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Bologna, la risposta del Collettivo Handala: la guerra non si insegna, si contesta.

Un clima di forte tensione ha attraversato, negli ultimi giorni, il dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bologna.
Dopo l’articolo del professore Angelo Panebianco sul Corriere della Sera (  http://www.corriere.it/opinioni/16_febbraio_15/noi-libia-saremo-mai-pronti-1ff3c7ce-d364-11e5-9081-3e79e8e2f15c.shtml ), in cui affermava la necessità di un intervento militare in Libia “per la nostra sicurezza”, alcuni studenti del CUA (Collettivo Universitario Autonomo di Bologna) hanno interrotto la lezione del prof. Panebianco sventolando l’emblematico striscione “Fuori i baroni della guerra dalle università”.

Gli stessi studenti sono successivamente stati accusati dal Corriere della Sera (schieratosi, ovviamente, a difesa di Panebianco) di essere dei facinorosi; sono stati definiti, con fare dispregiativo, “un gruppetto di dieci persone, un collettivo di estrema sinistra“, che avrebbe osato “profanare, allo stesso tempo, la libertà di opinione e la libertà di insegnamento”.

Ma si può davvero parlare di “libertà di insegnamento” quando un professore, che dovrebbe educare ai valori della pace e del rispetto tra i popoli, inneggia all’intervento militare in Libia e all’utilizzo del Muos di Niscemi?

A proposito della lotta No Muos, Panebianco ha affermato:

“L’ennesima sentenza della magistratura ha dato ragione a mamme preoccupate e ambientalisti vari che cercano di impedire che il Muos, il sistema militare americano di comunicazioni satellitari entri in funzione a Niscemi, in Sicilia. Il Muos potrebbe essere uno strumento prezioso per anticipare eventuali attacchi missilistici ma c’è chi ipotizza che il suo funzionamento danneggerebbe la salute. Ma lo Stato islamico si è insediato sulla costa libica, a un passo da noi, e non gli mancherebbero i mezzi, se un giorno lo decidesse, per procurare alla salute danni assai più gravi.”

Forse dovremmo dire al nostro professore che i danni del Muos per la salute sono ormai stati accertati, che un soldato italiano, dopo esser stato esposto per tre mesi alle onde elettromagnetiche delle stazione Nrtf di Niscemi ha contratto la leucemia. Non si tratta di una semplice “ipotesi”: il funzionamento del Muos DANNEGGIA la salute. 
Panebianco ha così voluto svilire anni e anni di lotte No Muos (condotte, a suo dire, unicamente da mamme preoccupate e ambientalisti), ritenendo che i danni per la popolazione sarebbero maggiori se il Muos non venisse utilizzato per guidare i droni che bombardano in Medio Oriente.

Non sono questi gli insegnamenti che devono passare in un’università. La guerra non va insegnata: va contestata, ogni giorno, a partire proprio dalle aule universitarie.

A tal proposito, riportiamo il comunicato del Collettivo Handala, composto da studenti e studentesse di Scienze Politiche dell’Università di Bologna:

“Nei giorni in cui il Consiglio Supremo di Difesa prepara un piano per invadere la Libia, il dibattito pubblico si concentra sulla presunta limitazione alla libertà di insegnamento del professor Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera. Noi studentesse e studenti di Scienze Politiche dell’Università di Bologna sappiamo benissimo che i nostri docenti hanno piena libertà di espressione, soprattutto quelli che scrivono sul secondo quotidiano nazionale. Per questo vogliamo rimettere al centro dell’attenzione il vero problema, perché se la libertà di insegnamento è ancora garantita, l’art. 11 della Costituzione viene ignorato nel silenzio generale.

La questione fondamentale è la democrazia, come emerge dalla concessione della base aerea di Sigonella per il decollo di droni d’assalto statunitensi: una decisione non ratificata dal Parlamento né dai cittadini. La nostra politica estera e di difesa non è democratica perché segue gli interessi economici di colossi industriali come l’Eni, storicamente insediata in Libia per l’estrazione dei più grandi giacimenti petroliferi dell’Africa. I nostri generali e politici cercano di garantire gli investimenti italiani imponendo un governo amico, come è già accaduto in Egitto, che dovrà tutelare con la forza il rispetto dei contratti. Ma chi pagherà i costi di un intervento armato? La risposta è la stessa da secoli: pagheremo noi con ulteriori tagli al welfare e all’istruzione, mentre le sorelle e i fratelli libici pagheranno con la morte e il terrore.
Tutto questo non viene insegnato e discusso nelle nostre scuole e nelle nostre università . Il nostro ateneo si deve ridurre al palcoscenico di chi rivendica l’impiego dei cannoni per raggiungere l’unità politica dell’Europa?

Non ci interessa la libertà di insegnare teorie belliciste, piuttosto rivendichiamo una didattica critica e indipendente dagli interessi economici e politici che sostengono missioni di massacro e devastazione. Infatti contestiamo le collaborazioni della facoltà di Scienze Politiche con i vertici della Nato, invitati ad offrire simulazioni agli studenti: non ci interessa recitare la parte dei signori della guerra, non è questo il ruolo del sapere accademico. Il nostro futuro dipende da quanto saremo in grado di liberare le università dai falsi maestri, coloro che sfruttano l’Accademia per fare propaganda bellica, pagati con stipendi pubblici.
La didattica di cui abbiamo bisogno deve mettere al primo posto la critica alle narrazioni ufficiali, deve indagare le alternative alla guerra per garantire l’autodeterminazione dei popoli.

Vogliamo un ateneo che diffonda consapevolezza nella società , perché il terrorismo sta offrendo al potere politico un’occasione per iniziare una guerra, cavalcando i pregiudizi e le paure. I comandanti in capo ed i loro propagandisti hanno cattedre e quotidiani, possono imporre modi di pensare e deviare il dibattito pubblico. Noi abbiamo la forza della conoscenza e della democrazia per estirpare la guerra dai luoghi del sapere. Non per noi: per tutti.”

 

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