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Carabinieri e ordine feudale

Quelle azioni fortemente antidemocratiche delle forze di polizia. Perché abbiamo impiegato trent’anni per partorire una zoppicante legge sulla tortura? Perché gli agenti sono contrari all’identificazione sulla divisa? Perché in Italia c’è stato un omicidio come quello di Stefano Cucchi? Ci sono prima di tutto ragioni storiche, scrive Ascanio Celestini, che hanno a che fare non solo con la repressione sabauda prima e fascista poi, ma con i casi in cui le forze dell’ordine, nel dopoguerra, sono state protagoniste di azioni fortemente antidemocratiche: dal colpo di stato organizzato dal generale De Lorenzo a Genova 2001

Leggo le parole di Ilaria Cucchi e mi torna in mente un articolo di Luigi Manconi su Internazionale. Il titolo era “Perché in Italia tutti hanno paura della polizia”. La questione è spiegata in una frase: “Resiste nel paese, e nei suoi gruppi dirigenti, una forma diffusa di preoccupazione non per ciò che le polizie, in nome e in forza della legge, possono compiere, ma per ciò che possono compiere contro la legge”. E continua specificando che forse la classe politica non si fida “della lealtà delle polizie”, dubita “della loro dipendenza in via esclusiva dalla legge”. Che insomma ne teme “le reazioni incontrollate”.

Per questo ci abbiamo messo trent’anni per partorire una zoppicante legge sulla tortura. Per questo gli agenti sono contrari all’identificazione sulla divisa. E considerano un’offesa la possibilità di individuare chi tra loro compie violenze al punto che un loro sindacato vede una cosa tanto normale alla stregua di un marchio per il bestiame (fonte: FSP 13.11.’20).

Tenendo fuori gli anni della repressione sabauda prima e fascista poi, il dopoguerra ci ha mostrato in alcuni casi le forze dell’ordine protagoniste di azioni fortemente antidemocratiche. Vale la pena citarne due che hanno avuto un peso enorme. La più recente ha colpito direttamente la mia generazione e è relativa alle violenze compiute nella scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto a Genova. Ma la più esemplare fu il colpo di stato organizzato dal generale De Lorenzo.

Il 1960 segnò un momento di passaggio nel nostro paese. La crisi della DC era sfociata nel governo Tambroni appoggiato dai post fascisti del MSI. La propaganda delle destre aveva pompato sull’anticomunismo e in piazza si sparava sui manifestanti. Una canzone ricorda i morti di Reggio Emilia, ma non furono i soli. Alla fine di luglio nasce il terzo governo Fanfani e comincia la manovra per la costituzione del centro sinistra. Siamo in tempo di “convergenze parallele”. Il PSI passerà dall’astensione all’appoggio esterno per andare al governo con Moro nel ’63. Sei mesi dopo, per la sfilata del 2 giugno del ’64 Roma si riempie di militari. Mezzi e uomini in quantità visibilmente superiore a quella che serve a una passerella patriottica. Le conquiste dei mesi precedenti sono troppe e si chiamano: scuola media obbligatoria, nazionalizzazione dell’energia elettrica, imposta sui titoli azionari, diritto della donna di accedere a tutti i lavori compresa la magistratura, commissione anti-mafia, legge 167, abolizione della censura…. Il 1° luglio il presidente Segni, garante per le destre, accoglie il generale De Lorenzo. I suoi carabinieri possono controllare l’intero paese e sono pronti a occupare sedi Rai, partito e prefetture, arrestare gli oppositori e deportarli in Sardegna. Due settimane dopo è Moro a salire al Colle. Il primo governo di centro-sinistra si chiude dopo 231 giorni. E con esso naufraga il progetto di riforma del paese. Gli anni successivi saranno esasperati. Il PCI cresce come elettorato, ma perde gli attivisti. Nel ’47 un elettore su due è iscritto al partito. Vent’anni dopo solo un elettore su sei ha la tessera. Chi si impegna a sinistra sta sempre di più fuori dai partiti. Il disimpegno degli anni Ottanta che porterà all’analfabetismo politico dei nostri giorni… nasce anche da lì. Gli artefici del colpo di stato saranno, come sempre, premiati. De Lorenzo, che proveniva dai servizi segreti, verrà promosso capo di stato Maggiore. Nel ’67 un’inchiesta giornalistica di Scalfari e Jannuzzi svelerà i piani, ma il protagonista del fattaccio continuerà la sua carriera in politica fino alla morte, prima coi monarchici e poi coi missini.

Una storia antica, come ci ricorda il professor Angelo d’Orsi in uno dei suoi primi libri (Il potere repressivo: La Polizia, Feltrinelli). Vittorio Emanuele I fonda il Corpo dei Carabinieri Reali per una “esigenza delle forze feudali di ricostituire le condizioni della propria esistenza e del proprio predominio, sconvolte nel profondo dall’invasione francese. Quella che entra in scena è dunque una forza che è espressione e sostegno di un ordine sociale in gravi difficoltà di sopravvivenza: un segno, codesto, destinato a caratterizzare l’intera storia dell’arma, fino ai nostri giorni”.

Ascanio Celestini

da Comune-Info

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