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Bruno Bellomonte, l’indipendentista senza libertà

Accusato di terrorismo, ma senza prove, Bruno Bellomonte è in carcere da più di un anno. Attorno a lui, candidato a sindaco di Sassari con l’1,2% dei voti, un’ampia solidarietà.
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Così recita la prima parte dell’articolo 3 della Costituzione. I cittadini sono uguali di fronte alla legge senza distinzione di opinioni politiche. Ma solo sulla carta. Il caso di Bruno Bellomonte è infatti un chiaro esempio di repressione sulla base delle opinioni politiche e di una militanza scomoda.
61 anni, siciliano, Bellomonte è un capostazione delle Ferrovie dello Stato a Sassari, dirigente comunista e indipendentista dell’organizzazione A Manca pro S’Indipendentzia (a Sinistra per l’Indipendenza, ndr) e sindacalista. Conosciuto in tutta la Sardegna per le battaglie compiute sempre, come si dice, “alla luce del sole”.
Bellomonte è stato arrestato a Rom il 10 giugno del 2009 con l’accusa – basata solo su intercettazioni ambientali – di avere preso parte ad un tentativo di riorganizzazione del brigatismo rosso in occasione del G8 della Maddalena, poi spostato all’Aquila. Avrebbe contribuito alla progettazione di un attentato alle navi dei “Grandi della terra” con modellini radiocomandati (in realtà, in quei mesi Bellomonte, dirigente di primo piano di aMpI, era impegnato nella preparazione del controvertice delle Nazioni senza stato). Nel luglio dello stesso anno, dopo un mese e mezzo di carcerazione, l’indipendentista di sinistra è stato trasferito da Regina Coeli al carcere di Siano, in Calabria, il penitenziario più difficile da raggiungere dalla Sardegna.
Bellomonte è da più di un anno in galera, da innocente. E, da innocente, è stato licenziato da Trenitalia. Candidato a sindaco della città di Sassari nelle amministrative di maggio per la lista di aMpI, l’indipendentista “presoneri” (prigioniero, ndr) ha ottenuto l’1,2 per cento delle preferenze. Un risultato tutt’altro che trascurabile, tenendo conto dell’esclusione dalle tribune elettorali e di un oscuramento mediatico pressoché totale.
Attorno a Bellomonte si è creato un movimento di solidarietà che è andato oltre i confini della sua organizzazione politica e della rete delle amicizie. I sindacati di base Orsa e Usb si sono pronunciati contro il licenziamento. Una serie di movimenti e organizzazioni indipendentiste (a eccezione dell’Irs di Ornella Demuru e Gavino Sale, che pure non avevano presentato liste alle comunali) hanno sostenuto la sua candidatura a primo cittadino di Sassari. Anche Sinistra Critica ha voluto sposare questa battaglia di libertà invitando a votare “Bellomonte sindaco”. Non solo, Rifondazione comunista, nel suo Comitato politico nazionale, ha approvato all’unanimità un ordine del giorno in solidarietà al dirigente di aMpI. Il comitato Lavoratori pro Bellomonte promosso dal “Minatore Rosso”, Antonello Tiddia, ha raccolto centinaia di firme in solidarietà al ferroviere indipendentista: tra i primi firmatari lo scrittore Valerio Evangelisti e decine di dirigenti politici (da Sinistra Critica a Sel, dal Prc al Pcl) e sindacali e rappresentanti di Comitati e movimenti.
Tutta questa solidarietà non è casuale. Come detto, in Sardegna in tanti conoscono Bruno Bellomonte. E in tantissimi sono a conoscenza delle vicende dell’operazione Arcadia nel 2006, quando, senza entrare nei particolari della vicenda, Bellomonte passò 18 giorni nel carcere cagliaritano di Buoncammino sulla base di accuse false, fondate su intercettazioni ambientali fittizie. “Sono stato scarcerato – aveva dichiarato il comunista indipendentista all’Unione Sarda il primo agosto del 2006 – a solo perché ho avuto la fortuna di poter dimostrare di non essere l’autore dell’attentato di Porto Cervo che mi veniva addebitato, visto che in quel periodo stavo mangiando cous cous in Tunisia. Loro però hanno sentito ‘Brù’ in un’intercettazione (fatta in Sardegna quando Bellomonte era in Tunisia, ndr) e subito hanno dedotto: in A Manca c’è un Bruno, quindi è Bellomonte. E badate che se non fossi andato in un paese dove è necessario vistare il passaporto ora sarei ancora a Buoncammino”.
Questi i meccanismi di un sistema giudiziario che, nonostante le 3mila firme raccolte con una petizione popolare, non rispetta nemmeno il criterio della territorialità della pena. Principio che (secondo una legge del 1975 ed un protocollo d’intesa tra Stato e Regione Sardegna) prevede che i detenuti condannati o in attesa di giudizio scontino la pena in istituti prossimi alla residenza delle loro famiglie.

Fabrizio Ortu  da il megafonoquotidiano

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