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Arresti e misure cautelari per dodici compagni anarchici

Sette persone condotte in quattro diverse carceri, obbligo di dimora per altre cinque. Al centro delle accuse l’incendio di un ripetitore avvenuto nel dicembre 2018 a Monte Donato. Tuttavia, fa sapere la Procura di Bologna , l’operazione avrebbe “strategica valenza preventiva” rispetto a “momenti di tensione sociale” durante l’emergenza coronavirus, come le proteste al carcere Dozza.

Questa notte sette “compagni/e sono stati/e arrestati/e in esecuzione di un ordinanza del gip di Bologna per 270bis”, l’articolo del codice penale che prevede fino a dieci anni di reclusione per le associazioni con finalità di terrorismo o di eversione, e condotte/i nelle carceri di Piacenza, Alessandria, Ferrara e Vigevano. Ne dà notizia sul proprio profilo Facebook l’Associazione Bianca Guidetti Serra.

Si legge inoltre: “Sono state perquisite le abitazioni e il Tribolo”, lo Spazio di documentazione anarchico di via Donato Creti. Altri cinque “hanno ricevuto la misura dell’obbligo di dimora e firma a Bologna. Anche le loro abitazioni sono state perquisite”. Sarebbero contestati a vario titolo, inoltre, i reati di istigazione a delinquere, danneggiamento, deturpamento e incendio.

L’operazione, ha fatto sapere la Procura, ha “una strategica valenza preventiva” per “evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale causati dall’attuale situazione emergenziale” possano verificarsi “altri momenti di più generale ‘campagna di lotta antistato’”, considerato che le e gli indagate/i avrebbero partecipato “all’organizzazione di incontri riservati per offrire il proprio diretto sostegno alla campagna ‘anti-carceraria’”, ed è stata accertata “la loro partecipazione ai momenti di protesta” alla Dozza.

Sempre la Procura spiega che al centro dell’inchiesta, battezzata “Ritrovo”, c’è un attentato che avrebbe avuto luogo “nella notte tra il 15 ed il 16 dicembre 2018, ai danni di alcuni ponti ripetitori delle reti televisive nazionali e locali, di apparati di fonia dei ponti radio delle forze di Polizia e antenne di ditte che forniscono servizi di intercettazioni e di sorveglianza audio-video, tutti ubicati a Bologna in via Santa Liberata, località Monte Donato”, dove sarebbe stata trovata “la scritta, vergata su una parete della struttura, ‘Spegnere le antenne, risvegliare le coscienze solidali con gli anarchici detenuti e sorvegliati’”. Questo elemento avrebbe “fin da subito indirizzato le investigazioni nei confronti di vari esponenti dell’area anarchica attivi a Bologna ed orbitanti nell’alveo dello spazio di documentazione ‘Il Tribolo’”. Secondo i pm ci sarebbe “un’articolata trama di rapporti tra gli indagati e diversi gruppi affini, operanti in varie zone del territorio nazionale, incentrati sulla sistematica attività di istigazione a delinquere” svolta “anche avvalendosi di pubblicazioni su blog e siti d’area”, con l’obiettivo di “contrastare, anche ricorrendo alla violenza, le politiche in materia di immigrazione e, in generale, le istituzioni pubbliche ed economiche, con indicazione di obiettivi da colpire e le modalità di azione”. Gli/le indagate/i avrebbero inoltre participato “a momenti di protesta sfociati in atti di danneggiamento, deturpazione e imbrattamento di luoghi pubblici e privati nonché, in alcune circostanze, in scontri violenti con le Forze dell’ordine”.

