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Ancora sangue e lacrime per il Rojava

Gli attacchi in Bashur servono soprattutto a indebolire l’Amministrazione autonoma in Rojava.

Tra gli ultime vittime – il 17 agosto – una donna (Nede Dexam Mesix) e il suo figlioletto a nord di Tal Tamir (oltre a una quindicina di feriti, in maggioranza bambini) quando aerei turchi hanno attaccato il villaggio di Zargan (Abu Rassine) nel nord della Siria (dove, ricordo, è attiva una comune dell’Amministrazione autonoma).

Il giorno dopo – 18 agosto – invece si registrava l’ennesimo episodio di violenza contro le donne curde. Una ventenne, Dilyar Mohamed Othman, era stata rapita dai banditi islamici del Fronte Al-Cham (affiliati all’esercito di Ankara) nel villaggio di Berimje.

Pochi giorni prima ,il 13 agosto, un’altra ragazza – Aiesha Mohamed Khaled – si era tolta l vita a Mahmoudiye per sfuggire a un’altra banda di rapitori jihadisti che in precedenza si erano resi responsabili di rapimenti e stupri.

Il 19 agosto quattro militanti delle YPJ (Yekineyen Parastina Jin – Unità di difesa delle donne), tra cui la comandante Sosin Birhat, venivano uccise da un drone turco che aveva colpito il centro di comunicazione del Comando militare di Til Temir e anche un ospedale nelle vicinanze. L’attacco aveva causato anche molti feriti, soprattutto tra i civili.

Il 21 agosto una vettura condotta da un civile veniva distrutta da un drone nel villaggio di Mezra (a sud-est di Kobane). Altre auto civili venivano contemporaneamente colpite a Qamishlo. Tutti atti intimidatori con lo scopo evidente di terrorizzare la popolazione per costringerla ad andarsene e così giustificare la sostituzione demografica – forzata – in corso.

Infatti nel medesimo giorno almeno una trentina di curdi (in maggioranza donne e bambini) erano scappati dal cantone di Afrin fino a Shehba per sfuggire alle bande islamiste mercenarie della Turchia.

Avevano spiegato che molti sfollati curdi vengono inviati in Turchia (e da qui presumibilmente verso l’Europa) per completare l’operazione di sostituzione etnica in atto.

Il 22 agosto trenta villaggi curdi, occupati dai turchi, nella regione di Til Temir (Nord della Siria) venivano evacuati in quanto posti ormai direttamente sulla linea del fronte (con l’ovvia conseguenza di un gran numero di vittime civili). Il copresidente del consiglio civile di Til Temir, Ciwan Mele Eyup, aveva dichiarato che “ormai da quasi due anni i villaggi del distretto sono sotto il fuoco costante dei mercenari jihadisti dello stato turco. Non passa giorno senza che la popolazione venga attaccata dalle granate. Abitazioni e campi vengono incendiati, molte persone hanno perso la vita e i feriti si contano a dozzine. Le forniture di acqua ed elettricità sono interrotte e un milione e mezzo di abitanti del cantone di Heseke si trovano sprovvisti di acqua potabile. Con le ovvie conseguenze: molti, soprattutto anziani e bambini, si sono ammalati”.

Infatti la stazione idrica di Alouk è stata colpita decine di volte così come il villaggio di Dildara e la comune di Zirgan.

Il tutto sotto lo sguardo indifferente (tacitamente complice) delle truppe siriane e russe che stazionano a Til Temir. Nonostante gli accordi di “cessate-il-fuoco” di cui Mosca si era resa garante. Accordi rispettati invece dalle SDF che si sono ritirate di circa 20 chilometri.

Sempre il 22 agosto – secondo l’agenzia ANHA – un giovane (Hamadi Ebd Hisein originario di Dashisha) è stato ucciso e un altro ferito (Mohamed Latif Azawi originario di Merghada) mentre tentavano di entrare in Turchia dal villaggio di Atshan nella regione curda di Darbassiye.

Gianni Sartori

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