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Chi si arricchisce (in maniera “legale”) sui Cie

Il rischio è che la gestione passi tutta o quasi nelle mani di una società francese, la Gepsa.

L’emergenzialismo non solo distrugge lo stato di diritto, ma è anche un grande giro di soldi. Che dietro l’emergenza immigrazione, l’identificazione e poi l’espulsione delle migliaia di persone che ogni anno bussano alle porte dell’Italia per fuggire da fame, morte, miseria e guerre civili nei loro paesi d’origine, ci sia un grande business non è una “scoperta” di oggi grazie all’inchiesta di “Mafia Capitale”. È in realtà un giro di soldi perfettamente legale, ma eticamente discutibile che da anni viene praticato sulla pelle degli immigrati.

Ci guadagnano tutti, con gli immigrati irregolari, in Italia, tranne loro, gli immigrati stessi, che non solo arrivano spesso al termine di un viaggio dai rischi mortali, ma sono oggetto di scherno, insulti, offese da parte di molta parte della popolazione che li accusa di rappresentare un costo per il nostro Paese.

Il capo della Lega Matteo Salvini e movimenti xenofobi come Forza Nuova o Casa Pound ne approfittano e gli slogan sono sempre quelli: “Mandateli via, date i soldi che stanziate per loro a noi!”. Circolano infatti bufale, alimentate da alcuni giornali , su ricchi gettoni che riceverebbero gli immigrati ospiti nei Cie, o su trattamenti particolari.

Niente di falso. Ricevono pochi spiccioli al giorno o alla settimana (si chiama “pocket money”), una manciata di euro, per le sigarette o una telefonata in casa. E il loro trattamento nei Centri di identificazione ed espulsione è una vera e propria detenzione, che ignora i diritti più basilari di queste persone. Ecco perchè alcuni di loro decidono di cucirsi con ago e filo lo bocca, oppure incendiano i materassi in segno di protesta per le condizioni in cui sono costretti a vivere.

La legge Bossi-Fini è strettamente funzionale a questo mercato perché “produce” centinaia di clandestini da rinchiudere nei Cie e, quindi, alimentando il grande business dell’accoglienza, con molte cooperative e non solo, gestite dai soliti noti, che si dividono una torta ricchissima. È una torta gigantesca quella che in Italia si spartiscono ormai da dieci anni veri e propri “colossi” del business dell’accoglienza: dalla Legacoop alle imprese di Comunione e Liberazione, fino ad arrivare alle multinazionali.

Il business sull’emergenza immigrazione è diventato un fenomeno globale. Dietro gli imperativi securitari ed economici sì nasconde una realtà molto precisa e l’uso sempre più frequente di strumenti militari (droni, radar, satelliti) nell’ambito delle politiche migratorie, è il simbolo più rappresentativo di questa evoluzione.

Non a caso c’è chi ha parlato di “guerra contro i migranti”: i migranti non sono più persone, ma nemici, talvolta associati ai terroristi per giustificare agli occhi dell’opinione pubblica lo sfoggio di armi e le dotazioni da guerra. I costi in termini di vite umane di queste politiche sono sproporzionati rispetto agli obiettivi e i risultati ottenuti. Non sono efficaci e, cosa più grave, si ignora cosa ci sia dietro, quali siano le reali intenzioni: economiche ed ideologiche.

Nel frattempo la gestione dei Cie “nostrani” viene man mano affidata alla multinazionale francese Gespa. L’ingresso ufficiale di Gepsa nel mondo della reclusione in Italia non è una novità di poco conto, Gepsa, filiale di Cofely, società a sua volta appartenente alla multinazionale dell’energia Gdf-Suez, è stata creata nel 1987 per poter sfruttare le possibilità che lo Stato francese stava allora offrendo alle imprese private di partecipare al mercato della gestione e costruzione dei penitenziari d’Oltralpe.

Un’apertura al privato legata alla decisione dello Stato francese di aumentare il numero dei posti disponibili nelle sue prigioni, cui Gepsa in questi anni ha sicuramente fornito un contributo importante, tanto da esser considerata come uno dei partner principali dell’Amministrazione Penitenziaria. Il suo acronimo rivela che è specializzata nella “gestione dei servizi ausiliari negli stabilimenti penitenziari” ed effettivamente, in quella che è la logistica della detenzione, Gepsa fa un po’ di tutto: manutenzione generale e degli impianti elettrici, idraulici e termici, pulizia dell’edificio, consulenze informatiche, cura degli spazi verdi, vitto, trasporto e lavanderia per ì detenuti, ristorazione per il personale carcerario.

Altra attività in cui Gepsa si distingue è lo sfruttamento del lavoro dei detenuti attraverso la gestione di numerose officine all’interno dei penitenziari. Attualmente la Gepsa, in Francia gestisce 34 carceri e 8 Centri per immigrati senza documenti per una superficie pari a 715 000 mq, e partecipa ad un consorzio per la costruzione e la gestione dì altri 4 penitenziari, che garantisce il lavaggio di quasi 8 tonnellate di indumenti e la preparazione di 14.500 pasti al giorno. Sono 400 infine i suoi dipendenti.

Cifre che aiutano a dare un’idea di cosa sia Gepsa e che la rendono una della possibili candidate a diventare quel gestore unico dei Cie di cui ormai da tempo le autorità discutono. L’eventualità che Gepsa diventi il futuro gestore unico dei Cie italiani o anche solo che sostituisca la Croce Rossa nella gestione di un gran numero di centri è reale.

Damiano Aliprandi da il Garantista

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