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Per avanzare nella lotta. Note dovute sulla campagna per un movimento antipenale

Il primo giugno scorso era stato lanciato un breve documento, intitolato “Contro lo stato penale di polizia. Una proposta di movimento”, con il quale si cercava di tirare le fila di un confronto condotto lungo diversi mesi, a partire da una assemblea al Nuovo Cinema Palazzo di Roma il 5 dicembre 2018, sulla proposta di una campagna per un movimento antipenale: ossia uno spazio di convergenza per sostenere l’autodifesa e la difesa mutua delle situazioni e dei movimenti di lotta posti sotto un attacco repressivo che viene da lontano e sotto il segno delle leggi Salvini minaccia di completare l’edificio a lungo costruito di uno stato penale di polizia; e insieme uno spazio di convergenza per “contrastare la sostanza politica e giuridica di questo attacco repressivo nominandone e contrattaccandone i presupposti ideologici e i dispositivi materiali”.

Quel testo del primo giugno scorso, redatto alla luce della diffusione e della condivisione delle proposte enucleate dopo l’ulteriore assemblea svoltasi al Nuovo Cinema Palazzo di Roma il 22 marzo alla vigilia della grande e oscurata manifestazione dei movimenti contro le grandi opere inutili e imposte, si concludeva con l’invito a una due giorni di dibattito pubblico a Genova questi 19 e 20 luglio nell’occasione del diciottesimo del No G8 2001 e della morte di stato di Carlo Giuliani.

Come ognuna e ognuno può constatare, quella due giorni non ha più avuto corso. L’appuntamento del 20 luglio mattina, un’assemblea di movimento sui mezzi e i percorsi comuni di un’iniziativa generale antirepressiva, non ha potuto che essere sconvocato. Perché il prerequisito della proposta di campagna per un movimento antipenale è sempre stato che si presentasse e fosse percepita anzitutto come uno spazio di garanzia, contro qualsiasi divisione della solidarietà di fronte alla repressione. Perché tale prerequisito è stato debilitato da azioni e pratiche politiche estranee al percorso ma che lo hanno investito, proprio a Genova e mentre in quella città 40 compagne e compagni affrontano la repressione giudiziaria delle mobilitazioni antifasciste di un anno fa. Perché d’altra parte i limiti della verifica pratica di quello stesso requisito erano già balenati nella occasione mancata di una partecipazione e una convergenza realmente unitarie nella solidarietà a una intensa lotta antirepressiva quale quella promossa da quante e quanti scontano in carcere le conseguenze della pesantissima operazione di repressione di un intero settore di movimento, culminata nello sgombero dell’Asilo di Torino. Perché, insomma, vi è stata evidentemente una sottovalutazione: del fatto che in verità, pur al cospetto di una comunità di esperienza di dolore come quella delle giornate di luglio 2001 a Genova, pur al cospetto dell’oggettività della violenza di stato come degli errori politici di allora e nei 18 anni successivi, pur al cospetto dei vincoli virtualmente impegnativi di una convergenza di scopo significativa quale quella volta a contrastare la deriva a una repressione generalizzata di ogni conflitto e dissenso, non siamo affatto tutte e tutti uguali – nelle traduzioni politiche di queste esperienze, di queste oggettività, di questi vincoli, e nei comportamenti conseguenti.

