia in Italia». È il testo di una comunicazione inviata a novembre dello scorso anno al governo italiano da molti Relatori speciali Onu, tra cui quello sui difensori dei diritti umani, Michel Forst, e quello sui diritti dei migranti, Gonzales Morales. Dal governo non è mai arrivata nessuna risposta.

Sia Forst che Morales erano stati precedentemente in visita accademica in Italia. Il secondo a ottobre scorso, al SabirFest di Palermo, per partecipare alla presentazione del rapporto del Transnational Institute (Tni) di Amsterdam sulla «Restrizione degli spazi di agibilità per chi pratica solidarietà con migranti e rifugiati». L’istituto di ricerca internazionale collega da 40 anni esperienze legate ai movimenti sociali, accademici impegnati ed esponenti politici. Nel dossier indica le responsabilità dell’Unione europea e degli stati membri nella criminalizzazione della solidarietà. Un fenomeno che va di pari passo con la securitizzazione delle politiche del governo e dell’Ue sul controllo dei flussi migratori. Non è un caso che la criminalizzazione della solidarietà subisca un’impennata dopo la fine dell’operazione di salvataggio dei migranti Mare Nostrum, condotta da marina e aeronautica italiana tra il 2013 e il 2014.

Tale strategia colpisce chi fa soccorso in mare, ma anche chi cerca di salvare vite a terra. Come nel caso di Helena Maleno, tra Spagna e Marocco, o di Cedric Herrou e delle guide alpine di Tous Migrants, tra Francia e Italia. Ci sono poi gli attivisti di Lesbo o quelli della «giungla» di Calais. Fino agli inglesi che hanno rischiato anni di carcere per aver bloccato un volo charter dall’aeroporto di Stansted, al reverendo Norbert Valley in Svizzera e a Felix Croft a Imperia. In Italia, gli ultimi in ordine di tempo a rischiare l’imputazione per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sono Pietro Marrone, capitano della Mare Jonio, e Luca Casarini, capo missione di Mediterranea.

La delegittimazione della solidarietà non avviene solo in paesi governati da coalizioni costruite sul discorso nazionalista, anti-migranti e xenofobo, come la Polonia o l’Ungheria. Nella Spagna di Sánchez, la nave di Proactiva Open Arms è ferma all’ancora da settimane. L’ Olanda, dove nelle recenti elezioni i partiti sovranisti hanno aumentato i loro consensi, tiene bloccata a Marsiglia quella di Sea Watch con un cavillo legale. Nuovi attacchi a organizzazioni che praticano solidarietà arrivano da Lesbo e altre parti della Grecia di Tsipras.

Nella maggior parte dei casi attivisti e attiviste sono assolti o scagionati, ma i danni che scaturiscono dalle inchieste, in particolare dalla strumentalizzazione mediatica utile a creare consenso intorno a chi governa e ad attizzare l’odio razziale, sono sostanziali. Su questo punto è chiara la comunicazione dei Relatori speciali. Non è un caso, come riporta il Tni, che in almeno 10 paesi europei le denunce contro chi pratica solidarietà provengano da formazioni di estrema destra.

Alla fine chi soffre direttamente le conseguenze peggiori sono i migranti: dalla restrizione degli spazi di agibilità civica si è arrivati a una situazione di diniego e interdizione di praticare soccorso in mare e a terra. Diniego che corrisponde alla negazione dei diritti umani e della dignità di chi dovrebbe essere soccorso e messo in salvo e invece viene riportato al punto di partenza e finisce in un lager libico. O di chi si ritrova abbandonato per giorni in balia delle onde, in condizioni fisiche disumane e degradanti. O, ancora, di chi in mancanza di aiuto muore in mare o in montagna. Questa situazione configura corresponsabilità in crimini contro l’umanità, come denunciato nella sessione del Tribunale permanente dei popoli tenutasi a Palermo nel dicembre dello scorso anno. I risultati del lavoro del Tribunale sono stati resi pubblici recentemente in un evento al Parlamento europeo, a Bruxelles.

Un segnale chiaro per ricordare che la crisi dell’Europa è anche segnata dalla torsione autoritaria e securitaria contro i migranti e chi li soccorre. Toccherà a movimenti, ai cittadini e alle cittadine europee contrastarla. «Attraverso la disobbedienza civile e il sostegno dei diritti dei migranti, questa società rappresenta la vera e propria forza “costituente” di un nuovo progetto europeo decolonizzato, che si fonda su giustizia e diritti per tutti», dice il Tni. Ad oggi pare l’ultima possibilità per contrapporre alla «necropolitica» una vera politica della vita.

Francesco Martone

da il manifesto

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