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«Io, avvocata ho sfidato il regime di Erdogan»

LA NOTTE IN CELLA DI BARBARA SPINELLI

Avrebbe dovuto raggiungere Ankara per una conferenza sullo stato della giustizia in Turchia. Ma venerdì scorso l’avvocata bolognese Barbara Spinelli, osservatrice internazionale da tempo impegnata in difesa dei diritti umani nel Paese di Erdogan, si è vista negare l’ingresso dalla polizia di Istanbul. Che l’ha sottoposta a un trattamento «degradante», come lei stessa lo definisce: «Mi hanno messa in una stanza di dieci metri quadri con altre quattro donne, mi hanno impedito di usare il cellulare, mi hanno tenuta tutta la notte con le luci accese e la telecamera puntata contro». La mattina dopo l’hanno espulsa con divieto permanente d’ingresso in Turchia. Spinelli si aspetta ora che «il governo italiano chieda ad Ankara un chiarimento formale». E sabato mattina, subito dopo il suo rientro all’aeroporto di Bologna, il presidente del Cnf Andrea Mascherin ha inviato una lettera ai ministri dell’Interno e della Giustizia in cui dichiara: «Non saranno questi episodi a fermare l’azione dell’avvocatura italiana per il rispetto dei diritti umani in Turchia».

Non era la prima volta che saliva su un aereo per andare a difendere i diritti umani in Turchia. Una consuetudine che fa dell’avvocata Barbara Spinelli una combattente per la libertà ma che, nell’ottica di Erdogan e del “regime” di Ankara, trasforma la professionista di Bologna in una minaccia. Venerdì pomeriggio la polizia frontaliera di Istanbul l’ha fermata e le ha impedito di raggiungere la capitale turca, dov’era attesa come relatrice a una conferenza sullo stato della giustizia al tempo del cosiddetto golpe. Non solo. Perché all’avvocata Spinelli è stato riservato un trattamento da criminale: sequestrata un’intera notte in una stanza- cella dell’aeroporto di Istanbul, con la telecamera puntata addosso e il divieto di usare il cellulare, fino al decreto d’espulsione con divieto permanente d’ingresso e al rimpatrio coatto in Italia sabato mattina. Vicenda per la quale il Consiglio nazionale forense si è rivolto ai ministri degli Esteri e della Giustizia. E in particolare dalla Farnesina ora l’avvocatura attende un’iniziativa forte nei confronti di Ankara.

Se lo aspetta innanzitutto lei, avvocata Spinelli.

Lo auspico vivamente: ho subìto un trattamento degradante, di una gravità inaudita. Che d’altronde non può essere passato inosservato alla nostra diplomazia.

A cosa si riferisce?

Al fatto che il console italiano a Istanbul, Federica Ferrari Bravo, non solo è informata di tutto, ma ha seguito con straordinario impegno i fatti avvenuti tra venerdì e sabato mattina. Ha cercato di mettersi ripetutamente in contatto con me nel corso della notte che ho trascorso nella stanza dell’aeroporto di Istanbul, ha chiesto di potermi vedere e non gliel’hanno consentito. Si è comunque tenuta informata sulle mie condizioni, e appena sabato mattina ho potuto riaccendere il cellulare, la sua è la prima telefonata che ho ricevuto.

La Turchia l’ha trattata come una minaccia per lo Stato.

Sono un’avvocata che si occupa di diritti umani, da tre anni conduco missioni come osservatrice internazionale in Turchia. Formalmente rappresento l’organizzazione degli Avvocati europei per la democrazia e i diritti umani, del cui comitato esecutivo faccio parte, e seguo i processi agli avvocati turchi accusati per il semplice fatto di aver esercitato le loro funzioni difensive per imputati come Ochalan.

È stata anche in teatri che si possono definire “di guerra”.

Nella zona della Turchia più vicina a Siria e Iraq, a maggioranza curda, si sono verificate violenze inimmaginabili e gravissime violazioni dei diritti umani, ancor prima dello stato d’emergenza proclamato dopo il golpe: lì sono stata in delegazione con parlamentari italiani. Anche per questo mi aspetto che il governo chieda un chiarimento su quanto mi è accaduto.

