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Carta di soggiorno revocata a chi perde il lavoro. Il giudice ferma le Questure

“Il permesso a tempo indeterminato può essere tolto solo a chi è pericoloso, la mancanza di reddito non conta”. Un immigrato e l’Anolf vincono ricorso al Tar di Milano
Per anni hanno lavorato duro rinnovando di volta in volta i loro permessi di soggiorno. Poi si sono finalmente messi in tasca la carta di soggiorno (permesso Ue per lungosoggiornati), il  documento “a tempo indeterminato”  a cui aspirano tutti gli immigrati.
Quando però, complice la crisi economica, hanno perso il lavoro, la Questura ha revocato loro la carta di soggiorno. Sostenendo che, senza un regolare contratto di lavoro, non possono essere considerate “persone per bene”, degne di rimanere in Italia. Come se a decidere di non lavorare, o di lavorare in nero, fossero i lavoratori.
È successo,  soprattutto a Milano, a cittadini stranieri che avevano chiesto un duplicato o un aggiornamento della loro carta di soggiorno. La Questura ha preteso che dimostrassero di nuovo i requisiti di reddito previsti per il primo rilascio e, in mancanza di assunzioni regolari, contributi versati  ecc, è arrivato il diniego. Potenzialmente una strage, in tempi di crisi economica.
Ora a fermare questa prassi è finalmente arrivata la legge, fatta valere qualche giorno fa dal Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia. Il giudice ha dato ragione a un cittadino srilankese, che dopo aver lavorato a lungo come custode non era riuscito a trovare una nuova occupazione, e ha dato torto alla Questura, che gli aveva revocato la carta di soggiorno perché non aveva un reddito regolare.
La mossa della Questura, ha spiegato il giudice, è illegittima. Sia le norme europee (art. 8 della Direttiva 2003/109/CE), sia il Testo Unico sull’immigrazione che le ha recepite (art. 9 del d.lgs. n. 286/98), prevedono infatti che lo “status di soggiornante di lungo periodo è permanente” e può essere revocato solo “ qualora lo straniero sia pericoloso per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, e non invece a fronte della mera mancanza di redditi”.
L’immigrato srilankese può festeggiare, riavrà la carta di soggiorno che si era conquistato sin dal 2005. E lo stesso potranno pretendere quanti sono incappati in una simile ingiustizia. Soddisfatta anche l’Anolf Cisl, che aveva sollevato il caso chiedendo anche l’intervento della commissione europea e che ha affiancato il lavoratore nel ricorso al Tar insieme all’avvocato Silvia Balestro.
“La crisi ha colpito duro, soprattutto in determinati settori e soprattutto i lavoratori stranieri.  Togliere loro la carta di soggiorno solo perché hanno perso il lavoro vuol dire far fare un enorme passo indietro al processo di integrazione, per una situazione della quale non hanno colpa. Come si può presupporre che chi non ha un lavoro regolare abbia scelto scientemente di lavorare in nero o di evadere le tasse?” dice a Stranieriinitalia.it, Maurizio Bove, presidente di Anolf Milano e responsabile immigrazione della Cisl meneghinare.
La prassi della Questura di Milano, nota il sindacalista, estremizzava il legame tra lavoro e permesso di soggiorno già previsto dalla legge, andando oltre la stessa legge con una discrezionalità eccessiva e perdendo di vista l’importanza dell’integrazione di chi vive da tanti anni in Italia. Del resto, una sentenza simile a questa aveva già bocciato la Questura, che a quanto pare ultimamente ha iniziato a valutare con più attenzione le singole situazioni.
“Ora ci aspettiamo che la legge venga applicata correttamente a Milano e nel resto d’Italia. Deve essere chiaro che chi perde il lavoro non può perdere, per quel motivo, anche la carta di soggiorno” conclude Bove. Se poi il ministero dell’Interno, aggiungiamo noi, volesse chiarire il concetto a tutte le Questure, sarebbe un ulteriore passo avanti.

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