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Centinaia di multe ad attiviste/i NoTav

Ai militanti No Tav sono arrivate centinaia di multe da 400 euro per la violazione della normativa anti-Covid per aver partecipato a diverse manifestazioni non autorizzate durante i mesi delle restrizioni per la pandemia.

La Questura sta approfittando  degli strumenti giuridici offerti dalla pandemia  per colpire anche con sanzioni economiche gli attivisti del movimento No Tav che sono stati identificati “a vista” durante alcune manifestazioni in Valsusa, ma anche a chi ha partecipato al corteo del Primo maggio.

Poco conta che la maggior parte dei manifestanti multati indossasse correttamente la mascherina, così come non c’entrano eventuali violazioni agli spostamenti che nei mesi scorsi erano previste nelle zone arancioni e rosse. La motivazione usata dalla Digos è che durante la pandemia erano consentite dai Dpcm solo manifestazioni stanziali e quindi sono stati sanzionati tutti i presidi e i sit-in che si sono trasformati in cortei.

Nessuno degli attivisti multati è stato fermato sul posto per consegnargli la multa, ma sono stati tutti identificati perché persone note alle forze dell’ordine che li hanno visti sul posto o riconosciuti attraverso i filmati fatti dalla polizia durante le manifestazioni. E la multa è arrivata tempo dopo a casa. “Un’attenzione che non è stata riservata ad altre manifestazioni come quelle dei festeggiamenti per la nazionale agli Europeo di calcio”, denunciano gli avvocati dei No Tav che in queste settimane stanno raccogliendo i ricorsi contro le sanzioni.

Le infrazioni rinvenute hanno a che fare con le disposizioni in materia di salute e prevenzione sanitaria: in particolare, gli investigatori della Digos guidati da Carlo Ambra (nominato a capo del comparto sabaudo il 2 ottobre del 2017) contestano alle attiviste e agli attivisti di aver dato vita a manifestazioni “itineranti” e non stanziali, come previsto dalle normative anti-Covid in quel momento (le multe si riferiscono sistematicamente a tutte le azioni compiute in Valsusa da dicembre dell’anno scorso nonché al corteo del Primo Maggio).

Ma, anche in questo caso, viene in mente come nessun provvedimento sia stato intrapreso per i festeggiamenti dello scudetto dell’Inter, che si svolgevano a Milano esattamente nel medesimo periodo (2 maggio). «Misure come queste, che distinguono fra manifestazioni stanziali e itineranti, sono destinate fin dall’inizio ad avere un’applicazione limitata e altamente discrezionale», afferma l’ex-magistrato direttore di Edizioni Gruppo Abele Livio Pepino. «Il rischio, cioè, è che si verifichi una disparità di trattamento inaccettabile».

Non è da escludersi dunque che il procedimento si ripeterà anche per mobilitazioni successive. «Si tratta di un provvedimento molto indeterminato», aggiunge Pepino. «Una tale indeterminatezza lascia spazio a una forte arbitrarietà interpretativa e attenua quindi la certezza applicativa della disposizione. Tutti elementi che possono alimentare strumentalizzazioni e atteggiamenti persecutori nei confronti di quanti sono oggetto di attenzione giudiziaria per altri motivi».

Circostanze che, per quanto riguarda il movimento No Tav, non sarebbero certo sorprendenti: è stato fatto notare da più parti come, nel corso degli anni, nei confronti di chi si è impegnato nella lotta contro l’alta velocità in Valsusa siano stati impiegati strumenti giudiziari spesso sproporzionati o misure eccezionali.

Uno studio condotto l’anno scorso da Alessandro Senaldi, ricercatore presso l’Università di Bologna e autore del libro Cattivi e primitivi. Il movimento No Tav tra discorso pubblico, controllo e pratiche di sottrazione (Ombre corte, 2016), rileva infatti numerose criticità: innanzitutto, una «sovrarappresentazione degli agenti di pubblica sicurezza» durante tutte le fasi processuali che coinvolgono militanti No Tav; a seguire, un «sovradimensionamento dei fatti di reato», tale per cui le singole fattispecie vengono il più delle volte ingigantite (e un “danneggiamento” viene trasformato in “terrorismo”) e le aggravanti applicate nella quasi totalità dei casi; infine, c’è una rapidità inconsueta sia nello svolgimento delle indagini preliminari che nella durata dei processi (le prime che impiegano, per il campione esaminato, 126 giorni in meno della media nazionale, i secondi che sono invece 2,5 volte più veloci del normale).

Il dubbio è dunque che anche nel caso delle multe per violazione delle norme anti-Covid ci si trovi davanti a un caso di questo tipo. «In situazioni che sono ingestibili con le misure del diritto penale o amministrativo di stampo repressivo, ecco che si esalta il potere di colpire indiscriminatamente», conclude Pepino. «Sanzioni come queste sono meno penetranti e invasive delle “classiche” sanzioni penali ma, soprattutto se ripetute nel tempo, possiedono una capacità intimidatoria piuttosto forte. La difesa peraltro non è una passeggiata: fare opposizione può risultare spesso molto costoso».

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