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Benevento: Dopo le botte, le denunce

Cinque cittadini, o cittadine, non lo sappiamo perché il bon ton istituzionale evidentemente prevede di avvertire prima la stampa e poi i diretti interessati, deferiti all’autorità giudiziaria per “oltraggio, resistenza e lesioni aggravate ai danni di appartenenti alle Forze dell’Ordine che nell’occasione riuscirono ad impedire loro di entrare in massa e con la forza all’interno del plesso dove si doveva tenere un consiglio comunale”.

Un’azione eroica, a leggerla così. Peccato che questi novelli trecento in scudo e manganello non avessero davanti l’esercito di Serse, ma una moltitudine di cittadini inermi ed inoffensivi, che ‘pretendevano’ di esercitare un proprio legittimo e sacrosanto diritto, assistere alla seduta del Consiglio Comunale della propria città.
Diritto puntualmente conculcato dall’amministrazione comunale, palesemente convinta che il Municipio sia cosa propria, e non casa comune, sulla base di una presunta limitata legittimità della sala consiliare, limitazione peraltro valida solo in determinate circostanze.
Non così fu, esempio non casuale, in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria all’allora capo della polizia Manganelli, quando la stessa sala straboccava di pubblico, di una massa che pare chiaro in quell’occasione sia riuscita a sconfiggere le forze del bene ed a violare in maniera tanto smaccata le sacre regole sull’agibilità a corrente alternata.
Questo sì che è un oltraggio, un volgare insulto a tutta la cittadinanza ed alle regole più elementari di un regime che si vuole di democrazia rappresentativa: io, cittadino, devo poter assistere come e quando più mi aggradi alle riunioni della mia civica assise, e se per negarmi questo diritto basilare si ritiene opportuno farmi picchiare da un plotone di celerini in assetto antisommossa, allora l’oltraggio è doppio.

Perché è innegabile, oltre all’oltraggio, anche la violenza. Le forze del bene hanno ben svolto il loro compito, che non è, appare evidente, quello di garantire il rispetto dei diritti dei cittadini, ma di assicurare l’arroganza di una ristretta cerchia di burocrati che quegli stessi diritti pretende di negare.

Certo che c’è stata violenza. Non sapremmo come altro definire un pugno in faccia che ha spaccato naso e denti ad una donna che esprimeva la propria indignazione per la svendita del patrimonio comunale, o i calci sferrati al corpo di un compagno già in terra.
Del resto, una precisa misura dell’attendibilità delle accuse formulate dalla questura si può ricavare da un comunicato stampa emesso dallo stesso ufficio in occasione dei fatti del tre dicembre, laddove si faceva carico ai manifestanti, citazione letterale, di aver “esploso numerosi lacrimogeni”.
Davanti ad un simile travisamento della realtà ogni commento è superfluo, inutile anche ricordare chi, in Italia, usa da tempo ‘esplodere numerosi lacrimogeni’, ci permettiamo di specificare: all’orto-clorobenziliden-malonontrile, volgarmente conosciuto come gas cs, arma da guerra chimica secondo la Corte di Cassazione, sen. 30/1/82, bandito in quanto tale fin dal lontano 1925, ma paradossalmente legalizzato per il ‘controllo delle masse’ da una convenzione internazionale del 1993, sottoscritta dall’Italia. Questa legalità ci farà uscire pazzi.

La burocrazia partitocratica arroccata a palazzo Mosti, antichi feudatari nelle sale di un castello medievale difeso giù da basso da nutriti gruppi di armigeri a guardia del ponte levatoio, ha pur’essa svolto bene il proprio compito, a tutela degli interessi di pochi contro quelli della popolazione.

Sicari mandati da potentati cui non vogliono e non possono ribellarsi, senza distinzione di bandiera di partito, hanno perseguito scientemente e coscienziosamente, fin da giorni prima della manifestazione, la via della criminalizzazione dei movimenti e della riduzione delle questioni sociali a problema di ordine pubblico, ed ora possono andare ben fieri del contributo fornito per assicurare alla giustizia cinque pericolosissimi criminali. E poi si lamentano che il sistema giudiziario è intasato.
Senza mai un dubbio, senza manco sognarsi di affrontare il punto della questione, che per amor di ragionamento torniamo ad esporre: abbandonare al lucro privato pezzi importanti del patrimonio e della storia sociale pubblici, è davvero più vantaggioso, per l’interesse cittadino, che valorizzare quei beni con l’utilizzo comune? Si sono mai chiesti, lorsignori, quale sia la ricaduta per la collettività, in termini anche solo meramente economici, della miriade di attività come sport popolare gratuito, concerti anch’essi gratuiti o a bassissimo costo, presentazioni di libri, laboratori teatrali, di danza, di musica, doposcuola gratuiti…
Hanno mai pensato che, in una situazione di gravissima crisi di reddito, la questione abitativa, già presente in forme drammatiche, sta per deflagrargli sotto il cadreghino, e che un utilizzo sensato del patrimonio edilizio potrebbe contribuire a risolvere?

Resistenza, infine. Anche quella c’è stata, c’è, ci sarà, e, se permettete, questa ce la rivendichiamo, anche con un pizzico di orgoglio. Da lì veniamo, è il nostro dna, non possiamo farci niente. Resistenza ‘passiva’, senza armi, se non idee ed argomenti che come unica risposta trovano pugni, calci e manganelli. Resistenza doverosa, animata dallo spirito civico delle centinaia di giovani cittadine e cittadini fortunatamente dotati di molta più coscienza civile di chi ci governa.

Resistenza impavida, non illudetevi di fermarla o spaventarla con poliziotti e magistrati: pensate di reprimere, ma i repressi siete voi. Avete già scritto che queste cinque denunce sono solo la prima infornata: bene, ora denunciateci tutti.

Assemblea permanente contro la dismissione del patrimonio comunale

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