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Caro Travaglio, in Italia si va in carcere anche solo per un giorno

Le argomentazioni sbagliate del direttore del fatto ai rilievi di due professori di diritto processuale. In carcere si va anche per eseguire pene al di sotto di 4 anni e si fa ingresso anche da liberi, laddove l’ordine sia notificato per una condanna a un reato di quelli contenuti nell’art 4 bis dell’ordinamento penitenziario

«Cari amici, se volete il mio parere, io trovo assurdo che i condannati a pene fino a quattro anni ( oltre il 90% dei condannati dai tribunali italiani) non finiscano in carcere neppure per un giorno, salvo rarissime eccezioni. Per me, la certezza della pena si ha soltanto se la condanna a X anni di ‘ reclusione’ comporta davvero X anni di ‘ reclusione’. In carcere, non a casa o ai servizi sociali. Altrimenti il sistema diventa criminogeno ed è quello che purtroppo accade da decenni in Italia, dove le regole penali sono un incentivo a delinquere», così ha risposto il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio a un interessante commento ospitato dal suo giornale a firma di due professori di diritto processuale penale dell’università di Ferrara e Bologna, Stefania Carnevale e Daniele Vicoli. Hanno spiegato che la sospensione dell’ordine di esecuzione «non mina alla radice la certezza della pena», perché «è un meccanismo che, di regola, consente al condannato ( se non già detenuto) di attendere in libertà la decisione della magistratura sull’eventuale applicazione di misure alternative, i cui presupposti sono vagliati caso per caso, senza automatismi di favore». I professori sottolineano quindi che «la pena non verrà poi evitata, ma scontata in carcere o con diverse modalità sanzionatorie». Hanno inoltre approfondito il discorso dell’affidamento in prova e della sentenza della Consulta che ha allineato la disparità che si era creata con il cosiddetto “decreto svuotacarceri” convertito in legge nel 2014.

Ma torniamo alla risposta di Travaglio. In realtà ha fatto un po’ di confusione perché ha sbagliato completamente il piano di discussione, facendo anche intravvedere che non conosce evidentemente i dati reali, non quelli percepiti a causa di una certa informazione. Quando scrive «io trovo assurdo che i condannati anche fino a 4 anni non finiscano in carcere neppure per un giorno, salvo rarissime eccezioni» dimostra di non aver inteso che la materia di cui sta parlando non attiene alla riforma dell’ordinamento penitenziario, bensì ad una norma di carattere procedurale del nostro ordinamento, quella cioè contenuta nell’art 656 cpp, che prevede che l’ordine di esecuzione notificato al condannato, purché libero, debba essere sospeso. Del resto la finalità dell’istituto è proprio quella di evitare che un condannato libero faccia ingresso in carcere. Il fatto che sia libero, e questo Travaglio non lo considera, presuppone che a lui non sia stata applicata la carcerazione preventiva e dunque che egli non sia stato ritenuto socialmente pericoloso; infatti, se fosse in custodia cautelare in carcere, una pena al di sotto dei 4 anni non comporterebbe la sospensione dell’esecuzione, ma solo la possibilità per il condannato di richiedere l’affidamento secondo le regole dell’ordinamento penitenziario.

I dati relativi ai detenuti presenti condannati ( con almeno una condanna definitiva) per pena inflitta riportati dal ministero della Giustizia sono chiari. È l’anno 2017. Sui 37.451 detenuti condannati, si nota che parecchi sono i detenuti presenti in carcere con pene ben al di sotto dei 4 anni, anche nell’arco del solo anno di reclusione: questo perché, al contrario di quanto scrive Travaglio, in Italia in carcere si va anche solo per un giorno. A dire il vero, il problema è un altro. L’esatto opposto di quello che denuncia il direttore de Il Fatto.

Spesso la carcerazione preventiva è invece abusata e pertanto, se anche poi si verrà condannati a un solo anno di pena ( quasi 2000 detenuti scontano una pena che va da pochi giorni a un anno), lo stesso viene scontato interamente in carcere perché l’ordine non è sospeso e la detenzione prosegue, salvo ovviamente il diritto di richiedere al Tribunale di Sorveglianza una misura alternativa. A questo aggiungiamo il restante dei detenuti che non compaiono nella tabella, perché non hanno subito ancora nessuna condanna e sono in carcere in attesa di giudizio. Nella tabella infatti vediamo un numero di 37.451 detenuti aventi almeno una prima condanna. In totale però, sempre a fine anno del 2017 erano presenti 50.499 ristretti. Cosa significa? Più di 13 mila detenuti sono in attesa della condanna di primo grado.

