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Costituire un fronte comune e una resistenza al tentativo di pacificare ogni conflitto.

Il contributo inviato dall’assemblea anticarceraria Napoli per l’assemblea “Repressione e diritto di resistenza. Legittimare le lotte sociali, costruire un movimento antipenale” che si è tenuta venerdi 22 marzo al Nuovo Cinema Palazzo a Roma

Ciao a tutte e tutti,

come assemblea napoletana delle compagne e dei compagni contro il carcere avremmo voluto partecipare a questa assemblea su repressione e diritto alla resistenza, ma non potendo essere presenti abbiamo pensato di inviare comunque un nostro contributo.

Oggi più che mai crediamo sia importante ragionare sull’ondata repressiva che sta colpendo i movimenti e le esperienze di lotta, e che sia importante costituire un fronte comune e una resistenza al tentativo di pacificare ogni conflitto. Questo governo, più degli altri, fa della sicurezza una parola d’ordine per una ristrutturazione reazionaria della società, fomentando la paura e colpendo duramente le lotte e le esperienze antagoniste, in un progetto di società che con sempre maggiore evidenza è razzista, patriarcale e fascista. Sappiamo bene però che tutti i partiti, senza eccezione, giocano con piacere la carta della repressione, da Salvini e la lega al movimento 5 stelle che a Roma e Torino (giusto per fare due esempi) ha dimostrato la sua assoluta continuità con le politiche repressive, da tutte le sfumature del fascismo dei partiti di destra alla sinistra che in Minniti ha trovato il degno erede di anni di ideologia securitaria di centrosinistra.

Oggi questa repressione non colpisce solo compagne e compagni. Colpisce il desiderio e la mobilità migranti, l’autodeterminazione dei territori, le soggettività non conformi e giudicate indecorose, gli indesiderati e i marginali; si manifesta nella violenza dello stato e del suo braccio armato poliziesco, ma anche nei processi di espropriazione e devastazione dei territori così come nella violenza dei processi neoliberisti che trasformano le città in parchi giochi per consumatori privilegiati. Il carcere, in questa spirale repressiva, svolge un ruolo sempre più centrale, come dimostrano le ultime operazioni poliziesche che hanno portato allo sgombero dell’asilo occupato a Torino e agli arresti di alcun* compagn* a Trento, ma anche le cifre impressionanti della popolazione carceraria che alla fine dell’anno scorso ha raggiunto il picco di 60000 detenuti. Nodo fondamentale di questo progetto politico reazionario, il carcere svolge un ruolo di mantenimento e riproduzione dei rapporti sociali, culturali, giuridici, economici egemonici, una periferia sociale dove marginalizzare e segregare indisciplinat* e indesiderat*, una minaccia per tutt* coloro che non corrispondono agli imperativi di questa società, una promessa per ogni esperienza di opposizione e antagonismo.

Siamo profondamente consapevoli della funzione cruciale del carcere nella società, come vendetta istituzionalizzata verso ogni esperienza di lotta, come strumento di controllo delle “classi pericolose” e delle soggettività irriducibili alle norme sociali egemoniche e come dispositivo di disciplinamento generalizzato: ogni condanna, ogni pena, ha un valore politico, perchè funzionale a riprodurre i rapporti di forza dominanti di questa società. Il nostro intervento, come assemblea anticarceraria, si rivolge dunque a tutti i detenuti e a tutte le detenute: vogliamo rilanciare la loro voce, sostenere le loro rivendicazioni, supportare le loro lotte. Vogliamo portare fuori tutto lo schifo che accade ogni giorno dentro il carcere, e ricordare alla società che la violenza del carcere non è quella di quei pochi abusi che riescono a bucare il silenzio che circonda l’istituzione penitenziaria, ma che il carcere stesso è violenza istituzionalizzata quotidiana; una violenza che schiaccia emotivamente e fisicamente ogni giorno, una violenza che spinge all’abuso di psicofarmaci visti come una via di fuga dalla realtà e che vengono sconsideratamente somministrati per mantenere i detenuti sedati, che si manifesta nella privazione quasi totale di diritti, nella malasanità e nell’assenza di cure, nei pestaggi continui, nello stigma che accompagna chi ha subito la detenzione. Una violenza che l’anno scorso ha portato 67 persone al suicidio nelle carceri italiane, 9 dall’inizio di quest’anno (a fronte di 6 suicidi ogni 100mila persone in stato di libertà, in carcere si suicidano 25 persone ogni 100mila, con un tasso di 19 volte superiore). Il carcere è anche una fonte di profitto, per chi deciderà di approfittare del nuovo piano di edilizia penitenziaria varato da questo governo, ma anche, per esempio, per chi già lucra sulla fornitura dei pasti e sugli spacci all’interno delle prigioni (dove i prezzi a volte sono anche tre volte superiori rispetto all’esterno). Vogliamo rompere l’isolamento e il silenzio che circondano il carcere, costruire rapporti con detenut* e parenti, perchè solo insieme possiamo pensare e costruire una società senza prigioni.