Tra gli episodi contestati anche “l’organizzazione di manifestazioni pubbliche e cortei non autorizzati, con l’obiettivo di contrastare e impedire l’apertura dei Centri permanenti di rimpatrio”, poi “danneggiamenti di condomini ed edifici pubblici con scritte di carattere minatorio e offensivo nei confronti delle istituzioni e di sportelli bancomat di istituti di credito, ma anche “la realizzazione e diffusione, anche con l’uso di strumenti informatici, di opuscoli, articoli e volantini dal contenuto istigatorio, tesi ad aggregare nuovi proseliti impegnati nelle loro ‘campagne di lotta’”.

da zic.it

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 Qui Comunicato della procura di Bologna: dove si evince la doppia innovazione contenuta nel capoverso finale ossia la coincidenza di polizia di prevenzione e azione inquirente con aggiunta della coincidenza di prevenzione e poteri predittivi su conversione in concretezza di reato di una espressione ideologica

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Bologna, le pesanti (e già viste) accuse di terrorismo agli anarchici

Sono 7 le attiviste e gli attivisti arrestati questa mattina a Bologna, mentre a cinque è stato comminato l’obbligo di dimora con firma quotidiana. È l’esito dell’operazione “Ritrovo”, che dalle prime ore dell’alba di questa mattina ha visto perquisizioni domiciliari a Bologna, Firenze e Milano. A Bologna è stato perquisito anche lo spazio di documentazione anarchica “Il Tribolo” di Via Donato Creti. Agli attivisti e alle attiviste arrestate viene contestato l’articolo 270 bis, ovvero associazione con finalità di terrorismo e di eversione dello Stato democratico. Tra le accuse, anche l’organizzazione di cortei e proteste contro i Centri di rimpatrio e in solidarietà con le rivolte in carcere. Solo uno degli indagati risulta invece accusato di incendio in riferimento allo “attentato incendiario perpetrato, nella notte tra il 15 ed il 16 dicembre 2018, ai danni di alcuni ponti ripetitori in via Santa Liberata, località Monte Donato”, che avrebbe dato origine alle indagini. Ne abbiamo parlato con Ettore Grenci, l’avvocato difensore di alcuni degli indagati.

Anarchici: le accuse

Oltre all’accusa di terrorismo ai fini eversivi comminata a tutti gli attivisti e le attiviste arrestate, l’indagine della Procura si è concentrata sulle iniziative di protesta, ritenute particolarmente gravi in quanto in aperto contrasto alle istituzioni. In particolare, nel documento prodotto dalla Procura si parla di “azioni di danneggiamento, manifestazioni pubbliche e cortei non organizzati con l’obiettivo di contrastare e impedire l’apertura dei centri permanenti di rimpatrio e la legislazione del Governo sulla gestione dell’immigrazione. Gli indagati avrebbero provocato anche violenti scontri con le forze dell’ordine, danni a condomini ed edifici pubblici, con scritte minatorie e offensive nei confronti delle istituzioni dello Stato e delle strutture economiche, ad esempio verso sportelli bancomat della Banca Popolare Emilia-Romagna di Bologna”.

Tra i capi di accusa si parla anche di “realizzazione e diffusione, anche con l’uso di strumenti informatici, di opuscoli, articoli e volantini dal contenuto istigatorio, tesi ad aggregare nuovi proseliti impegnati nelle loro ‘campagne di lotta’”. I Pm parlano di “un’articolata trama di rapporti tra gli indagati e diversi gruppi affini, operanti in varie zone del territorio nazionale, incentrati sulla sistematica attività di istigazione a delinquere” svolta “anche avvalendosi di pubblicazioni su blog e siti d’area”, con l’obiettivo di “contrastare, anche ricorrendo alla violenza, le politiche in materia di immigrazione e, in generale, le istituzioni pubbliche ed economiche, con indicazione di obiettivi da colpire e le modalità di azione”.

Un impianto accusatorio “sovradimensionato

La prima impressione di Ettore Grenci è che l’impianto accusatorio, e in particolare l’accusa di terrorismo ai fini eversivi, sia “sovradimensionata rispetto al quadro probatorio al momento raccolto. L’unico episodio che potrebbe avere una qualche rilevanza – sottolinea l’avvocato – potrebbe essere quello relativo al danneggiamento di un traliccio, su cui gli indizi mi paiono piuttosto deboli e non particolarmente gravi”. Ma è il complesso dell’indagine che porta Grenci ad esprimere questa valutazione, e in particolare il sovra-citato riferimento ai rapporti con altri gruppi e alla pubblicazione di opuscoli e blog. “Si muove tutto attraverso quella che è la linea tipica dei movimenti in questo paese, cioè una linea fatta di contatti di solidarietà, di scambio di informazioni rispetto a procedimenti giudiziari, alla redazione e alla pubblicazione di opuscoli d’area e poco altro, solidarietà ai detenuti. Ma azioni dirette che abbiano quel finalismo eversivo o addirittura terroristico richiesto dalla norma non vengono contestate né ipotizzate. Questo tipo di accuse presuppone delle condotte che mettono in pericolo la stabilità democratica delle istituzioni di un Paese, non certo un’attività propagandistica, su cui possiamo ragionare in termini anche se vogliamo di apologia e istigazione, ma stiamo parlando di reati di opinione”.