La risposta del direttore del Fatto Quotidiano non tiene in conto che la pena deve essere rieducativa e che il carcere non sempre lo è, soprattutto per chi è a digiuno da pregresse esperienze. Al contrario di quanto osserva, in carcere si va anche per eseguire pene al di sotto di 4 anni e si fa ingresso anche da liberi, laddove l’ordine sia notificato per una condanna a un reato di quelli contenuti nell’art 4 bis dell’ordinamento penitenziario. Basti pensare al caso di un giovane che, strattonando un altro ragazzo, gli rubi un iPhone così commettendo una rapina: egli, seppur lasciato in stato di libertà durante il processo per assenza di esigenze cautelari, non appena divenuta definitiva la sentenza, sarà costretto a entrare in carcere non potendo beneficiare della sospensione dell’ordine di esecuzione per aver commesso una rapina, ovvero uno di quei reati ostativi dell’art 4 bis o. p. Ecco perché nella tabella i detenuti per condanne al di sotto dei 4 anni sono ben oltre la metà, almeno l’ 80%: perché la sospensione dell’ordine di esecuzione non opera sempre, e comunque quando lo fa è in conformità al principio dell’art 27 della Costituzione che mira a rieducare il condannato, non per forza a chiuderlo dietro le sbarre.

Quindi Travaglio ha sbagliato completamente piano e non ha inteso l’argomentazione dei due professori universitari. L’Ordinamento penitenziario individua tre tipi di misure alternative: l’affidamento in prova al servizio sociale, la semi- libertà, la detenzione domiciliare. La misura più utilizzata resta, come detto, l’affidamento in prova al servizio sociale, ossia quella sanzione penale che consente al condannato di espiare la pena detentiva inflitta o residua in regime di libertà assistita e controllata, sulla base di un programma di trattamento. Con l’introduzione della messa alla prova il nostro paese si è allineato a una tendenza diffusa in molti paesi europei a utilizzare strumenti di sospensione della fase processuale. E nei paesi dove viene implementata, si pensi in Olanda, la recidiva si abbassa così rapidamente e accade che le carceri vengono chiuse perché vuote. Altro che sistema criminogeno. Il nostro Paese, con la mancata riforma dell’ordinamento penitenziario, rimane indietro e se mai venisse messo in pratica il punto del contratto legastellato relativo al sistema penitenziario e giudiziario, rischia anche di ritornare ai tempi delle condanne da parte della Cedu.

Damiano Aliprandi

da il dubbio

Comments ( 1 )

  • Diego Mazzola

    Un saluto a tutti voi e un caloroso ringraziamento. Le vostre osservazioni mi sembrano molto pertinenti, ma c’è qualcosa che mi sento di dire, anche se sono un perfetto profano ma un attento da anni, per non dire da decenni, di questo argomento. Dico allora che non è la punizione ciò che può trattenere un individuo dal compiere reati anche molto gravi, come può essere l’omicidio, bensì la conoscenza dei fini del Pattto Sociale e dell’educazione alla nonviolenza. Ciò non può essere pensato da un Sistema, come quello Penale, che “poggia” la sua stessa natura sul Modello Retributivo, che altro non è se non una moderna mistificazione della legge dell’occhio per occhio e del dente per dente (Codice di Hammurabi, del 1754 a. c.), che consente non solo la vendetta privata ma anche quella sociale e politica. In alternativa a questo c’è solo il Modello Riabilitativo e Sanzionatorio, nonché per sua natura capace di fare prevenzione, personale e sociale. Quest’ultimo ha portato enormi successi in Olanda e in altri Paesi del Nord Europa, soprattutto per l’impegno abolizionista di Luck Hulsman, di Niels Christie e di Thomas Mattisen (del resto praticamente sconosciuti nelnostro Paese). La rottamazione del Sistema Penale consentirebbe a giudici ed avvocati un ruolo molto più liberale e democratico di quello fino ad oggi praticato a discapito delle carceri legalmente sovraaffollate e dei troppi milioni di non colpevoli dei fatti loro ascritti dal 1945 ad oggi.
    Mi dichiaro disposto ad un confronto in materia. Vi abbbraccio comunque per l’occasione datami e per quanto da voi sostenuto. Diego Mazzola diego46mazzola@gmail.com

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