A ottobre, dopo quattro anni di lavoro, è stata varata una riforma penitenziaria vuota e ridicola; l’ultima risale a 40 anni fa, quando la differenziazione dei regimi detentivi attaccò il potenziale delle rivolte dei detenuti e delle detenute chiudendo una stagione di lotte. Ancora una volta risulta evidente la funzione del carcere: reprimere, punire, pacificare. Nessuno spazio per l’affettività di chi vive in carcere, per le misure alternative, per un’idea di giustizia che non sia pura e semplice vendetta e punizione. Ne abbiamo abbastanza di tutti i discorsi sulla devianza, la rieducazione, il trattamento: il carcere non è che un altro, fondamentale, dispositivo di controllo sociale e un comodo strumento per scaricare sulle soggettività più marginalizzate le insicurezze e le ansie di una società sempre più ingiusta.

Tutto ciò è evidente anche dai dati relativi alla composizione carceraria; infatti, in carcere le persone analfabete e senza titolo di studio sono circa 4 volte quelle laureate. I/Le laureat* sono 600, su 60mila e per quasi la metà de* reclus* “non è rilevato” un titolo di studio. L’incidenza dell’estrazione socioambientale sulla propensione a delinquere è dimostrata anche dalle statistiche sulla provenienza regionale dei detenuti. In italia la maggior parte dei detenuti proviene dalle regioni del sud. In ordine: Campania, Sicilia, Puglia e Calabria. Le regioni meno rappresentate in carcere sono Valle d’Aosta, Umbria e Trentino Alto Adige. Uno specchio del classismo e del razzismo su cui si regge la società. Anche la tipologia di reati comessi è indice del ruolo reale del carcere, di reclusione delle soggettività subalterne e marginalizzate dal sistema capitalista. Più del 60% dei detenuti sono in cacere per piccoli reati contro il patrimonio: furti, rapine, ricettazioni, ecc; più del 30% de* detenut* è in carcere per reati legati alla detenzione ed allo spaccio di droga. Pochissim* sono i/le detenut* in carcere per crimini di omicidio, stupro, pedofilia ecc.

Intendiamoci, non c’è riforma possibile per il carcere; l’unica riforma possibile è quella di una società senza più prigioni. Ma ci sembra evidente che le politiche di questo governo stiano segnando un avanzamento ulteriore verso un immaginario sempre più radicalmente punitivo e detentivo, verso la strenua difesa della proprietà (si veda la legge sulla legittima difesa), verso la criminalizzazione della povertà e della marginalità. Negli ultimi tempi tira una brutta aria, giustizialismo e populismo penale ci promettono una giustizia più spietata e un carcere più duro. Se è vero che le persone sottoposte a misure alternative aumentano ma aumenta anche la popolazione carceraria, questo significa che si stanno solo inventando nuovi modi per internare e reprimere porzioni sempre più significative della società, anche senza destinarle alla detenzione intesa in senso “classico”: tra misure alternative, daspo e sorveglianze speciali, forme di controllo mascherate da misure di welfare, la logica carceraria sta invadendo la società, l’inibizione della mobilità e il controllo dettagliato delle persone stanno diventando sempre di più uno strumento generalizzato di governo politico della società e di neutralizzazione del conflitto, reale o potenziale.

Per tutte queste ragioni a Napoli portiamo avanti un lavoro di controinformazione, ma anche di forte solidarietà tramite presidi fuori le carcerci di Pozzuoli, Poggioreale e Secondigliano. Stiamo cercando di stabilire delle corrispondenze, con i detenuti comuni ed un contatto con i loro familiari in modo da creare una rete di solidarietà che permetta di portare avanti delle vertenze coordinate tra l’interno e l’esterno del carcere. Dobbiamo dunque fare uno sforzo verso una società de-carcerizzata, verso immaginari non punitivi, sforzarci di rendere senso comune l’idea che non ci servono più carceri, più muri o più secondini (in un paese che, per di più, ha già un numero di guardie penitenziarie tra i più alti d’europa, rispetto al numero di detenut*), ma solo una società più giusta, libera da rapporti di dominazione e sfruttamento.

Assemblea anticarceraria Napoli

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