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Cile: Destra e polizia contro le proteste dei mapuche

Civili armati attaccano le manifestazioni di solidarietà con i prigionieri politici, i carabineros arrestano i manifestanti. Ad aizzarli il neo ministro pinochetista dell’Interno

«El que no salta es mapuche», cantava il gruppo di civili armati che sabato e domenica ha attaccato violentemente i comuneros mapuche impegnati nell’occupazione di alcuni municipi dell’Araucanía come atto di solidarietà nei confronti dei propri prigionieri politici in sciopero della fame.

UN’AGGRESSIONE RAZZISTA che ha scatenato un’ondata di indignazione in Cile, nella consapevolezza, espressa da tanti manifesti, che «tutti abbiamo sangue mapuche, i poveri nelle vene e i ricchi sulle mani».

Non per niente nella foto simbolo della rivolta contro il governo Piñera, scattata durante l’oceanica manifestazione del 25 ottobre, è la bandiera mapuche a sventolare più in alto tra le mani di un giovane salito in cima al monumento del generale Baquedano in Plaza Dignidad.

Il violento attacco di sabato e domenica, promosso da organizzazioni latifondiste e da gruppi di estrema destra, è apparso tanto più grave in quanto avvenuto in pieno coprifuoco e nella totale indifferenza dei carabineros, che hanno poi proceduto ad arrestare 48 persone, tutti mapuche, tra cui anche bambini.

E soprattutto perché a fomentarlo è stato lo stesso ministro dell’Interno, il pinochetista Víctor Pérez che, a soli tre giorni dalla sua designazione, si è recato proprio nell’Araucanía, epicentro del conflitto che oppone il popolo mapuche allo Stato cileno, lanciando dichiarazioni incendiarie.

Riunendosi solo con i sindaci dei municipi occupati dai mapuche (sollecitando lo sgombero), con gruppi di imprenditori e con i latifondisti della famigerata Associazione per la pace e la riconciliazione nell’Araucanía, il neoministro ha indicato come sua priorità quella di «isolare i violenti», «perché i cileni meritano di vivere in pace e in tranquillità».

Come se i mapuche fossero, anziché le vittime, i responsabili del conflitto provocato dall’occupazione militare del Wallmapu, il paese mapuche, da parte dello Stato cileno, e come se non meritassero anche loro di vivere in pace.

Non contento, non ha esitato a negare – in perfetto stile Pinochet – l’esistenza di prigionieri politici, proprio mentre nelle carceri di Angol, di Temuco e di Lebu prosegue, in alcuni casi da oltre 90 giorni, lo sciopero della fame dei detenuti mapuche, tutti incarcerati nel quadro della Legge Antiterrorista varata da Pinochet e usata ancora oggi per colpire dirigenti e autorità ancestrali in lotta per la restituzione delle terre usurpate e per il diritto all’autodeterminazione.

A FAVORE DEI PRIGIONIERI in sciopero della fame, la cui richiesta, sulla base della Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro, è quella di poter scontare le pene detentive nelle loro comunità per tutto il periodo della pandemia, si moltiplicano fuori e dentro il paese dichiarazioni e atti di solidarietà.

Ma sta diventando una corsa contro il tempo, considerando le critiche condizioni di salute di alcuni di loro, a cominciare dall’autorità spirituale (machi) Celestino Cordova, le cui funzioni renali, cardiache ed epatiche risultano sempre più a rischio.

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