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Coprifuoco: così l’impotenza è mascherata da fermezza

Il messaggio piuttosto osceno che oggi circola con insistenza è che i cittadini, per garantire la salute propria e altrui debbano «cedere quote di libertà». Non pretendere una riorganizzazione razionale della vita produttiva, non prendere per il collo chi li costringe a file di otto o nove ore negli assembramenti obbligatori esposti alle intemperie per ricevere un tampone

La pazzia regna sovrana nel governo del paese. Ma non vi è logica alcuna in questa follia. Il governatore della Lombardia Attilio Fontana non è forse lo stesso che durante la prima ondata dell’epidemia riduceva le corse dei mezzi pubblici determinando l’affollamento sui medesimi?

E il sindaco del capoluogo lombardo Sala non è lo stesso dell’orgoglioso motto «Milano non si ferma!» che precedette un week end di delirio? Non è quella la regione dei trasferimenti degli infetti nelle Rsa e delle valli della morte aperte a pendolari e lavoratori?

Di fronte alla ripresa virulenta dell’epidemia questi governanti autoassoltisi da ogni errore e inadempienza, celebrando successi mai conseguiti, decretano ora il coprifuoco, senza virgolette, dalle 23 alle 5 della mattina. Non la chiusura dei locali e della vendita di alcolici, ma il confinamento notturno nelle case, quello imposto dai colpi di Stato e dai tempi di guerra.

Come già accadde per i mezzi di trasporto ne conseguirà un concentramento della movida dalle 21 alle 23, un’esplosione senza precedenti dell’apericena e un effetto più dannoso che nullo sulla diffusione del virus. Il governo che non sa quali pesci pigliare e che è arrivato del tutto impreparato alla seconda ondata dell’epidemia, lascia fare.

Il pugno di ferro che viene dal basso (regioni, comuni) lo solleva fortunosamente da responsabilità e scelte difficili. Laddove, invece, il coprifuoco integrale e generalizzato non sarà applicato, ai sindaci spetterà solo il compito di indicare a prefetti e questori le strade e le piazze del vizio da chiudere alla circolazione. Scatenando una probabile partita a rimpiattino tra ragazzi e agenti di polizia.

Assolti Stato e regioni che non hanno mosso un dito per affrontare il problema cruciale dei trasporti, che non hanno rafforzato a sufficienza con rapide assunzioni di personale e nuove strutture il Sistema sanitario territoriale, assolta (per il momento e non in Campania) la scuola nonostante il colpevole deficit di spazi e personale docente (grazie anche alla paranoia concorsuale) e in assenza dei promessi canali rapidi e dedicati di tracciamento, assolte le aziende cui per atto di fede si attribuisce un impeccabile rispetto dei parametri di sicurezza, assolto lo sport, ma solo quello che rende soldi (non dunque il calcetto in parrocchia), un colpevole bisognava pur trovarlo.

E lo si è trovato nei giovani della movida. Che quest’ultima sia inscindibile da fenomeni di assembramento e da un’inclinazione all’imprudenza è fuor di dubbio. Ma sono caratteristiche che condivide con molti altri fenomeni della vita sociale, che però non portano su di sé lo stigma del “superfluo” e dell’indisciplina. Senza contare che quella della notte è comunque un’industria come altre, fonte non indifferente di occupazione.

Il messaggio piuttosto osceno che oggi circola con insistenza è che i cittadini, per garantire la salute propria e altrui debbano «cedere quote di libertà». Non pretendere una riorganizzazione razionale della vita produttiva, non prendere per il collo chi li costringe a file di otto o nove ore negli assembramenti obbligatori esposti alle intemperie per ricevere un tampone.

E questo dopo svariati mesi che avrebbero dovuto consentire di mettere a punto un dispositivo di tracciamento più efficace e meno disumano. Non esigere un ampliamento eccezionale del telelavoro. Ma accettare di essere confinati nelle case durante le “improduttive” ore della notte. Il coprifuoco è al tempo stesso il segno e la negazione di un completo fallimento, un menar fendenti nell’aria.

Per non arrivare a questa impotenza mascherata da fermezza, oltre a una politica più lungimirante sarebbe stato necessario anche un ulteriore indebitamento, accettando le risorse del Mes?

Che certamente significa a sua volta una «cessione di quote di libertà» futura? Probabile. Ma almeno con qualche chance di posare fondamenta più solide e acquisire strumenti più efficaci. Senza contare che l’intero sistema globale del debito e del credito non potrà conservarsi indenne attraverso un passaggio così generalmente devastante come quello imposto dalla pandemia.

Come dimostra il generale allentamento dei dogmi finanziari in Europa e nei singoli stati. E come la probabile esplosione delle contraddizioni sociali renderà presto ineludibile.

Marco Bascetta

da il manifesto

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