E finora ha ricevuto qualche segnale anche “informale”, dal ministero degli Esteri?

No, finora no. La sola iniziativa politica assunta per approfondire il mio caso, a momento, è di matrice turca: uno dei parlamentari del partito d’opposizione Chp ha presentato un’interrogazione.

È vero che gli agenti turchi le hanno detto “non metterà mai più piede in questo Paese” e lei ha risposto “tornerò a festeggiare”?

Ho detto che un giorno, quando sarà ripristinata la democrazia, ci tornerò a festeggiare, sì.

E dove ha trovato il coraggio?

Senta, si metta nei miei panni: sono stata nelle città curde sotto coprifuoco, faccio un lavoro di testimonianza straordinaria anche in vista di un procedimento internazionale per crimini di guerra. Uno degli avvocati turchi con cui ero costantemente in contatto è stato assassinato: si tratta del presidente dell’Ordine di Diyarbakir, gli hanno sparato durante una conferenza stampa sui crimini contro l’umanità compiuti dalla Turchia nelle città curde durante il coprifuoco. Io in quel momento ho tirato fuori tutta la rabbia sedimentata in me per quanto ho visto e vissuto. Rabbia e disprezzo.

Non ha avuto paura?

No. Neanche quando mi hanno esplicitamente minacciata per farsi consegnare il cellulare. Non ho avuto paura perché ero oggettivamente consapevole dei miei diritti e anche del fatto che alla polizia turca non sarebbe convenuto usare violenza nei miei confronti. A parte che non sono proprio un fuscello e mi sarei difesa.

Non si può che ammirare la sua forza e il suo coraggio, avvocata.

Mi hanno messa in una stanza di dieci metri quadri, mi hanno impedito di usare il cellulare: anche se mi sono rifiutata di consegnarlo si sono comunque fatti dare la batteria. Ho dovuto lottare per non farmi sequestrare l’agenda, mi hanno tenuta tutta la notte con le luci costantemente accese e la telecamera puntata contro.

Che tipo di stanza era?

C’erano altre quattro donne. Trattenute perché senza diritto d’ingresso: una uzbeka, una kazaka e due donne di Casablanca. C’erano dei sofa che definire lerci sarebbe riduttivo. Le pareti grigie e questi 12 faretti sul soffitto sempre accesi. Alle altre il cellulare l’avevano lasciato, ma quando sono arrivata io gliel’hanno tolto per evitare che potessero prestarmelo. Dalla nostra stanza si aveva accesso a un bagno del quale si serviva anche la polizia speciale, che da un certo momento in poi ci ha preso in consegna al posto dei frontalieri. Io non ho dormito, per paura che ne approfittassero per portarmi via il telefono e il resto. Sono entrati persino a controllare cosa scrivevo sull’agenda.

Adesso come si sente?

Sono due giorni che faccio fatica a dormire e ho un estremo fastidio per la luce. È stata una notte tremenda anche perché non c’era un orologio e con quella luce bianca potentissima e disturbante perennemente puntata non si aveva la percezione del tempo.

Avvocata, siamo ai limiti della tortura. A proposito del caso Regeni, il senatore Luigi Manconi ha dettoche quando la politica in circostanze del genere non s’impone perde la propria anima.

Lo penso anch’io e credo che questo si sia quanto verificato finora con il silenzio del nostro Paese e dell’Europa davanti alle gravissime violazioni dei diritti umani in Turchia. Ho consegnato al nostro ministero degli Esteri un intero rapporto sulla città curda di Cizre e ne ho ricevuto riscontri impalpabili. Adesso un intervento dell’Italia sarebbe doveroso per garantire l’accesso a tutti gli avvocati che andranno al mio posto come osservatori.

Sarebbe doveroso che l’Italia ottenesse la revoca del divieto d’ingresso emesso nei suoi confronti, avvocata.

Sì, certo. Non solo per me ma per la tutela della funzione sociale dell’avvocatura e per sostenere l’impegno di quelle organizzazioni che, come l’Oiad, si battono per la tutela degli avvocati in pericolo. In Turchia e non solo.

Errico Novi da il dubbio

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