I reati di opinione, e in particolare di apologia e istigazione nel codice penale si configurano come un limite al diritto alla manifestazione del pensiero “nella misura in cui – spiega l’avvocato – il messaggio istigatorio e apologetico in determinate condizioni è tale da essere raccolto da chi quelle azioni potrebbe poi effettivamente compierle. Quindi deve essere accompagnato da tutta una serie di elementi che fanno apparire assolutamente concreto che quel pericolo che è insito in qualche modo nel messaggio possa effettivamente tradursi in realtà. Non basta il fatto di anche inneggiare all’abolizione o alla distruzione di un istituto di pena, questo ancora dovrebbe rientrare in una libera manifestazione del pensiero.

Arresti “preventivi”

In riferimento agli arresti, la Procura ha sottolineato che “le misure cautelari si sono rese necessarie anche in un’ottica di “strategica valenza preventiva volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturibili dalla particolare situazione emergenziale, possano insediarsi altri momenti di più generale campagna di lotta antistato”, in quanto gli indagati avrebbero partecipato negli ultimi mesi di lockdown a sit-in e proteste in favore delle rivolte nelle carceri per il rischio coronavirus.

In questo senso, viene considerato particolarmente rilevante il fatto che nell’ultimo periodo gli appartenenti al gruppo di anarchici coinvolti nell’inchiesta antiterrorismo di Bologna si sarebbero incontrati per offrire il «proprio diretto sostegno» alla campagna anti-carceraria, e in particolare avrebbero partecipato a momenti di protesta a Bologna (di cui avevamo parlato qui). È quanto emerso dagli accertamenti degli investigatori. Su questo punto, Grenci sottolinea che “tutte le misure cautelari hanno un obiettivo di prevenzione. Dobbiamo però valutare cosa si intende per prevenire. Prevenire reati, va bene. Ma se l’obiettivo è quello di prevenire manifestazioni di dissenso quali potrebbero essere ad esempio assemblee o manifestazioni di solidarietà ai detenuti senza una commissione di reati che possano integrare queste gravi accuse, allora lì qualche perplessità su questa impostazione credo che sia naturale averla.

Una storia già vista

Per molti degli attivisti e delle attiviste arrestati questa mattina, si tratta peraltro di una storia già vissuta. Alcuni di loro infatti erano già finiti in carcere e processati con la stessa accusa, per l’articolo 270 bis che prevede l’associazione con finalità di terrorismo e di eversione dello Stato democratico, per azioni violente, cortei e occupazioni contro i Cie condotte fino al 2011 in città. In quell’operazione fu smantellato il noto circolo anarchico “Fuoriluogo”, in via San Vitale. Ma il processo, anche in secondo grado, si è concluso con l’assoluzione per tutti gli imputati accusati di terrorismo.

“Conosco bene quella vicenda perché fui il difensore di molti dei ragazzi imputati – commenta l’avvocato – fu già in primo grado completamente ribaltata l’impostazione accusatoria con l’assoluzione di tutti con formula piena. Ci sono voluti un paio d’anni prima di arrivare a quel risultato. Io pronostici non ne posso fare, ma sono fiducioso che già a partire dal prossimo step, che sarà quasi sicuramente il Tribunale della libertà, possa quantomeno ridimensionarsi il quadro accusatorio complessivo e possano rivalutarsi le misure cautelari applicate e in particolare penso al carcere. Lo auspico e penso che ci siano i margini per arrivare a questo risultato anche in tempi brevi, però ovviamente aspettiamo”.

ASCOLTA L’INTERVISTA AD ETTORE GRENCI:

da Radio Citta Fujiko

 

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