Per noi il fatto che non si sia più potuta mantenere l’assemblea di movimento che era stata proposta per il 20 luglio mattina è la misura di un problema di prima grandezza. Perché dopo quella repressione mirata partita da Torino all’inizio dell’anno è seguito nelle settimane scorse sempre da Torino un altro passo repressivo, stavolta e di nuovo non per caso mosso contro una parte protagonista del movimento No TAV, che ha imposto arresti domiciliari con le massime restrizioni a figure valorose e generose di militanti, esemplari di una pratica unitaria e determinata che rappresenta il punto più alto attuale dell’esperienza di conflitto in Italia. Perché intanto a Roma – mentre altrove amministrazioni di diverso colore agiscono già autonomamente nella stessa direzione – è iniziata la campagna d’estate di Salvini sulla pelle nostra e di quante e quanti devono essere espulsi da una scena pubblica che onnilataralmente si vuole impermeabile a ogni “inconveniente della società”. E infine perché ora più che mai, e in particolare mentre la discussione legislativa sul decreto sicurezza bis incrocia i sussulti di una ulteriore crisi governamentale impregiudicabile nei suoi esiti politici e storici, resta davanti ai movimenti il compito di riconoscersi in una comunità di resistenza per potere andare oltre sé stessi e incrociare materialmente il vento nuovo di lotte che soffia dalla composizione migrante che resiste alle frontiere armate, nei lager di stato, nelle carceri, nei campi dello sfruttamento, nelle campagne militarizzate da mafie e istituzioni, nelle città dell’esclusione e della securizzazione poliziesca, nei luoghi di lavoro della grande distribuzione e della produzione parcellizzata.

Per noi Genova rappresenta tuttora lo specchio di una inconclusa come imprescindibile riflessione critica e autocritica sul rapporto al potere, alla legge, allo stato, alla loro violenza, alle pratiche per spezzarla e a quelle di costruzione nella lotta di forme di vita e di relazione che non siano ad essa simmetriche. Cumulando errori politici ulteriori, scontando ulteriori divisioni del movimento davanti alla repressione, lungo questi 18 anni tale è il patrimonio di consapevolezza che abbiamo maturato di volere coltivare. Ed è perciò che già da tempo pensiamo di non avere più nulla da dire su Genova: se non dicendo di quelle pratiche oggi, se non sapendo dirci oggi di riconoscerle e farle avanzare, se non tornando oggi a cercare i mezzi per affermare tangibilmente che “l’uno si è diviso in due”. Per questo siamo ben felici che questo 19 luglio della due giorni che era stata proposta resti comunque un convegno di giuriste e giuristi, certo militanti, che insieme ad altre competenze si confrontano sui temi che il dibattito sulla campagna per un movimento antipenale ha posto: e non per caso questo convegno porta ancora le firma di Osservatorio Repressione e “movimento antipenale”, dal momento che è stato concepito nelle aspettative di quell’appello. Ma per questo, anche, lasciamo che a confrontarsi sia chi ha sentito di farlo comunque pur in un venire meno di quelle aspettative: e della tensione ad identificare pienamente, come va fatto appunto quando si avanza una proposta di movimento, la questione sulla quale riarticolare una prospettiva di resistenza e di conflitto ossia la questione dello stato penale e di polizia.

Per quanto ci riguarda, raccoglieremo dal convegno di Genova i contributi preziosi che verranno da figure che sono state e sono, sul piano politico-giuridico, interlocutrici naturali del percorso finora tentato. E proveremo a farne tesoro per quello che riteniamo rimanga il nostro compito: lavorare pazientemente a comporre con umiltà e con attenzione maggiori le condizioni per riproporre la pratica di un orizzonte comune di lotta, quale quello che ci pare stia comunque nelle cose e che definiamo nell’orizzonte di un movimento antipenale. Vogliamo ritrovarle, queste condizioni, nell’orizzontalità della cooperazione su strumenti concreti di autodifesa e mutua difesa legale, tra situazioni che concretamente sulla propria pelle vivono l’urto della repressione; e nell’ambizione, che non dismettiamo, ad aprire spazi di cooperazione più ampia, efficace contro l’apparato politico-giuridico che struttura quella deriva. Passo dopo passo, dal basso, fuori da qualsiasi tentazione politicista che, molto semplicemente, non ci interessa. Con la sola bussola di fare qualcosa di necessario e utile anzitutto a stare al fianco delle compagne e dei compagni, delle sfruttate e degli sfruttati che pagano di persona l’ostinazione di rinnovare “la tradizione degli oppressi” e dunque di lottare ancora e meglio.

“In questo modo miglioreremo la nostra posizione nella lotta contro il fascismo”.

Campagna per un movimento antipenale – Roma

 

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